“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 05 August 2017 00:00

Sopra il ponte la luna

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Cosa facevo in quei momenti? Non me ne andavo a vagare per la città appena svegliatasi con l’alba. Non avrebbe avuto senso. Un amico al quale fare una telefonata rasserenante l’avevo, ma non mi andava di buttarlo giù dal letto. Finivo allora per sedermi puntualmente sui gradini del ponte del Naviglio Grande poco distante da casa mia. Dove vivevo ormai solo, da quando lei se n’era andata. Almeno un paio d’ore osservando la conca – che mi appariva somigliante alla mia vita – fumando una sigaretta via l’altra. L’insonnia mi attanagliava. Le notti bianche.

Oggi Adriano è qui seduto con me. È l’alba, come mi capita da tempo. L’amico di cui parlavo è lui. Si è reso conto che il mio equilibrio emotivo dà evidenti segni di precarietà. Per cui qualche mattina viene a farmi compagnia, qui dove l’acqua scorre e si collega alle varie conche per poi portarsi verso i laghi, la Svizzera e altri sbocchi minori.
Con Adriano siamo amici di lunga data. Prossimi ai cinquanta viviamo vite diverse. Lui ingegnere alla dipendenze di una società francese. Fa quel che si può deffinire il “tagliateste”, la direzione lo spedisce in giro per il mondo là dove la rappresentanza locale non dà i risultati sperati. E il suo compito è di rimuovere e sostituire i dirigenti locali o, non di rado, chiudere del tutto l’attività. Un lavoro, il suo, poco appagante, che peraltro lo tiene per lunghi periodi lontano dalla famiglia. La moglie Loredana e due maschi gemelli sui venti o giù di lì. Non è un duro, ma accetta quell’ingrato compito perché gli procura un ricco stipendio.
Quanto a me, direttore di banca, dopo un certo tempo passato a fasi alterne più basse che alte con mia moglie Valentina, è finita che lei se n’è ritornata a casa dei genitori portandosi con sé nostra figlia Lidia che sta per iscriversi all’Università, facoltà di filosofia. Una storia che ha dell’inverosimile, la nostra. È successo dopo quattro anni dal matrimonio, durante i quali tutti e due ci siamo presi qualche libertà. Ma senza drammi. Poi lei ha conosciuto una coppia sui sessanta di stralunati, marito e moglie, che avevano dato vita a una sorta di associazione – in realtà una setta – che si proponeva di fare proseliti imponendo agli aderenti rigorosi stili e abitudini di vita, tipo quali amici scegliere, di quale cibo nutrirsi, come comportarsi con gli altri, e tanta altre cazzate varie. Il tutto costava agli adepti – o eletti, come usavano chiamarsi tra loro – un sacco di soldi che venivano intascati dalla copia di Guru fondatori. Demenza assoluta, pensavo dopo l’adesione di Valentina. Ne abbiamo discusso a lungo, ma non c’è stato niente da fare. Tra l’altro ho avuto la prova che i membri della setta scopavano senza limiti nei loro cosidetti incontri mistici. Alla fine non mi è restato che imporle di andarsene da casa. Ma non ho potuto trattenere con me l’amata figlia Lidia, perché avrei vissuto da solo senza nessuno che potesse aver cura di lei. Senza una madre, insomma.

L’ho affisso appena sposato nella camera da letto. È un poster di un famoso dipinto espressionista di Paul Klee; Rote Brücke. Difficilmente un quadro mi ha tanto affascinato: su uno sfondo blu una varietà di segni che impegnano l’immaginazione, l’intuizione di chi li osserva; su tutto l’abbagliante insieme si impongono alla sensibilità visiva un rosso ponte che ti prende per l’intensità che esprime, e nel cielo sopra il ponte svetta una luna piena di rara purezza. Un sogno per i miei occhi.
Adriano appare sempre più attento a osservare il mio stato emotivo. È quasi l’alba. Su questo piccolo ponte milanese guardiamo insieme il magico cerchio lunare che sta lentamente scomparendo nel cielo. Lui sa delle emozioni che mi procura quel quadro di cui parlavo.
– Niente a che vedere, Enrico, con quella luna su tela che tanto ti emoziona – dice.
– Non è certo la stessa vibrazione del mio sentire quella che avverto guardando in alto. Ma c’è qualcosa in più, qui dove siamo adesso, che mi mette in uno stato d’animo che in qualche maniera commuove il mio intelletto. E non solo.
– E cos’è?
– Prova a pensarci – in un giorno come oggi – era tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo quando Leonardo da Vinci, studiava la conca del Naviglio Grande. Un geniale artista, eclettico come pochi. Affascinato da Milano.
– Già. Oltre che pittore potrei chiamarlo ingegnere, come me. Si fa per dire, naturalmente. Dài, prova a riderci un po’ sopra.
– Ridere mi riesce ancora, ma mi manca mia figlia.
– Ti capisco. Perché non ti cerchi una compagna con la quale vivere e quindi portare Lidia a casa tua? Del resto, non dovrebbe essere un’impresa impegnativa più di tanto. Ti conosco bene.

