“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 14 March 2013 07:32

Perché nun fa juorno? Che vo' di' sta nuttata?

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“I nostri padri erano leoni”, mentre contempla un giro di giostra, figura di donna rende tributo a chi in un tempo remoto ha lottato contro le catene – materiali e culturali – che costituivano viluppo per un popolo costretto ad una condizione di minorità.
Così prende avvio Il silenzio della ragione, il farsi scena delle pagine, le più discusse, quelle che più suscitarono reazione, de Il mare non bagna Napoli; quella figura di donna è Anna Maria Ortese, che rivive in assito, e insiste, mentre gira la giostra, in un afflato civile sul valore e sul senso dell'iniziativa culturale: “Il Borbone è ancora qui, ha solo cambiato faccia”.

Le parole della pagina scritta riecheggiano in scena, rimarcando una visione chiara, che nel libro è affidata alla giacchetta grigia del “ragazzo Prunas”, del rapporto fra cultura e Stato: “L'indipendenza della cultura proclamata indispensabile, il diritto della cultura a sorvegliare lo Stato, qualsiasi Stato, a contenerlo invece che esserne contenuta”.
Il silenzio della ragione, nel suo passaggio dalla pagina alla scena, diventa mimesi di un ritorno; un ritorno negato, quello di Anna Maria a Napoli, che per sua stessa ammissione, dopo la pubblicazione de Il mare non bagna Napoli più non vi tornò, se non fugacemente, di sfuggita, come vittima di un ostracismo strisciante da parte di quella nicchia intellettuale che ella aveva “osato” raccontare, con tanto di nomi e cognomi, descrivendone la stagnazione ed il ripiegamento su se stessa, susseguente alla stagione di grandi speranze che aveva promesso primavera d'intenti attorno alla rivista Sud.
Il silenzio della ragione, nel suo passaggio dalla pagina alla scena, diventa viaggio di ritorno, cammino a ritroso nella memoria e restituzione di un doveroso rivedersi, fra un luogo e chi lo aveva raccontato; le figure narrate e descritte riappaiono nel sembiante di spiriti mascherati, che rimproverano, ancor offesi e protervi, ad Anna Maria una colpa, quella appunto dello “smascheramento” di una condizione lassista dell'intellettuale napoletano del dopoguerra, trincerato dietro un'indifferenza che è a sua volta maschera di un fallimento, di una fine.
A far da psicagogo ad Anna Maria, novello Virgilio per questa discesa in un Ade che, stavolta non somiglia ai Granili de La città involontaria, è Otto Lidenbrock, imprestato da Verne per un viaggio al centro di quella composita terra che è Napoli, a guidar la Ortese "per il bisogno che quelli che sono stati una volta per queste strade hanno di tornarvi, sentendosi esuli in qualsiasi altro luogo" (Il mare non bagna Napoli, p. 146).
Il silenzio della ragione, nel suo passaggio dalla pagina alla scena, assume sembiante di nevrosi onirica, che dell'autrice s'impossessa nel percorso "à rebours" che la conduce a reincontrare quelli che furono i suoi compagni di strada, trasfigurati in personaggi, ipostatizzati in maschere, volatili rapaci che starnazzano e vorrebbero rimbeccarla, mentre al tavolino fanno l'inventario, come se ancora fossero la redazione di Sud. “Io ho solo scritto un libro”, protesta lei, ma dell'amicizia d'un tempo permane soltanto il ripudio, Luigi Compagnone, stavolta, la mano sudata evita persino di porgergliela (“mi ha chiamato 'funzionario', per ben nove volte!”, e la cosa proprio non gli è andata giù). Vasco Pratolini, Domenico Rea, Pasquale Prunas, partecipano ad una sorta di redde rationem con la Ortese, che appare in scena come anima inquieta, come ossessionata da qualcosa che inesorabilmente sfugge alla sua comprensione, qualcosa di cui non si capacita e che la porta a vagheggiare, quasi evocandoli in delirio e a conforto, i propri personaggi (la piccola Eugenia, la triste Anastasia), sentendo come infamante l'accusa di aver raccontato una città – a detta altrui – in cui pure i bambini di Napoli sono visti come topi di chiavica.
Il silenzio della ragione, nel suo passaggio dalla pagina alla scena, racconta l'indifferenza degli intellettuali napoletani, il rapporto fra politica e cultura, imbarbarito da questa indifferenza, a causa di un grembo materno che protegge e che fa sì che l'immobilità sussista e persista come una sorta di difesa naturale di un territorio. Nel suo passaggio dalla pagina alla scena, Il silenzio della ragione si avvale di un'ottima regia, quella di Linda Dalisi, capace di dar sintesi per immagini ad un discorso che sarebbe potuto anche rimaner prigioniero nella verbosità propria di una questione meramente intellettuale e che invece vive in scena senza patir di libresco.
Nel libro della Ortese non è la città in sé ad essere “criticata”, ma il silenzio in cui essa ha poltrito il sonno della ragione; lo smascheramento non le è stato perdonato da quella schiera di intellettuali, eppure c'era nelle parole della Ortese perfino un senso di ammirata nostalgia verso una stagione di temperie culturale che però si è rivelata incapace di giungere a compimento; sulla scena ciò rivive nel furore trasognato che fu proprio della redazione di Sud, sogno che riverbera in piena luce sulla scena.
Assopita su di un tavolo redazionale, Anna Maria completa il suo sogno: “I nostri padri erano leoni”: una maschera leonina si fa da presso al suo corpo addormentato, come a dar reviviscenza a quei sogni che una ragione, che aveva scelto d'esser silenziosa, aveva finito per sopire anche in una coscienza che aveva solo scelto d'esser civile.
Aspettando che la nottata finisca e faccia giorno, il fragore meritato degli applausi.

 

 

 

Il silenzio della ragione
da Il mare non bagna Napoli
di
Anna Maria Ortese
drammaturgia e regia Linda Dalisi
con Michelangelo Dalisi, Francesca De Nicolais, Lino Musella, Fabrizia Sacchi
produzione Teatro Stabile di Napoli
costumi
Zaira de Vincentiis
disegno luci Gigi Saccomandi
musiche originali e sound design Marco Messina
registrazioni e editing Giuseppe Fontanella K-Lab e Giuseppe Stellato 
aiuto regia Francesca Giolivo
collaborazione tecnica Marco Di Napoli, Marcella Spagnuolo
datore luci Carmine Pierri
fonico Alessandro Innaro
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Ridotto/Teatro Mercadante, 11 marzo 2013
in scena dall'11 al 17 marzo 2013

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