“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 19 May 2016 00:00

In danza oltre la morte

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È possibile oramai parlare di uno stile-Dante. Emma Dante ha rifondato il teatro italiano, perché lo ha arricchito di una visuale originale e profonda, di una immanenza corporea e di una filosofia del linguaggio primigenia ma al contempo nuova, e di un punto di vista registico, quindi omnicomprensivo e immaginativo, finalmente femminile.
La Dante – è evidente – unisce suggestioni diverse tra loro, che passano da Grotowski e Pina Bausch, collocandosi in una imperitura, arcaica, universale, femmina, Sicilia. Da lì la sua opera parte, espandendosi alla coscienza individuale e dell’altrove (spaziale, psichico).

C’è un modello di teatro simbolico e fisico, fiero e dolente, colorato e tetro, nella sua visione. Tracciati di povertà o subalternità sono presenti nella sua produzione fin dalle prime opere.
Da poco trasferitami a Bologna, rimasi colpita dalla forza semplice e portentosa di Mpalermu, e cominciai a seguire questa atipica regista. Atipica, perché molto giovane ma già matura e potente. Atipica, perché sicura di sé e quasi dura. Atipica, perché donna a tutto tondo, e presto famosa.
Le sorelle Macaluso è uno spettacolo che rispetta appieno lo stile-Dante: queste sorelle riportano in vita la morte, la svestono del nero e di un simbolico inverno, rivestendola di colori sgargianti e di estate. Gli opposti e le contraddizioni sembrano fare da tappeto a questo spettacolo, da scenario che si fonde con il tessuto emotivo. Il palcoscenico è di un nero quasi compatto, mentre le protagoniste si muovono, e camminano, e corrono, e saltano, e danzano e, quasi sempre in maniera animata, si esprimono, e talvolta urlano.
La storia-narra-la-storia di sette sorelle “prevalentemente” palermitane, visto che ve n’è una con un impressionante, scuotente, accento barese.
Queste sorelle ri-evocano la morte di una di esse. Interessante escamotage “espositivo” che chiama sulla scena, peraltro, i loro due genitori, nella ricostruzione della vita (difficile) della famiglia, in qualche modo ritenuta almeno con-causa della Morte. Morte che fa entrare in scena anche il figlio di una delle sorelle, aspirante calciatore, pure egli morto giovanissimo.
La Morte è il trait d’union delle vite dei personaggi: accade, arriva, quasi per trascuratezza, per superficialità, cioè, disattenzione ai pericoli o alle esagerazioni scherzose che possono tramutarsi in perdita di controllo degli effetti e in rischio dell’esistenza. Così avviene per la sorella che muore per un gioco di apnea forzata tra lei e una delle sorelle; così avviene per il “piccolo Maradona”, talentuoso ma debole di cuore, spinto dalla madre disattenta e forse egoista – o solo disperatamente attaccata ad un miraggio che la distolga dall’ingrata vita quotidiana – a proseguire ad oltranza ed allenarsi ad infinitum per il di lei desiderio di vederlo calcare le scene dello Stadio San Paolo di Napoli ed emulare così l’idolo argentino.
Il padre viene tratteggiato come un pover’uomo che ha tentato di crescere al meglio le figlie, arrangiandosi come riusciva, facendo diversi lavori tutt’altro che edificanti (tra cui quello dello “spurgatore umano”...). Immagini e parole forti, come al solito, insomma. Un uomo fallito, privato anche dell’amore della moglie. Eppure il ricordo, che si unisce con il sogno, lo solleva, alleggerisce e consola: lo si vede ballare con la sua splendida, amata moglie; li si vede insieme abbracciarsi ed unirsi in un unico afflato. Una dolce consolazione: la danza e l’amore sono presentati ed agiti come catarsi, in quanto produttori di bellezza in qualche modo pura, pur se il mondo intorno è sporco e maligno.
Un famiglia fatta di sole figlie, ma in qualche modo, dunque, ibrida, dal punto di vista linguistico – o dialettologico, e certo semantico – dal punto di vista caratteriale (irruenza mista a tenerezza), da quello di genere.
La lingua è veicolo di significato, ed è senso essa stessa. Così accade che le espressioni colorite – fino al superamento della soglia in cui le espressioni stesse diventano epiteti – pronunciate in palermitano e, addirittura più di frequente, dall’unica voce barese, si amalgamino in maniera spontanea e armonica tra loro.
L’autorità esplosiva della voce meridionale, la sua forza evocativa anche quando si fa volgare, popolare all’estremo, è un po’ l’autobiografia di Emma Dante, che qui si compie appieno, visto che questa voce è luogo geografico (l’isola, ma anche, in generale, il Sud), ed è evento e a-temporalità sospesa tra un tempo antico (storia familiare, dentro la storia dell’essere umano) e il nostro tempo solitamente così indistinto. Una voce che si erge a forza calamitante i cui connotati sono chiari e orgogliosi, e ben caratterizzati. Come una scultrice, infatti, Emma Dante lavora un materiale grezzo e compie quella magica trasformazione creativa di sottrazione per giungere al “prodotto” finale, che è insieme messaggio e atto, in un sottostante mesmerismo grottesco e irrinunciabile, perché fonte continua di vita.
La prospettiva femminile (il padre vestito con una sottoveste di seta datagli dalla moglie, ma anche il ragazzino calciatore, a suo modo muliebre per la sua creatività elegante e leggiadra), la “femminilizzazione attiva” del mondo, da ultimo, mi sembrano fresca e al contempo necessaria dinamica contemporanea, che non si accontenta più di un’unica voce dominante, quella noiosa o totalitaria maschile, ma che, grazie all’energia e al coraggio delle donne, riesce a riscrivere (e quindi a rivitalizzare) una Storia altrimenti spesso nera e violenta, o ripetitiva e monocolore. Grazie all’elemento femminile (qualità che va oltre la mera appartenenza di genere), il mondo non muore davvero, si trasforma e colora, sopravvive al dolore ed alla brutalità dell’esistenza, tra risate piene e solidali, premure eterne, e volteggi amorosi, eleganti come piume danzanti.

 

 

 

N.B.: su Le sorelle Macaluso si vedano anche:
Michele Di Donato, La danza delle ombre, in bilico fra vita e morteIl Pickwick, 27 gennaio 2014
Alessandro Toppi, La vita che ti uccideIl Pickwick, 9 maggio 2015

 

 

 

Le sorelle Macaluso
testo e regia Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
scene e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
amature Gaetano Lo Monaco Celano
assistente alla regia Daniela Gusmano
tecnico luci Gabriele Gugliara
foto di scena Carmine Maringola
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National/Bruxelles, Festival d’Avignon, Folkteatern Göteborg
in collaborazione con Atto Unico, Compagnia Sud Costa Occidentale
lingua italiano, napoletano, dialetto palermitano, dielatto barese
durata 1h 10'
Bologna, Teatro Arena del Sole, 3 Maggio 2016
in scena 3 e 4 maggio 2016

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