“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 01 June 2018 00:00

Fantasie in sala conferenze

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Quei lati nascosti 


Lunedì mattina di ogni settimana. Puntualmente, alle nove. Ci siamo tutti, più uno. È lo Staff Meeting: ognuno di noi cinque dirige un Department che tratta singoli Rami assicurativi. L’altro è il General Manager.
Siamo al quarto piano del grattacielo nel centro di Milano dove ha sede la rappresentanza italiana della Multinational Insurance Financial (MIF) con Headquarter negli USA, il più grande gruppo al mondo del settore.
Nell’entrare e subito sederci al nostro solito posto, nemmeno una parola.

L’espressione dei miei colleghi concentrata su qualcosa che sembrerebbe preludere a importanti novità. Ma sarà davvero così? − mi chiedo. C’è sempre un’aria strana. Chissà se l’avvertono allo stesso modo anche gli altri. Ho ragione di dubitarne. Ma mi sforzo di non lasciarmi andare a sterili fantasticherie.

Enzo Provera, General Manager, entra regolarmente con cinque minuti di ritardo, il solito sguardo indecifrabile fa il giro del tavolo. Accanto a lui siedono Angela Lamis, capo dell’Ufficio del Personale, e Nello Greggia, responsabile dell’Accounting. I tre fanno parte della Triade Mafiosa, come mi viene da chiamarli. Ma non l’ho mai detto agli altri, sebbene siano tutti quanti al corrente che costoro navigano sott’acqua nell’ambiente aziendale contravvenendo alle regole a fini puramente personali: carriera, benefit economici, servizi di varia utilità, e − qui sta la loro pericolosità − fornendo alla casamadre americana falsità e giudizi negativi sull’operato di quei colleghi (siamo in centosessanta) non di loro gradimento, o meglio convenienza.
Io sono il bersaglio numero uno. Hanno capito che nulla mi sfugge delle loro trame. Troverò il modo di smascherarli.

 

Dal mio punto di osservazione


Oggi è il primo lunedì di settembre. Tra due mesi ogni Department dovrà presentare al General Manager il budget per il prossimo anno. Lui, Enzo Provera, non ha il potere di intervenire sul budget dei singoli Rami.
Nel suo ruolo di General Manager ha il solo compito di trasmettere i dati a New York con eventuali commenti, solitamente ignorati. Il complessivo risultato sarà il locale budget aziendale del gruppo MIF.
Quanto alle garanzie sui rischi assicurativi, la Linea Persona è di mia competenza, a Matteo Besana toccano le coperture dei Danni Industriali mentre Carlo Alberti si occupa dei Trasporti Marittimi.
Da quando ho in carico il mio Ramo − sono tre anni − i miei risultati sono i più profittevoli. Una questione facile da spiegare: mentre i miei colleghi si limitano a seguire senza innovazioni le rigide linee guida del mercato, da parte mia creo con una certa regolarità nuovi pacchetti di garanzia che facilmente si impongono sulla concorrenza. Creatività, insomma. Il che non passa inosservato, suscitando un palese malessere  tra i colleghi.
− Enrico, questa tua nuova polizza Multirischi che hai chiamato JOLLY, bah... non ti sembra, diciamo così, piuttosto liberale e quindi rischiosa per il rapporto premi/sinistri? E poi quel nome... − è Besana che mi rivolge una tale domanda tutt’altro che inattesa.
− No − gli rispondo senza alzare gli occhi dal foglio su cui sto fingendo di annotare qualcosa.
Aspettava solo quello, il General Manager − Parliamone, invece − dice.
− Non è il caso, è stata approvata da New York.
La mia risposta gli ha procurato una sorta di singulto malamente trattenuto. E si soffia il naso per tentare di mascherare il disagio.

Alzo la testa dal foglio e fisso con insistenza l’ampia vetrata che dà sull’esterno alle spalle di Angela Lamis. − Che stai guardando, con tanta concentrazione? Cerchi forse qualche altra bizzarra ispirazione per le tue polizze? − mi chiede.
− Belli questi nuovi grattacieli che, se ti girassi, potresti apprezzare anche tu. O no?
Attimi di silenzio.
Di fronte a me Carlo Alberti sfoglia nervosamente polizze del suo Ramo (troppe, direi) che ha portato allo Staff Meeting senza proporle alla discussione generale. Vuol dire che sta cercando di sviare la nostra attenzione per evitare di farci pensare all’episodio di ieri, quando durante la pausa pranzo, e tutti erano fuori, un archivista entrato nel suo ufficio per consegnargli una polizza lo ha beccato mentre faceva scivolare lente le mani lungo le curve della sua segretaria? Ciò che l’archivista, alquanto divertito, non ha mancato di raccontare qua e là.

