“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 12 September 2017 00:00

L'innocenza del male

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“Oh, eppure ti strapperò il cuore!”, gridò all’invisibile distesa selvaggia.
 

Ho letto Heart of Darkness di Joseph Conrad una volta, poi un’altra ancora, ma non bastava, allora ho ripreso alcuni passaggi, dialoghi, momenti a mio parere rivelatori, tutto si è amalgamato in un sogno confuso, in una dimensione onirica e lontanissima dai codici attraverso i quali noi tutti tentiamo di interpretare il mondo; qui non c’erano ragione e teorie che resistessero alla purezza della sacralità più primitiva e incontrollata. Cuore di tenebra è un libro sacro nell’accezione più antica del termine, ma sarebbe più corretto definire ‘sacro’ il personaggio intorno al quale ruota tutta la vicenda e che nel libro proferisce pochissime parole e quasi tutte sussurrate, nonostante la narrazione sia pregna del fascino di questo personaggio continuamente annunciato, desiderato, temuto e osannato.

Forse sono fuori strada, ma a me l’intero racconto ha fatto pensare moltissimo all’eterna diatriba tra apollineo e dionisiaco, cara al nostro Nietzsche giovane, come se negli atti del capitano Kurtz manchi la giustificazione estetica e ogni suo gesto provenga da un Dio folle e primigenio, caotico e sconvolto dalle passioni e da un istinto parossistico e per questo puro e devastante. Ciò che gli ruota attorno è un tentativo di ordine, la restituzione, attraverso un metodo, di una forma che possa contenere la sua tribale attività.
La storia è semplice, ci troviamo sul Tamigi, una iole da crociera è ancorata in attesa di condizioni favorevoli per riprendere il suo viaggio, a bordo i membri dell’equipaggio tra questi Marlow, un vecchio marinaio che inizia a raccontare una storia da lui stesso vissuta. Marlow sarà uno dei pochissimi ad avere un nome all’interno della narrazione e c’è sicuramente un motivo per questo, Joseph Conrad ha scritto un capolavoro, nulla è lasciato al caso, soprattutto in Cuore di tenebra dove ogni cosa appare come simbolo e misterioso sogno. Marlow racconta del suo viaggio in Africa, allora continente quasi sconosciuto, al servizio di una Compagnia commerciale europea che in quei luoghi fa razzie di avorio, con stermini annessi. Attraverso un fiume che serpeggia nella foresta più fitta e a bordo di un battello a vapore, Marlow affronta la sua missione che è quella di raggiungere la base di un misterioso capitano Kurtz. Tale personaggio all’interno della Compagnia sembra essere il migliore nella caccia all’avorio, ma per oscure ragioni i suoi metodi disturbano i funzionari, il compito di Marlow è quindi raggiungere via fiume la base di Kurtz e riportarlo indietro. Entriamo nel primo cuore di tenebra: la natura selvaggia e i suoi abitanti. Conrad è un narratore perfetto, un maestro raro nella descrizione di questi luoghi spaventosi e della potenza che una natura incontaminata può esercitare in maniera quasi violenta sugli osservatori. Il battello viene letteralmente ingoiato dalla gola scura che le sponde del fiume offrono allo sguardo; qui si esplica anche la prima critica socio-politica al colonialismo, la maestria dello scrittore e la sua imperturbabile fedeltà alla letteratura stanno proprio nel fatto che la sua critica si articola attraverso i codici stessi dello strumento letterario. In quel passo in cui il passaggio degli europei e il loro stesso modo di scrutare il circostante paiono essere qualcosa al di fuori della realtà giusta delle cose, quasi come preda di una lugubre e insensata allucinazione, tutto ciò viene contrapposto alla presenza degli autoctoni, occupati spesso in riti tribali, somiglianti nei lineamenti a maschere grottesche, grondanti di sudore, eppure naturali e veri come la risacca lungo la loro costa: “Non dovevano giustificare il fatto di trovarsi lì. Era un gran conforto vederli. Per un po’ sentivo di appartenere ancora ad un mondo di cose chiaramente comprensibili”.
