“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 06 January 2021 00:00

“The Fifth Child”: il collasso di famiglia e società

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The Fifth Child (in italiano, Il quinto figlio), romanzo di Doris Lessing, vincitrice del Nobel nel 2007, è stato pubblicato per la prima volta nel 1988. Abbraccia vent’anni di vita familiare di Harriet e David Lovatt, una coppia controcorrente nella Londra degli anni ’60: i due disdegnano le avventure di una notte e sono contrari all’uso di contraccettivi, vogliono una famiglia e molti figli; per questi motivi sono aspramente criticati da tutti, esattamente come fino pochi anni prima le persone che non la pensavano come loro.

Con precisione chirurgica l’autrice traccia i loro caratteri e quelli degli altri personaggi con poche ma efficaci pennellate: una coppia testarda, che vuole a tutti i costi una famiglia al di là delle proprie possibilità economiche; una coppia molto aiutata, non solo economicamente, dalle rispettive famiglie d’origine; una coppia spesso incapace di pianificazione e autonomia e che ci tiene a dimostrare la validità della propria scelta di vita, sorda agli avvertimenti di tutti, anche a quelli della madre di Harriet, della cui vita la giovane ha avuto una visione falsata.
Quello sulla famiglia è uno scontro di opinioni che va avanti per buona parte del romanzo, un dibattito acceso che infiamma i dialoghi dei personaggi. Non viene offerto al lettore nessun modello di famiglia esemplare, neppure quella che Harriet e David cercano di costruire forti del loro idealismo, che si scontra con una realtà che è fatica e impegno.
Il preludio della tragedia è rappresentato dalla sorella sfortunata di Harriet, Sarah, la quale, al culmine di un matrimonio infelice, partorisce una bambina con sindrome di Down. Harriet adduce la diversità della creatura alla crisi coniugale della sorella; si sente al riparo da ogni sfortuna: il suo matrimonio procede bene, i suoi figli sono sani, vuole sfidare ancora il destino. Questo fino alla nascita di Ben, il quinto figlio, che diventa immediatamente il fulcro della storia annullando quasi completamente tutto il resto: esiste solo questo bambino, i problemi finanziari passano in secondo piano, la vita sessuale della coppia è irreparabilmente compromessa e i due sposi diventano tutto quello che non avrebbero voluto essere. Ora è Harriet la sorella sfortunata, ha peccato di hybris ed è stata punita, mentre la bambina di Sarah conquista tutti con la sua affettuosità. Punizione o casualità? Tutto viene messo in discussione. La casa dei Lovatt sta cambiando, la società anche: il televisore con l’avanzare della storia è sempre più impiegato dai bambini e i coniugi iniziano a usarlo come strumento di informazione: sono preoccupati per i loro figli in un mondo che diventa sempre più pericoloso.
La casa è protagonista della vita familiare ed è qui che il romanzo si svolge prevalentemente. Il tempo è scandito dalle lunghe e splendide feste che i Lovatt, con i soldi del padre di David, tengono periodicamente per la gioia di amici e parenti. È un luogo accogliente pensato apposta per ospitare molti bambini: è in funzione di essi, non ancora nati, che Harriet e David hanno acquistato questo immobile nettamente al di sopra delle loro possibilità e lontano dalla città, con tutte le scomodità che il pendolarismo comporta. Vive anni straordinari prima della nascita di Ben per poi assumere un’aura sinistra già presagita all’inizio della storia e svuotarsi progressivamente: tutti fuggono dal quinto figlio e da una casa non più serena che non offre i vantaggi di una volta; l’enorme edificio rimane, svuotato, a uso di Ben e di sua madre, ormai sola fisicamente e moralmente; finché anch’ella desidererà sempre più spesso di rimanervi senza questo figlio concepito per volontà propria, contro il volere dei suoi genitori, che distrugge tutto quello che hanno costruito. Grande risalto è dato all’ambivalenza del sentimento materno: Harriet non ama Ben eppure prova pietà per lui; le capita di desiderare che muoia, eppure lo sceglie condannando la famiglia alla distruzione. Qualunque risoluzione ella prenda nei confronti di questo figlio, non raccoglie mai l’unanimità dei consensi, in qualunque direzione volgano le sue decisioni. Si sente pertanto costantemente giudicata e criminalizzata.
Ben è la realtà che irrompe nella vita di una famiglia che ha fatto di tutto pur di distaccarsi dalle brutture del mondo, veleggiando verso un irraggiungibile ideale fatato. È il mostro, l’alieno, il distruttore, il troll, il goblin, il Neanderthal. La sua natura bestiale e primitiva dalle note horror lo rende un elemento di disturbo. Il suo nome lo propone Harriet e non sembra una casualità, perché Ben è anche il diminutivo di Benjamin, ossia Beniamino, l’ultimo figlio di Giacobbe, e la sua nascita segna la fine del progetto di fare altri bambini e, con essa, la fine della famiglia Lovatt. L’etimologia del nome è chiara: Ben è “figlio”, ma non di David, che lo disconosce; unicamente di Harriet. E per di più, non si configurerà come uno dei figli di Harriet, ma come il figlio, l’unico, poiché dopo la sua nascita ella abdicherà al ruolo di madre per tutti gli altri. Progressivamente il cerchio si stringe e il romanzo familiare diventa un’opera sulla maternità o, meglio, su questa specifica maternità della protagonista. Molte pagine sono dedicate alla gravidanza, che arriva in un momento di massimo stress per la giovane e ci fa dubitare, attraverso gli sguardi degli altri personaggi, della sua sanità mentale.
L’istituto è l’unico contesto nel quale venga riconosciuta l’ingovernabilità del bambino, negata da ogni forma di autorità, sia essa la sanità o la scuola. L’edificio, silenzioso e isolato, è un luogo occulto, al quale affidare casi senza nome e senza soluzione. Nessun’altra istituzione si prende la responsabilità di riconoscere la diversità di Ben; conseguentemente non vengono offerti accomodamenti al problema che egli rappresenta a causa dei suoi comportamenti antisociali. I colloqui con le figure istituzionali sono disturbanti, le problematiche minimizzate, Harriet è reputata poco attendibile e la sua credibilità non prende peso neanche davanti all’evidenza. Gradualmente la solitudine della protagonista diventa paura e silenzio e la sua tenacia prende nuove direzioni. Dopo esserci chiesti cosa pensa Ben e cosa prova per sua madre, riviviamo con una Harriet consumata e arresa i momenti felici trascorsi in casa, chiedendoci con lei cosa ne sarà di Ben ma soprattutto: cosa avremmo fatto al suo posto?





Doris Lessing
Il quinto figlio
Feltrinelli, Milano, 1998
pp. 166

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