“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 26 June 2016 00:00

Tenero è il disordine

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Pochi chilometri, una vita. Ha impiegato quasi tre ore, Marcello, per raggiungere Milano, quando di solito gli bastava metà di quel tempo. Montù Beccaria, paese dalle radici antiche che si trova in cima a una collina dolcemente ondulata dell’Oltrepò Pavese, in valle Versa.
Alice, di famiglia benestante, si era trasferita lì, nella casa di campagna dei genitori che vivono a Milano, perché pensava che isolandosi dal frastuono e dai ritmi convulsi della città poteva trovare la necessaria concentrazione per fare quello che da tempo aveva in mente. C’erano alle sue spalle due anni di confusione esistenziale che rischiavano di portarla alla depressione se non le fosse capitato di leggere un libro che le era stato consigliato da Mariella, l’amica del cuore e complice delle prime trasgressioni sin dagli anni dell’adolescenza.

Prima di mettersi a leggerlo, quel giorno Alice ha avuto qualche attimo di offuscamento mentale. Poi, come svegliandosi di colpo da un sonno tormentato, ha capito cosa le stava succedendo: il libro – una raccolta di storie brevi – si intitolava Chi ti credi di essere?, autrice Alice Munro. Una folgorazione, non solo perché Alice era anche il suo nome, ma soprattutto perché ormai da troppo tempo poneva a se stessa quella domanda. Senza trovare una tranquillizzante risposta, ciò che le procurava insoddisfazione e struggimento.

– Hai ventidue anni, Alice, ti sembra il caso di fare certe sciocchezze? E poi, perché non ti apri un po’ di più con me? Siamo insieme da più di un anno, pur non convivendo ancora, qualche straccio di consiglio posso dartelo, o no?
– Mi sentivo più insicura del solito, non ero certa che il mio obiettivo fosse di diventare una voce narrante. Una scrittrice, per dirla in modo più semplice. Vedi, sto cambiando persino il mio eloquio. È un segno anche quello.
– Il segno è un altro: hai mandato giù una quantità esagerata di Xanax, rischiando di brutto. Hai sentito cosa ti hanno detto al Pronto Soccorso. Sta’ lontana da quelle  compresse... e decidi una volta per tutte cosa vuoi fare da grande!
– Sì, Marcello. Dammi il tempo che serve. Poi andiamo a vivere nella stessa casa, quella di Montù, per esempio potrebbe andar bene. È spaziosa, modernamente arredata e in una posizione incantevole, rilassante. E non lontana da Milano. I miei non la useranno più, me l’hanno detto.
– Con il mio lavoro sarebbe meglio che vivessimo in città, e Montù potrà essere una piacevole pausa del fine settimana, magari con amici. Là il vino è una delizia.
– D’accordo. Lasciami mettere insieme le mie cose, e settimana prossima mi trasferirò a casa tua.
– A casa nostra, vorrai dire... e per sempre.
– Sì.

