“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 15 May 2020 00:00

InFLOencer: la soluzione alternativa

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“Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” diceva Dante. E come al solito aveva ragione. A me capita la sera, dopo aver lavato i piatti e i denti, quando mi affaccio alla finestra e, pensando ai concerti, ai palchi e ai viaggi insieme ai miei musicisti, mi prende una malinconia infinita. Tuttavia, da perfetta masochista, non mi assento mai a questo appuntamento con la storia e qualche sera fa, facendo zapping tra i ricordi, ho ritrovato alcuni fotogrammi assurdi che credevo rimossi.

L’elemento dell’assurdo, nel mio mestiere, non riguarda quasi mai quello che accade sul palcoscenico, perché quello dipende da te, ma è quando la musica è finita e gli amici se ne vanno che inizia il teatro. Dopo il concerto, sulla fronte dei tuoi colleghi s’illumina a caratteri cubitali solo un quesito: “Dove ci porteranno a dormire stavolta?”. Non vi parlo tanto di adesso, ma di quando il “non c’è l’albergo, ma abbiamo una soluzione alternativa” era la norma. “Soluzione alternativa” per me ha la stessa tragicità che ha per un uomo la frase “dobbiamo parlare”. Non so se mi spiego.
Dunque, quando ho iniziato a fare concerti in giro, la “soluzione alternativa” non era altro che casa degli organizzatori. Sovente l’ospitalità casalinga ha riservato piacevoli incontri, rivelandosi un’esperienza umana speciale, ma altre volte non dico che sarebbe stato meglio dormire in macchina ma quasi. Perché se proprio non vuoi dare una pulita prima che arriviamo – molte case sono idrorepellenti – quella decina di vibratori che tieni sparsi in giro potresti almeno metterli da parte. O no?
Perché ci potresti arrivare da solo a pensare che, dopo una sveglia all’alba, un viaggio di otto ore, un concerto di tre, una cena triste (perché non puoi chiamarti “nord” se alle 19,01 non hai chiuso la cucina), io non muoia dalla voglia di sorbirmi le foto di te e tua moglie in Africa, la collezione di souvenir che avete raccolto sempre in Africa e il racconto di quanto vi manca l’Africa. A me manca solo un bagno libero, un pigiama e un giaciglio. Fosse anche di paglia.
In questo specifico ricordo, c’è anche un mio collega che, dopo aver dribblato l’ennesimo racconto a tema Africa, diede pure una bella mignolata al tavolino del salotto che, manco a dirlo, pullulava di gingilli made in Africa.
Poi c’è stata quella notte nel centro estetico. Non immaginatevi me che gironzolo in accappatoio bianco tra un bagno turco e una sauna, ma proprio un centro estetico pieno di smalti per le unghie, lampade abbronzanti e cerette. Ricordo che prendemmo l’aereo all’alba e che il concerto iniziò con un ritardo clamoroso a causa del solito saggio di danza e del solito prete che, come comincia il soundcheck della batteria, minaccia di chiamare i carabinieri. Raggiungemmo la cosiddetta “soluzione alternativa” a notte fonda, distrutti. Ricordo che mi sistemarono in segreteria su un lettino da massaggi, che al posto del comodino avevo una fotocopiatrice e che i miei colleghi,  invece di dormire, continuavano a mandarmi messaggini per chiedermi i prezzi dei più assurdi trattamenti di bellezza e se insieme alle fotocopie facevo anche le fototessere. Maledetti.
Poi però una settimana dopo eravamo in concerto sulle Alpi, col palcoscenico tra cerbiatti e una natura indimenticabile. La “soluzione alternativa” era una baita da sogno, gigantesca, proprio lì, sul cucuzzolo della montagna, perché la funivia ad una certa chiude e non si può tornare a valle per la notte. Ricordo vitel tonné, vino francese, tantissime stelle e noi brilli a ridere sopra una terrazza, sospesi in mezzo alle nuvole e il silenzio.
E se occorrono i nervi saldi per non deprimersi nelle situazioni difficili, ancor di più ne occorrono per non montarsi la testa quando accade il contrario. Perché questo mestiere è uno spariglio continuo e la “soluzione alternativa” può sorprenderti da un momento all’altro. Quando meno te lo aspetti. Anche quando sarai qualcuno, quando penserai di aver già dato con la gavetta, di essere salvo ormai, troverai sempre qualcuno pronto a rifilartela. Perché il nostro è un mestiere assurdo, imprevedibile e seducente. Anche per questo l’ho scelto, anche per questo mi piace e anche per questo mi manca così tanto.

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