“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 13 July 2018 00:00

Un flusso di vita

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Non avevo ancora compiuto diciott’anni, quando una mattina ho deciso di trasformare la mia stanza da letto nella cella di meditazione. Domandarmi il perché era del tutto inutile. Una perdita di tempo. Ho cominciato presto, dalla prima adolescenza, ad avvertire una forte esigenza di immaginare il mio futuro percorso di vita. E per quali finalità. Così come se mi fosse stato possibile dare sostanza al mio eventuale obiettivo a dispetto di quello che avevo già intuito, ovvero il dover fare i conti con la casualità o gli schemi tradizionali.

Figlio di una famiglia che allora si usava definire proletaria, mio padre cameriere da un ristorante all’altro, mia madre che lo seguiva come addetta a mantenere ordine e pulizia nelle rispettive cucine, dopo le scuole superiori pensavo di iscrivermi all’Università − a quale facoltà non mi era ancora del tutto chiaro − e i miei erano risoluti a darmi tutto il loro appoggio, sacrifici economici in particolare, per farmi approdare a una classe sociale superiore alla nostra.

Dopo una notte insonne questa mattina, oggi è domenica, ho faticato a decidermi di alzarmi. La mente intorpidita.
− C’è qualcosa che non va, Claudio? − mi chiede mia moglie Elena mentre, seduta sull’orlo del letto, mi porge il solito piattino contenente crostini con miele.
− Ho dormito male, ma non so spiegarmi perché.
Ci siamo conosciuti dopo la mia laurea, e abbiamo subito deciso di sposarci. Il nostro piccolo Niccolò, che oggi ha sette anni, è nato dopo meno di un anno dal matrimonio.
− Vedi Elena, siamo persone nel mondo. Abbiamo bisogno di capire qual è il nostro ruolo, pena l’insignificanza del nostro essere.
− Tutti?
− Beh, così dovrebbe essere. Ma in realtà...
− In realtà?
− Sì. Lo so bene che tu conosci già la mia risposta.
− Certo che la conosco. Devo però dire che ultimamente dai l’impressione di non essere più per certi aspetti quello che eri quando ti ho conosciuto.
− Ma no... ma no, sono sempre quello di una volta. Sai cosa ti dico?
− Dimmi.
− Fin qui a soli trent’anni ho già avuto un vivace alternarsi di situazioni di successo sul lavoro, tuttavia non mi sento soddisfatto. Non intendo riferirmi ai risultati economici e di prestigio, bensì alla mia interiore ricerca, vale a dire quale definitivo fine mi pongo per la mia vita. C’è in me, lo avverto, un’aspirazione primaria a dare il meglio di me stesso nelle varie attività che ho svolto e, credo, svolgerò sempre più intensamente.
− Hai cambiato, per tua volontà, un sacco di posti di lavoro in soli dieci anni. Con ottimi risultati. Non è forse il caso di mettere i piedi per terra e impegnarti senza deviazioni in un piano che corrisponda alle tue autentiche capacità e condizioni esistenziali? Sei un uomo di livello superiore rispetto alla media.
− Un uomo di livello superiore in giacca a cravatta.
− Spiegati meglio, non essere criptico.
− Stai tranquilla, sono un uomo felice. Non mi manca nulla e ho una splendida famiglia. Tu sei l’autentica ragione della mia vita.
− Tutte valide ragioni per non guastarti il sonno, o no?
− Sì amore, ma che facciamo adesso? Il letto ti aspetta.
− Solo il letto?
− No, è questo uomo che hai definito superiore che ti vuole. Un uomo che un giorno non lontano ti farà conoscere l’arte della flessibilità del vivere. Vedrai che insieme conosceremo la qualità narrativa della nostra vita che andrà oltre la quotidianità. Noi due non siamo fatti per un’esistenza fine a sé stessa.