Da Piazzale Loreto, infilano Corso Buenos Aires e poco dopo intravedono Corso Venezia, Il palazzo dove abita Marcello. Parcheggiata l’auto, sono subito in casa. È Alice che gioca d’anticipo: Marcello tra le gambe di lei. Non una parola.
– Ne avevamo bisogno – dice lui.
– Devo dirti che è andata come da tempo non...
Marcello si alza dal divano, estrae il pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbotto: ne vuoi una?
– E anche un goccio di Vodka.
Quel goccio e altri ancora – ma c’era d’aspettarselo – hanno provocato in Alice reazioni contrastanti: dapprima risatine isteriche, seguite da un’improvvisa, incontenibile crisi di pianto.
– Che c’è, Alice?
– Ho capito che la confusione che ha disegnato la mia vita fin qui, a un certo punto, da quando ho letto quel libro, ha rischiato di farmi andare fuori di testa. Che c’entro io con la narrativa? Ho fatto studi di economia e finanza. Ho letto molti libri, d’accordo, ma che vuol dire? Ho perso due anni, prima rincorrendo il nulla, dopo tutti quei mesi di auto-reclusione a Montù, inchiodata davanti allo schermo bianco del mio computer, ipnotizzata si potrebbe dire. Eccesso di amor proprio? Dimmi tu qualcosa.
– Vedi, Alice, quella che tu chiami confusione è solo la ricerca del tuo Io. Una ricerca, se vogliamo, piuttosto disordinata, poco ragionata, ma comunque tua, credimi. La questione del libro con quel che segue considerala una sorta di incidente di percorso. Oggi sono in tanti a voler soddisfare il proprio narcisismo mettendosi a scrivere, ma non tutti ne hanno un’autentica vocazione. Ora, però, ho altro da dirti, e molto più importante.
– Ho solo bisogno di sentirmi serena. Aiutami tu.
– Ascoltami bene, fino a oggi non te ne ho mai accennato per rispetto verso i tuoi progetti letterari, ma adesso che anche tu hai capito che quella non è la tua strada. Voglio farti una proposta, per colpa mia forse tardiva, una proposta che vorrebbe essere un’iniezione di quiete e al tempo stesso di entusiasmo nella tua vita. Mi sono fatto una posizione, ritagliato un ruolo di prestigio nella mia attività di disegnatore di oggetti di arredo. Ma fino a ora ho lavorato da solo, girando frenetico di qua e di là, spesso all’estero, senza sosta. Non la faccio lunga: aprirò un ufficio che tu dirigerai per quanto ha a cha fare con la gestione economica e finanziaria del mio lavoro. Non solo – e così potrai anche scrivere lettere promozionali – tu mi farai da marketing assistant, l’estro creativo non ti manca... e in mezzo a quello stimolante casino sarai mia moglie. Dài parla, adesso.
– Sarò la donna della tua vita. Però il matrimonio come pura formalizzazione di un rapporto d’amore non m’interessa.
– Anche a ma va bene così. Ma figli ne vuoi?
– Almeno tre.

L’estate in cui compì vent’anni, Alice mise in scena una pericolosa situazione di vita. In una festa casalinga tra amici, aveva conosciuto un ragazzo, suo coetaneo, che per il modo di fare, e non solo, catturò di colpo la sua attenzione. L’aria sullo scanzonato, ma in qualche maniera studiata, lei lo aveva percepito. Edoardo: lo avrebbe potuto definire eccentrico, con un che di sfuggente. Si sono rivisti in altre occasioni, sempre in compagnia di amici. C’è voluto poco perché il rituale arrivasse alla scontata conclusione.
– Quando ci siamo conosciuti hai pensato che per te sarebbe stato un gioco portarmi a letto? – Alice.
Sono nudi sul divano di Edoardo. Fumano erba.
– No. Tutt’altro.
– Sai, Edo, mi capita sempre così.
– E tu subito abbocchi?
– No. Non sempre, ma il più delle volte. In realtà, sono io a scegliere.
– Era quello che volevo sentirti dire.
– Cioè?
– Ho una grande idea per te.

