“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 24 April 2013 17:29

L'esistenzialismo napoletano di Erri De Luca

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Continuo sulla famiglia. Dopo Magrelli, mi butto con un po' di incoscienza su un librino di Erri De Luca. Molto irritante, per la verità. Sono ossessionato dai rapporti familiari che, per accadimenti personali, sono stati del tutto guastati. Una cosa mi è chiara: i genitori stanno diventando il welfare di giovani e meno giovani. Ci sono due milioni di persone che non cercano più lavoro, non studiano e non leggono niente. Se hanno qualcosa in tasca è una madre badante che li sovvenziona. Fino a quando? E come uscire da una vita che si lascia passare così, senza uno straccio di progettualità. Una sorta di orrore di cui si parla poco.

Erri De Luca fa parte della schiera - e perdonatemi l'ossimoro - dei disperati speranzosi.
La scuola dell'ammuina è il primo capitolo di un libro diviso in tre parti. De Luca scrive una cosa molto controversa: "Il teatro è un racconto in cui scompare lo scrittore. Non può scrivere ‘Era una bella nottata di luna’. Lo deve dire uno dei personaggi. Gli avvenimenti sono raccontati e svolti dalle loro voci. Il teatro espelle il narratore dalla pagina, la parola passa in esclusiva a chi la pronuncia".
A parte questo incipit in cui Siti, con il suo Il realismo è l'impossibile (Nottetempo, 2013), potrebbe dire che non c'è un dettaglio, non c'è un escamotage per rendere appetibile il proseguimento della storia, questa storia del teatro che espelle il narratore è una fola. Un’ossessione di De Luca che non trova riscontri nel teatro moderno e mi piacerebbe che uno dei miei colleghi che si interessano di teatro potessero smontare questo assioma mal scritto.
In una vocazione pedagogica De Luca prosegue con parole che aumentano il prurito: "Il dialogo un tempo è stato uno strumento della filosofia: da Platone a Giordano Bruno i dialoghi mettevano in scena un contraddittorio tra un tesi e l'antitesi, conducendo a sintesi il lettore... Dialogo non è un interrogatorio". Anche qui quanto cose potremmo obiettare, in primis - e mi scuserete la banalità di questo assunto -, tesi, antitesi, sintesi: sembra filosofia spicciola.
Poi, dopo un peana su Eduardo De Filippo - perché nessun napoletano può prescindere da lui -, inizia il secondo capitolo. Un fratello non più giovane e una sorella anch'essa adulta, trascorrono il capodanno insieme. I dialoghi sono intensi e brevi, la sorella si lamenta di un fratello che parla poco, disincantato, come se avesse perso un amore, una persona, qualcuno. Giocano a tombola e aspettano i botti.
Lui affacciandosi alla finestra dice: "Vedo altre città, non riesco a vedere semplicemente Napoli. Questa finestra per me si affaccia su posti del passato. Vedo Sarajevo, Mostar, Belgrado e vedo pure New York".
C'è accumulo di cose, di sensazioni anche dolorose, De Luca però non entra nel tuo animo, sembrano descrizioni di maniera, almeno per me. Lingua bellissima, con quell'italiano molto curato e poi quella definizione della sorella: "È la tua città. Tu sei sembrato Napoli, come la mia finestra. Rughe napoletane, mani che fanno mosse napoletane, pure quando stai zitto fai un silenzio napoletano. Te la porti tatuata".
Successivamente compaiono, dopo che la luce è andata via, i fantasmi della madre e del padre, una situazione molto "eduardiana", tale da far pensare, riprendendo ancora Siti, che De Luca abbia qualche problema con il verosimile (pare questo momento storico sia favorevole ai fantasmi, in letteratura soprattutto - e qui ci piace ricordare un articolo di Helena Janeczek apparso su Nazione Indiana qualche giorno fa riguardante un bel libro di Andrea Bajani che è il racconto di un'amicizia interrotta da una morte, Mi riconosci: http://www.nazioneindiana.com/2013/04/01/mi-riconosci/ ). Il padre parla della guerra in Albania, senza un vero motivo. In buona sostanza le presenze dei genitori non danno nerbo alla storia, sembrano soltanto un'aggiunta.
Niente a che vedere con la verità tra padre e figlio di Valerio Magrelli, in Geologia di un padre, che emoziona veramente, dove la storia è centrata e ne abbiamo già parlato ( http://www.ilpickwick.it/index.php/letteratura/item/356-il-padre-e-il-figlio-maschio). Ma un pezzo ve lo riporto per capire la differenza rispetto al sentimentalismo poco verosimile di Erri De Luca: "Al momento del suo funerale, intercettai sulle scale di casa l'addetto alla sepoltura, che si stava avviando al cimitero con una fotografia di mio padre scattata pochi giorni prima. Era per la lapide. Ma l'immagine, sconfortante, rappresentava un vecchio in una vestaglia a colori, esausto, stremato. Mi impuntai, discutemmo in famiglia, e alla fine, cercando in fretta e furia, riuscii a scovarne un'altra in bianco e nero, dove appariva giovanissimo, un ventenne.
Perciò, sulla tua tomba, adesso sta l'immagine di un ragazzo compunto, sussiegoso, che va studiando con cura la sua posa (magari rifacendosi a qualche amato attore hollywoodiano), per prepararsi ai tempi che verranno".
Invece, i genitori-fantasma di De Luca, si limitano a dire come i figli sono invecchiati.
Intendiamoci, non è che De Luca debba imparare qualcosa da Magrelli, ma questa sensazione che il napoletano abbia fatto un mix di sentimentalismo e di orrore quotidiano, in un  contesto "fantasmatico", non convince, non del tutto.
Io lo chiamerei, sbagliando forse, "esistenzialismo napoletano".
Niente a che vedere con il nuovo esistenzialismo francese, quello per dire di un Michel Houellebecq che, invece, si sbarazza di genitori, di figli, di sorelle e fa vivere il suo personaggio solo, impregnato di sarcasmo e disperazione "vera" in Estensione del dominio della lotta. Basta leggere l'incipit: "Venerdì sera sono andato a una festicciola a casa di un collega di lavoro... a un certo punto una scema ha cominciato a spogliarsi. è rimasta così a ancheggiare in mutandine... si è rivestita. Peraltro è una che non la dà a nessuno; il che sottolinea l'Assurdità del suo contegno". Ecco in questo caso non vi viene voglia di continuare immediatamente con la lettura, di vedere come va a finire di un trentenne di cui non sappiamo niente?
Invece, in Erri De Luca, tutto è farraginoso, pesante, studiato al tavolino.
La doppia vita dei numeri è un libro di poche pagine, che si legge tutto d’un fiato, ma ti lascia vuoto, senza emozioni. 

 

 

 

Erri De Luca
La doppia vita dei numeri
Feltrinelli, Milano, 2012
pp. 69

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