Capita a volte che dopo aver passato quasi una notte seduto sul ponte, d’improvviso uno sciamare di giovani, ragazzi e ragazze, attraversa saltellando quasi a passo di danza la stradina accanto al ponte. I miei occhi corrono subito verso quelle giovani briose, gioiosamente vocianti, lo zainetto sulle spalle, qualcuna fuma. Ed è in quei momenti che mi si stringe il cuore per la mancanza di Lidia. Cosa starà facendo? Quali i suoi sogni? Le sue avventure giovanili? Una ragazza dalla purezza che t’incanta. Nella mani di un ectoplasma quale è sua madre.
Ma quanto potrà durare tutto ciò? Questa mia tristezza che mi logora giorno dopo giorno: Qualcosa dovrà pur accadere. O meglio, dovrò pur fare. A costo di far deflagrare un conflitto con Valentina, i suoi possessivi genitori. Il tutto a scapito di mia figlia che potrebbe soffrirne.
Ne sto parlando con Adriano.
– Quanti anni ha adesso? – mi chiede.
– Diciotto tra un mese.
– Quindi a un passo dall’essere maggiorenne. Sei suo padre, vedi di parlarne a un neurologo, magari va’ anche in un Commissariato di Pubblica Sicurezza, ne hai tutto il diritto, chiedendo se qualcosa si può fare per togliere quella figliola da un ambiente che potrebbe compromettere il suo domani, prigioniera com’è di quel covo di stregoni che hanno avvelenato il senso umano di sua madre.
– Forse dal neurologo dovrei andarci io.
– Ma suvvia, sei un uomo colto dall’intelligenza razionale e hai successo sul lavoro. Scrollati dalle spalle certi timori, e passa all’azione.
– Ci penserò, mi serve un breve periodo di tranquillità per riflettere e non commettere errori.
– Sì, ma sbrigati.

Al Commissariato di polizia non sono andato di mia volontà. Mi hanno chiamato loro. D’urgenza.
– Lei sa cos’è successo a sua figlia? – chiede l’agente che mi sta seduto di fronte con un cipiglio che subito mi preoccupa.
– No. Ditemi di che si tratta. – Mi tremano le mani.
– Bullismo è dir poco... può darsi che... lei può immaginare. Ma prima ci parli un po’ della ragazza. Abbiamo bisogno di saperne di più sulla sua vita, le compagnie che frequenta.
– La prego, sia chiaro.
– L’ha aggredita un gruppo di minorenni sbandati. Nella periferia ovest della città.
– Ma cosa le hanno fatto. E dov’è adesso di preciso?
– Lei dice di essersi difesa, e che non le hanno usato violenza. Sono soltanto riusciti strapparle la maglietta e qualcos’altro. Ma vogliamo esserne certi, la faremo visitare da un medico. Solo dopo potremo avere elementi sicuri per denunciare i colpevoli. Adesso è all’Ospedale Maggiore per i necessari controlli. Se vuole, la faccio accompagnare là.
– Sono qui in macchina, ma mi sento più sicuro se c’è con me un vostro agente.
Dalla stanza dove è ricoverata mi scorge subito, esce dal letto e mi corre incontro abbracciandomi. Dietro di lei il medico che mi dice:
– Nessun segno di quel tipo di violenza, può stare tranquillo.

Sono bastate due settimane per essere autorizzato dal Tribunale a riportare Lidia a casa mia, che adesso è assistita da una colf. La vita che conduce è serena. Ha riconquistato il suo splendido sorriso. Sta svolgendo le pratiche per iscriversi all’Università.
– Papà, cosa intendi fare adesso con la mamma?
– Semplice, mia cara, siccome per il momento siamo solo separati chiederò al più presto il divorzio. Tua madre è ormai del tutto irrecuperabile. Lo dimostra il fatto che dopo quello che ti è successo non si è neppure fatta viva per sapere come stai e cosa intendi fare.
– Da lei e da quei nonni irresponsabili non voglio più tornarci. La mia vita sarà ormai qui con te. Grazie papà! Mi hai salvato da un grave pericolo. Pensa che mamma voleva convincermi a entrare a far parte di quella setta di fanatici, sarebbe stata la mia rovina.
– Ma dimmi Lidia, sinceramente come hai potuto entrare in quella compagnia di giovani bullastri?
– Papà, tranquillo.
– D’accordo, ma dimmi tutto.
– Papà, credevo di essermi innamorata di Vittorio. Vitto, io lo chiamavo. È un bravo ragazzo, ma fragile. Non si era accorto che i suoi amichetti, chiamiamoli così, erano dei balordi. Ce ne sono in giro di questi tempi.
– Lo so.
È domenica, sono con mia figlia lungo il mio Naviglio, lo osservo con altri occchi rispetto al solito. Quante notti insonni ho trascorso su quel ponte! Ma ora tutto è cambiato, siamo tornati alla normalità. Ci stiamo dirigendo in un ristorante dove ci raggiungerà Adriano con la famiglia.
– Hei tagliateste, da dove sei tornato, e come va?
– Vengo dal Canada, dove ho dovuto fare un po’ di pulizia. E tu?
– Come vedi sono qui con la mia adorata Lidia, che è definitivamente tornata nella sua vera casa. E ti do anche una golosa notizia: di Valentina non si hanno più notizie, sembrerebbe che sia fuggita chissà dove con uno di quei pazzi della setta. Me l’hanno fatto sapere quei suonati dei suoi genitori. Ma io la farò cercare, con ogni mezzo legale. Voglio assolutamente divorziare, e non sentire più parlare di lei.
E questo è tutto.

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