Sono a cena in Galleria Vittorio Emanuele. Sopra il ristorante il cielo di cristallo racchiuso nella cupola che ispirò la Tour Eiffel. Fuori, il fermento della milanesità. Alice è ansiosa di sapere qual è l’idea di Edoardo.
– Concentrati per bene – dice lui – vedrai che è tutto molto semplice, basta tenere sotto controllo quello che si fa.
Non usa giri di parole, Edoardo, per spiegarsi. In sostanza vorrebbe aprire una Slottery in una zona periferica della città ad alta densità di popolazione a basso reddito, se non ai limiti della povertà, dove tuttavia di recente sono sorti anche alcuni palazzi abitati da ceto medio con velleità piccolo-borghesi. Insomma, tutta gente in un modo o nell’altro in cerca di guadagno, quindi disposta a rischiare.
– Una Sala Giochi? E come si fa? Ci vogliono un sacco di soldi, tanto per cominciare!
– Tranquilla, i soldi so io come trovarli. Una volta aperta la Sala, tu ne sarai l’amministratrice. La cultura finanziaria non ti manca, stai per avere un fior di laurea in quella materia.
– Spiegati meglio.
Durante la cena, per più di un’ora Edoardo non ha mai smesso di parlare elencando tutti i vantaggi economici che ne sarebbero facilmente derivati.
– Certo, immagino che ce n’è per tutti i gusti! Ma tu, dimmi, cosa vorresti fare lo sai già... credo ormai di conoscerti abbastanza – Alice.
– Slot Machine, tavoli da gioco – poker, in particolare – e poi di tanto in tanto potrei mettermi anch’io a giocare, credo di saperci fare... certi trucchetti...
È andata che al termine della cena Edoardo le chiede di mettersi in gioco anticipando cinquantamila euro, che – aggiunti a quelli che aveva intenzione di investire lui – sarebbero stati sufficienti per l’acquisto della licenza.
– E chi ti venderebbe la licenza? – Alice.
Lo sguardo di Edoardo si appanna di quel tanto. – Una persona ben introdotta nell’ambiente, un cinese.
Un attimo, una stretta allo stomaco appena. Nella mente di Alice prende forma e sostanza il dubbio: Edoardo la vuole raggirare. Nei mesi in cui si sono frequentati, nei ristoranti, negli alberghi – quando cercavano intimità – così come per qualsiasi acquisto, comprese le massicce dosi di erba, accampando scuse di ogni genere, Edoardo le chiedeva di anticipare il pagamento del conto. Poi l’avrebbe rimborsata, diceva.
Ora tutto le è chiaro.
– Edo, grazie alla loro attività commerciale in gioielleria i miei, come puoi immaginare, godono di ottime entrate, e non mi lasciano mancare niente. Sono la loro unica figlia. Ma io questo rischio della licenza non lo voglio correre. Mi capisci, vero?
È alterato. – Cazzo, chi ti credi di essere?
Quell’espressione! Se la ritroverà dopo qualche mese nel titolo di un libro che le avrebbe dato una scossa. Coincidenze della vita.
Edoardo la incalza: – Allora, sbrigati. Che vuoi fare? Ne trovo quante voglio, disposte a entrare nell’affare.
– Niente, non se ne parla.

Settimane di solitudine, di rabbia anche. Più volte Alice ha chiesto aiuto alla sua amica più cara – alla quale non aveva mai nascosto nulla – perché l’aiutasse a uscire da quello stato di vuoto sconforto.
– Vedi di trovare in te stessa la forza che ti serve. Ce la puoi fare – Mariella.
È sabato. Squilla il telefono di prima mattina, dalla finestra della sua camera da letto si presentano segni di un sole che sembra promettere il meglio. La voce gioiosa di Mariella. – Preparati, stasera vieni con me a una festa tra amici. Sul Lago di Como, nelle vicinanze della villa di George Clooney. Non ti eccita l’idea? Comunque, ti farà bene.
Ed è stata una serata come non le era mai capitato prima. Gente giovane, della sua età, tanta leggera allegria, spumante delle migliori qualità, musica coinvolgente. Per Alice la liberazione da un incubo.
È quasi l’alba, escono a gruppetti dalla villa in riva al lago le cui acque si stanno striando di un chiarore dorato. Calorosi abbracci e strette di mano, con tanti arrivederci, sentiamoci, questo è il numero del mio smartphone, chiamami presto.
Mariella sta per avvicinarsi all’auto di Alice, sale e le si siede a fianco.
– Mi chiamo Marcello, visto che abitiamo dalle stesse parti e che questa tua amica, nonostante non ci conoscessimo, gentilmente mi ha offerto un passaggio, ne approfitto volentieri. – La voce proviene da dietro le spalle di Mariella, che si gira e coglie il largo sorriso del giovane biondo, già comodamente seduto sul sedile posteriore.

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