Siamo ai primi di settembre. Come è prassi, prima di inviare a New York il budget aziendale, il General Manager lo fa avere in visione ai responsabili dei singoli settori. Sto esaminandolo con quel tanto di dovuta attenzione, ed ecco che un dato mi colpisce: le spese generali a carico del mio Department sono superiori di non poco a quelle reali, mentre gli altri Rami registrano una sostanziale riduzione rispetto all’anno precedente. Il che, per conseguenza, mette in evidenza come il mio Ramo sia in perdita, mentre tutti gli altri in attivo.
Dunque, sta passando il segno. C’è chi di queste squallide faccende si fa prendere da una buona dose di preoccupazione. Non è il mio caso. Anzi.
Devo batterlo sul tempo: un mio scritto circostanziato a New York prima che il buon Provera spedisca il suo imbroglio metterà le cose a posto. E così mi metto a scrivere a mano su un semplice foglio come i dati siano stati alterati ad arte. Sì, lo scrivo a mano e non con una email che potrebbe cadere sotto gli occhi di qualche curioso. Dico alla mia segretaria che scendo al bar di fronte al nostro palazzo per farmi un buon caffè. Ma dopo il caffè − che era solo una scusa − infilo lentamente, molto lentamente, nella casella postale di fianco al bar la mia lettera.

Una settimana con mia moglie nel nostro Buen Retiro in Valbelluna mi ha messo nella condizione di restare in placida attesa di notizie newyorkesi. È stato evidentemente il mio subconscio che mi dava la certezza di un imminente riconfigurazione del quadro aziendale. La Triade Mafiosa.
Ora ho ripreso il lavoro. Una telefonate di Angela Lamis che mi chiede se posso salire nel suo ufficio. Il suo sorriso è di quelli che tradiscono secondi fini. Qualche inutile chiacchera, vuote chiacchiere su come vanno le cose nel mio ufficio. Vaghe le mie risposte. Non sono tenuto a renderle conto del mio lavoro. Aspetto solo il momento in cui si decida a scoprire le carte.
− Ma in fondo noi potremmo darci del tu − mi dice.
− Beh, sì.
− Sai, Provera sta pensando di tenere d’occhio Carlo Alberti... dopo quel fatto della pausa pranzo in ufficio. Io sarei d’accordo, e anche Greggia.
È un maldestro tentativo di ingaggiarmi nella Triade Mafiosa. Non le rispondo.
− Ce ne sarebbero altri da... che ne dici? Mi risulta che a New York si siano fatti un’ottima idea di come noi gestiamo il personale.
− Gestiamo?
Sta per parlare, ma io sono già in piedi e la saluto augurandole buon lavoro. A New York hanno ben altro a cui pensare.
Rientrato in ufficio, vi trovo Greggia stravaccato su una poltrona davanti alla mia scrivania. Con lui ci diamo del tu, ma l’idea non è partita da me. Gli chiedo come va, e sbrigativamente dico che devo mettermi al computer per tracciare le caratteristiche di una nuova polizza che ho in mente di lanciare sul mercato.
− Sempre di quelle fantasiosamente innovative o meglio troppo liberali? Attenzione, non è pericoloso? Prima o poi sai...
Sto già scrivendo. Lui se ne va.

Sorpresa. Sono passate da poco le nove, e vedo spuntare nel mio ufficio Bruce Mellowy. È il mio capo di New York. Non aveva preannunciato il suo arrivo da oltreoceano. Forte stretta di mano e un reciproco sincero sorriso.
− Hai informato Provera? − gli chiedo. Parliamo inglese.
− No. Lo vorrò vedere nel pomeriggio. Di sicuro non se l’aspetta.
Dico alla mia segretaria di non fare entrare nessuno nel mio ufficio e di non accennare alla presenza di Bruce.
Prendendo le mosse dalla falsificazione delle spese generali del mio Department, siamo poi passati a esaminare le svariate violazioni da parte di Provera delle regole manageriali. Squilla il telefono. È Provera che mi chiama, vorrebbe vedermi per non si sa cosa. Gli dico che non ho tempo.
Quando tutti sono usciti per la pausa pranzo, io e Bruce andiamo al ristorante, dopodiché, rientrati in ufficio, lui sale da Provera.
Lavorando serenamente sull’idea della mia nuova polizza non mi sono reso conto che Bruce per non meno di tre ore è rimasto nell’ufficio del General Manager.
Ora Bruce è qui davanti a me. Ci guardiamo negli occhi con aria d’intesa. Sono io che parlo − Allora come è andata col nostro...?
− Fired − risponde, e mi dà un’amichevole stretta al braccio.

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