I miei tempi non possono mai essere infiniti. Mi sono bastati due anni. È stata una sorta di scommessa gestionale. Sono stato assunto da una società finanziaria con l’obiettivo di raddoppiare il volume degli investimenti e di riqualificarlo. Non mi è stato difficile centrare il risultato. Come compenso, peraltro preventivamente concordato, una cifra di tale portata che mi consentirebbe di mantenere il nostro ritmo di vita famigliare per almeno cinque anni.
Ed è qui che si apre il passaggio per avvicinarmi ai contorni di un quadro dello stare al mondo che da tempo vado cercando. Sino a ora sono andato alla ricerca direi esclusivamente della mia affermazione al massimo delle mie capacità. Qualcosa che, allargando il concetto, si potrebbe chiamare solipsismo carrieristico. Ma che dire del mio rapporto con gli altri per poter fuoriuscire dai progetti privi di originalità? E perché non tentare di staccarmi da me stesso come unico protagonista della mia vita e inserirmi in un contesto pluralistico? Agire e sentirmi parte di un insieme di umanità. Lavorare per me stesso non meno di quanto potrei e dovrei fare per i miei simili.
Pur avendo un rapporto di apertura senza limiti con Elena, non le ho ancora accennato di quanto sta maturando nella mia mente. La devo preparare gradualmente. Del resto, io stesso non ho ancora messo a punto una possibile svolta coerente alla mia nuova concezione di farmi parte attiva alle idealità e necessità di altri individui.
Per non correre il rischio di elaborare ipotesi non rigorosamente inquadrate − ciò su cui sto riflettendo e informandomi secondo logica riguarda la mia famiglia − ho firmato un contratto di lavoro che per un po’ mi terrà occupato e lontano da fughe da realtà possibili. In ogni caso mi sento già in via di trasformazione, per così dire, e pur lavorando intensamente, come è nel mio stile, il mio pensiero è rivolto in varie direzioni. Sto raccogliendo informazioni che, approfondite, potrebbero interessarmi. Dal canto suo, Elena gradirebbe cercarsi un lavoro, magari in una libreria considerata la sua profonda conoscenza della letteratura. Ma parlandone siamo arrivati alla conclusione che è preferibile che dedichi sé stessa ad accudire Niccolò. Che promette bene.

Per Elena un nuovo scenario di vita. È quello che potrebbe presentarsi quando sarò tornato da un viaggio − diciamo così − di lavoro all’estero. Da quando ci conosciamo è la prima volta che le nascondo la verità. Non si tratta di un viaggio di lavoro, bensì di una puntata in Irlanda, presso una società che organizza iniziative di volontariato, per mettere insieme utili informazioni finalizzate all’idea che sta gradualmente prendendo consistenza nei miei programmi. Naturalmente mi ci vorrà tutta la mia capacità di capire se Elena non ha valide se non persino irremovibili riserve per prendere parte attiva in quello che dovrebbe essere il mio punto d’arrivo, sia pur temporaneo magari, nella ricerca di una chiara e non comune condizione di vita lavorativa.
− Come è andata in Irlanda? − mi ha chiesto al mio ritorno.
− Bene, direi. Era necessario andarci per approfondire alcuni aspetti del lavoro che sto facendo... per un periodo anche breve, come da contratto che tra non molto scadrà.
− Già, ma se l’incarico che ti hanno dato ti entusiasma, come mi hai detto all’inizio, perché non rinnovarlo e farti assumere stabilmente con responsabilità di General Manager? Non è ora che tu scelga un rapporto stabile? Sei stimato al punto che puoi tranquillamente pensare di non avere limiti per i futuri sviluppi di carriera. Claudio, prova a pensarci. Un conto è il successo, appagante fin che vuoi, ma attenzione a non cadere vittima di una rincorsa ossessiva verso non so che.

Un’esperienza di volontariato internazionale per chi ama la natura ed è interessato a sperimentare nuovi stili di vita. Sostanzialmente uno scambio tra persone autonome e attività produttive. Come potrebbe essere, a esempio, una libera collaborazione tra volontari e proprietari di fattorie.
Ed è da qui che voglio concedermi un modo di essere in piena libertà. È il frutto delle mie ricerche che si stanno concretizzando. Non ho dubbi che Elena sarà con me. Gliene debbo parlare, perché siamo arrivati al via libera. Quanto durerà poi, avremo modo di deciderlo di comune accordo.
− Partiamo tra un mese, giusto il tempo di organizzare per bene l’impresa. E ci fermeremo là un paio d’anni, un salutare bagno di pura umanità, dico a Elena.
− Hai fatto tutto senza chiedermi almeno cosa ne pensavo. Ma mi fido di te. So che non pensi soltanto a te stesso, anzi. Tu vuoi creare le condizioni per un’esistenza famigliare speciale, più caritatevole, più ricca di empatia e di autoaffermazione non disgiunta dal resto del mondo. Ma dove andremo, e che mi dici dell’Organizzazione che promuove queste esperienze? E poi hai sicuramente pensato come mantenerci degnamente, per non parlare dei vantaggi che dovrebbe trarne Niccolò in materia di conoscenza delle lingue estere e arricchimento culturale, non è così amore mio?
− Andremo in un Paese dell’America Latina, lo deciderò in questi giorni. Nature’s Farms è l’Organizzazione irlandese che opera con ottimi risultati in varie parti del mondo. Quanto al mantenerci non preoccuparti: sarò pagato, sebbene lo stretto necessario, ma vitto e alloggio non ci costeranno... e poi non dimentichiamo che in questi anni grazie al mio impegno ad alto livello in non poche realtà imprenditoriali e finanziarie abbiamo potuto mettere da parte un cospicuo patrimonio investito nel modo più che profittevole.
− Dunque ci siamo − mi dice lei avvicinandosi quanto basta con quel suo sorriso caldo e invitante dei nostri intimi incontri.

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