“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 22 February 2021 00:00

C’era vita su Marte?

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Questa la domanda che ha scatenato una spesa di 2.700.000.000 di dollari e un viaggio di 471 milioni di chilometri verso un pianeta che – la maggior parte di voi già ne è al corrente – è stato creato solo per poterne far derivare la parola “marziani”, la quale dovette apparire a Dio ricca di mistero e fonte di ispirazione per i numerosi racconti che la razza umana avrebbe scritto. Ora che la missione ha raggiunto il suo obiettivo, sappiamo per cosa vengono adoperati i soldi che l’amministrazione USA decide di non usare per riparare le fratture degli americani che si fanno male e prestare le cure anticancro a quelli che stanno morendo.

Dobbiamo assolutamente sapere se Marte ospitò la vita, altrimenti non possiamo stare tranquilli. Come se di vita (e di morte) non ne avessimo già abbastanza sulla Terra. Sappiamo con certezza che, di questi tempi, nulla può vivere sul pianeta rosso, poiché le radiazioni da cui è investito ucciderebbero qualsiasi forma vivente. Quindi, evidentemente la domanda sottostante è se tali radiazioni non c’erano in epoche precedenti, cioè se il sistema solare ha cambiato le proprie abitudini in termini di radioattività. Oppure se esistevano forme di vita che prosperavano con le radiazioni come un brianzolo che prende il sole a Finale Ligure. Per farlo, bisognava andare a prendere qualche sasso e analizzarlo.
Così, a fine luglio 2020, in piena epittemia da Coronavirus, parte da Cape Canaveral la Perseverance – il nome attribuito alla sonda tradisce esplicitamente le reali motivazioni di questi su e giù nello spazio – quinto rover americano ad andare su Marte. È evidente che la roccia sferica dalla temperatura media di 63 gradi sotto zero e dall’atmosfera irrespirabile proprio gli piace, agli Americotti.
L’attrezzo volante ha le dimensioni di un suv – segno che quelli che hanno sottoscritto un finanziamento sanguinario per comprarsi un macchinone sono al passo con tempi – ed è dotato di un innovativo sistema di riconoscimento intelligente del terreno, in grado di rilevare eventuali asperità o tratti pericolosi per poi deviare il rover su percorsi più sicuri. Appena l’amministrazione di Roma Capitale l’ha saputo, ha opzionato l’acquisto del software. Per pagare il quale, ha contratto un debito millenario con la Morgan & Stanley, che, alla prima rata insoluta, darà agli americani il diritto di fare grigliate nel Colosseo ruttando e bevendo birra tutta la notte.
Come in ogni inutilissima missione spaziale, i giornali italiani devono ricordare che anche la penisola tricolore ha dato il suo apporto, ma questa volta non ci dicono esattamente in che cosa. Per parte mia, stanco delle ricerche prima ancora di cominciarle, mi limito a escludere che si tratti del cuoco di bordo, perché Cannavacciuolo non entra nemmeno in una Grand Cherokee; e anche che il contributo sia legato alla moda, visto che le venticinque fotocamere imbarcate non ritrarranno una collezione di Armani, ma due scogli, tre crateri e un panorama tristissimo.
Anche un cinico come il Soroczscritto prova un attimo di smarrimento quando apprende che viaggio, orbitaggio e ammartaggio saranno gestiti automaticamente dai computer di bordo: dalla Terra non si può guidare, perché il telecomando, da quella distanza, impiega più di dieci minuti a trasmettere il segnale. Non posso fare a meno di pensare che tutto questo sia sorprendente, affascinante, straniante, ma anche forzato, gonfiato, vuoto. Come uno spot pubblicitario ben girato, ma che reclamizza un prodotto del quale poi faremo a meno.
Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stata che la Perseverance è andata su Marte solo per prelevare campioni di suolo, sistemarli in trenta capsule cilindriche e lasciarli lì. Saranno poi raccolti e portati sulla Terra con una ulteriore spedizione, la Mars Sample Return, che partirà nel 2026. Insomma, è come andare alla Coop alle dieci del mattino, lasciare il pane in cassa e poi tornare a prenderlo verso mezzogiorno. Solo che qui non si tratta di un paio d’ore, ma di cinque anni e, probabilmente, di altri tre miliardi di dollari.
Ogni volta che mi chiedo se c’è stata o c’è la vita oltre la Terra, non posso fare a meno di pensare al fatto che nessuno lo possa escludere. Ma anche che, forse, altre forme viventi ci hanno già visitato, attratte dalla quinta sinfonia di Beethoven o dal jazz di Louis Armstrong che il disco mandato nello spazio con il Voyager nel 1977 porta incisi. I “marziani” – chissà – udite cose fra le più belle che la razza umana ha saputo produrre, si sono precipitati sulla Terra. Cercavano le note di Glenn Gould o la tromba di Melancholy Blues, ma sfortuna vuole che siano atterrati dalle parti del Forum di Assago, durante un concerto di Sfera Ebbasta. Allora si sono avvicinati silenziosamente e hanno aperto il finestrino. È stata quella la prima cosa che hanno ascoltato. Pensando di aver sbagliato indirizzo, hanno voluto anche dare un’occhiata e così hanno visto quello che noi paghiamo sessanta euro per andare a vedere. Ecco perché ora è così difficile trovare un extraterrestre.
Vi saluto come vi salutai quando scoprimmo “Cruithne”, seconda luna della Terra. Sì, lo so, scherzare sulla scienza è da ignoranti retrogradi. Ma io lo sono: lo sono diventato quando ho saputo che il water – sì, il cesso – dello Shuttle Endeavour costò circa 30.000.000 di dollari. Non riuscii neanche a immaginare quanto poteva essere costato l’intero programma spaziale Usa e quanti morenti per sete e fame si sarebbe riusciti a far sopravvivere. Ma che me lo dico a fare? Queste cose ce le dobbiamo aspettare, da un grande Paese come dal piccolo condominio. Che ha la facciata scrostata e sette Mercedes nel garage.

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