Qui Conrad con grande poeticità ci ricorda chi sono gli invasori e gli usurpatori, in questa meravigliosa visione in cui persino la natura − quella più estetica − condanna con giustizia figurativa gli uomini nei loro atti barbarici. In questo cuore di tenebra il mondo è un luogo oscuro e pieno di presenze terrificanti e rassicuranti, nella fitta natura ispida si nascondono presenze e suoni, le leggi, le religioni e la ragione che subentrano in tutte le società sviluppate, qui rimangano vaghi presentimenti, lo spettacolo si sottrae al tempo che tutto ferma lasciando morire ogni cosa e apponendo il marchio del passato, in questo luogo crudele ogni cosa è pura, persino la mente degli uomini, nessuna forma normativa ha tipizzato il mondo, siamo agli albori dell’oralità, resistono il rito e il canto, la nenia parossistica che produce un’esaltazione dei sensi i quali afferrano la linfa di tutte le verità, costruite artificialmente nel mondo civilizzato. Non ci può essere menzogna in questo universo, perché il corpo in primis si impegna nel suo rapporto con le cose. Conrad descrive questo mondo come misteriosamente vuoto, poi riempito di nomi e tracciato inesorabilmente sulle mappe, quindi trasformatosi in un luogo di tenebra. La tenebrosità di questo luogo deriva dalla profonda contraddizione del suo svelamento che produce – resistendo – solo buio e altro mistero, anziché luce e chiarezza. I nomi non hanno potuto nulla contro la natura pregrammaticale del continente, non l’hanno cambiata, l’hanno solo resa più oscura ai nostri occhi.
In questo cuore di tenebra si nasconde un’ennesima tenebra, più fitta, ma chiara, cristallina, perfetta: è il capitano Kurtz, proprio lui che è il più proficuo e attivo membro della compagnia, colui che non fallisce una missione, il maggiore cacciatore di avorio, improvvisamente diventa un pericolo, una minaccia, ma a cosa? All’ipocrisia del male, alla banalità del male occidentale, al perbenismo borghese, a tutto ciò che è meschino senza avere la forza di diventare cattivo. Kurtz è il male, è la tenebra stessa, ha avuto il coraggio disperato di guardare dentro il cuore dell’oscurità e servire e adorare quell’irreparabile buio. Lui è il male puro, capace di vedere se stesso, di dire se stesso (infatti viene spesso descritto come una voce, nient’altro che una voce dall’eloquenza magica). I suoi metodi, perché è questo ciò che lo inchioda, non sono più accettabili poiché la sua violenza è manifesta: “Sembrava che improvvisamente fossi a un passo dall’essere trasportato in una buia regione di orrori sottili, dove la pura e semplice barbarie era un sollievo positivo, essendo qualcosa che aveva il diritto di esistere – ovviamente – alla luce del sole”. L’anima di Kurtz viene definita senza leggi, quindi priva della maschera della civiltà, a Kurtz non ci si può appellare nel nome di alcunché di nobile o abietto. Non c’è nulla né al di sopra né al di sotto di lui, ma allo stesso tempo anche un’anima trasparentemente pura. La sua è una tenebra impenetrabile, quindi non corruttibile dagli sporchi e vili giochetti della società europea, quella società che compie il male con una certa discrezione, svilendo così il male stesso. Il nostro male è la paura di quella tenebra, il terrore di scoprire ed entrare in quell’oscurità che ci abita e dalla quale fuggiamo senza muoverci dal suo orlo e compiendo azioni malvagie sotto mentite e dorate spoglie.
Nelle primissime pagine Marlow spiega bene la differenza tra i funzionari (salvati dall’efficienza) e la forza bruta di uomini che si buttano alla cieca nella violenza, come si addice a coloro che affrontano le tenebre. Non è un caso che Kurtz abbia un nome proprio, lo stesso Marlow che lo racconta ha un nome, gli altri vengono tutti definiti dalle loro funzioni. Kurtz è il Dio di un male innocente, quindi radicale, al di là del bene e del male, come solo l’amore sa esserlo, entrambi sono gli unici due sentimenti in grado uccidere o salvare un uomo.

 



Joseph Conrad
Cuore di tenebra (Heart of Darkness)

Newton Compton Editori, Roma, 2013
traduzione Flaminio Di Biagi
pp. 127

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