“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 04 December 2020 00:00

InFLOencer: femminismo e peli superflui

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In molti sanno del mio post dedicato a Maradona, o meglio all’opportunità di dire o non dire, nel giorno della despedida, chi siano i buoni e chi i cattivi. La viralità del post – che va da “Flo sindaco di Napoli” a “Vesuvio, lavali col fuoco” − mi ha fornito molte occasioni per chiarire la mia posizione sul nostro Pibe e quindi la chiuderei pure qui, se siete d’accordo. 
Tuttavia c’è un’ultima palla che vorrei calciare, ma devo stare molto attenta, perché mi sa che qua mi faccio male veramente: le femministe e Maradona.
Ho seguito il dibattito femminista, ascoltato opinioni opposte, messo a fuoco le prospettive, ma mi dispiace amici, finanche io che-so-sempre-tutto-io, non ho che una deludente chiosa: ognuno è libero di commemorare o non commemorare la morte di chi gli pare.
Et voilà, sono le 17, in dieci minuti ho risolto l’enigma. Se corro faccio in tempo ad arrivare da Palombini, convincermi che in realtà sono le 19, ordinare uno Spritz Hugo e mettermi a sorseggiare con l’aria di chi ne ha viste tante nella vita.
Mi fiondo. Per fortuna il mio tavolino nell’angolo è libero, da lì non mi sfugge niente e nessuno. Il solito padre separato con adolescente al seguito; nonna baby sitter; gente con cane; coppia che litiga e altre comparse con la testa appiccicata al cellulare. “Che bello poltrire ed impicciarsi” penso, ma poi mi ricordo che non posso poltrire davvero, devo darmi una mossa a bere ’sto bibitone, perché fra poco sono le 18 e arrivano i Malvagi, a chiudere i bar con dentro gli spritz, le chiacchiere e la consolazione delle nostre giornate. Vi odio Malvagi!
Bevo rapida – naturalmente senza farmi vedere – e mi accorgo che nella testa l’enigma femminista è tutt’altro che risolto; ha lasciato perdere Maradona e si è gonfiato a dismisura sorretto da decine di quesiti: se uno ti offre la cena è maschilista? Se mi lascio aprire la portiera sto alimentando il patriarcato? Se oltre ai miei calzini piego anche i suoi, sto buttando nel cesso le migliaia di battaglie che le donne hanno fatto anche per me? E soprattutto, se mi depilo in continuazione sono o non sono una vera femminista?
Non riuscivo più a placarmi. Le domande sgorgavano come lacrime a “C’è posta…”, ma di risposte neanche l’ombra. Sono sempre più confusa e mi appiglio alle poche certezze che mi sono rimaste.
Mi piace se un uomo mi invita al ristorante. Se mi piace, ovviamente, lui e il ristorante. Comunque ho sempre lavorato e di cene agli uomini ne ho offerte tante anch’io. 
Un uomo che mi apre la portiera o mi cede il passo sull’uscio della porta mi ricorda mio padre e le sue buone maniere. Non mi sento affatto minus habens per questo.
So che se un uomo mi mettesse una mano sul culo senza il mio consenso, quella mano finirebbe sotterrata nel giardino della mia vicina, sotto la cuccia del suo volpino Pensil (si, lo so, è un nome di merda. A me tra l’altro ricorda la Pensulvit, quell’orrida pomata per l’orzaiolo).
So che ho cucinato per decine di cenette tête-à-tête, con tanto di servizio buono. Poi si è sparecchiato insieme o ha sparecchiato il meno stanco. Se lo pretendi o lo dai per scontato, lì c’è la porta. Pedalare in direzione mammà. So che mi piacciono troppissimo le minigonne, perché ho le gambe belle, se me le guardano mi compiaccio, se me le fissano mi infastidisco. Qualche volta ho puntato sul corpo per accalappiare qualche bellimbusto che tentava di resistermi (no comment), ma il mio corpo non l’ho mai venduto e mai scambiato. Non abortirei mai, ma è un diritto che difendo e benedico. So che lavoro da quando ero bambina e non potrei vivere della paghetta di un qualunque signor Flo.
Ho il mio lavoro, il mio mutuo, il mio conto in banca, la mia casa e non ho figli. Ma forse se li avessi vorrei poter scegliere di stare a casa senza sentirmi una mantenuta, così come vorrei il diritto di andare a lavorare senza sentirmi una madre degenere. Forse la risposta è nella libertà di scelta? Non lo so.
Sospetto però che ci sia un punto, superato il quale si rischia il ridicolo. La mortificazione della femminilità per esempio è ridicola.
Non distinguere un gesto garbato da un gesto maschilista è ridicolo.
Le donne che giudicano le altre donne, se sono scollacciate o se si tingono i capelli, perché magari a venticinque anni non ti va già di sembrare Mario Giordano, sono ridicole.
Come sono ridicole quelle che giudicano le donne formose, grasse o in camicioni. Sono ridicole le cantanti che un giorno all’anno si ricordano che è c’è la violenza sulle donne, quando potrebbero mettere la zampetta nel portafogli e sovvenzionare i centri dove tante donne sono costrette a rifugiarsi, piene di lividi e di paura.
Ecco, forse sto arrivando ad una buona conclusione: voglio gli stessi diritti, le stesse opportunità, la stessa libertà di un uomo, ma non voglio essere un uomo. Sono orgogliosa di essere una donna. E mi voglio depilare!

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