“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 02 March 2016 00:00

Vuoto cieco

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Le luci si spengono, si accende il buio, un buio chiaro, nitido, dai confini incerti ma dalle intenzioni palesi. C'è un'anima persa, talmente persa da aver smarrito la sua unità, talmente in bilico da aver dato vita al suo doppio, e c'è una coscienza critica, illuminante, che urla la sua epifania, che rivendica la luce, che denuncia il buio, il vuoto cieco.

Una grande clessidra di plexiglass al centro del palco segna, inesorabile, il tempo, il tempo della perdita, della disattenzione, del rumore, il tempo del vuoto; dalla sua bocca quarantacinque minuti di sabbia su corpi tormentati, danzanti, perduti e ritrovati. Abiti che si indossano e si abbandonano come il senso del vivere, un perenne pendolo tra coscienza e smarrimento. Foglie secche che si calpestano e si amano come bosco di sentimenti, foresta dei suicidi. E tre corpi, tre corpi che si danno senza parsimonia, tre corpi che si abbracciano e si allontanano al ritmo battente della sabbia cadente, tre corpi ma un unico grande nulla, il nulla di un'esistenza vuota, cieca, e poi polvere e buio.
La splendida performance, cui assistiamo senza fiato, sembra raccontare di una donna cieca e di un fidanzato che allontana un sogno di matrimonio e abito bianco, ma lo spettacolo che ci incanta dice altro rispetto alla pretestuosa sinossi.
La cecità a raccontare il vuoto, l'assenza di respiro a palesare l'essenza del nulla. Lo spettacolo cui assistiamo in tutta la sua interezza − nell'intelligenza dei suoi testi, degli oggetti di scena e delle ombre che porta in ribalta − dice del comprendere il senso nel silenzio, del guardare con attenzione per acquisire conoscenza, del visitare, del riconoscere, del comprendere, del giudicare.
Non so se sono puro soffio o memoria, non so se credo, ma sono morte, sono qui a respirare vita senza aria.
Federico Fellini, ne La voce della luna, fa dire a Ivo Salvinì (Roberto Benigni) una frase che ora ci torna in mente: “Eppure io credo che se ci fosse un po' più di silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”; allora se per Fellini era il silenzio la chiave di volta della comprensione, qui è l'aria, il respiro il veicolo, è alito, soffio vitale, pneuma, sottile principio materiale di vita, spirito, anima del mondo che dà vita alle cose, capace di illuminare il buio e ridare vista ai ciechi.
Bisogna vedere per amare, ma nulla che sia riferito alle diottrie e al corretto funzionamento degli organi; bisogna vedere per amare ha più il sapore di bisogna sapere per amare, bisogna conoscere per appassionarsi, per vivere degnamente la propria vita, per non trascinarsi in un'esistenza vuota di senso. Efficace l'invettiva contro quella che Marx definiva “l'oppio dei popoli”, contro il sonno della coscienza che sembra riprendere il Nietzsche de L'anticristo: "Io condanno il cristianesimo, io levo contro la chiesa cristiana la più terribile accusa che mai un accusatore abbia pronunciato. Essa è per me la più grande di tutte le corruzioni pensabili, essa ha voluto l'estrema corruzione possibile. La chiesa cristiana non ha lasciato intatto niente nel suo pervertimento, ha fatto di ogni valore un non-valore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un'abiezione dell'anima. Questa eterna accusa contro il cristianesimo io voglio scriverla dovunque ci siano dei muri − ho dei caratteri che faranno vedere anche i ciechi...".
Esattamente come in Nietzsche, anche qui c'è una sfida alla religione, intesa come fede che non si interroga, come assioma che si dà aprioristicamente per vero e assoluto, c'è un grido che inneggia alla aleteia, al portare alla vista il non visto, all'udire nel silenzio il non detto. Sin Aire è un canto appassionato alla vita.
Bellissime le coreografie e le scelte scenografiche che ci riportano alla mente alcuni lavori della Bausch o le azioni fisiche di Grotowski, perfetto il piano luci, quasi parola aggiunta alla parola, e le musiche a sottolineare danze e stereotipie. Bravissimi gli attori, in corpi impeccabili ma senza corpi, polvere che si muove con altra polvere ed emette suoni grondanti la vita.
Quest'opera è un'intenso e raffinato invito alla riflessione sull'essere, sulla sostanza, sull'id quod substat, sulla vera, unica e possibile, speculazione sulla vita.
Quando le luci si riaccendono sono i nostri corpi ad essere spossati, sono le nostre membra a dover cercare ristoro dopo questo perturbante viaggio della ragione.

 

N.B.: Fonte immagini a corredo del'articolo: pagine FB di artisti e compagnia.

 

 

Fuoritraccia
Sin Aire
ideazione e regia Silvana Pirone
drammaturgia Luigi Imperato, Silvana Pirone
con Sara Scarpati, Maria Teresa Vargas, Giovanni Granatina
selezione musicale Davide Giacobbe
scenografia Monica Costigliola, Angelo De Tommaso
luci Silvana Pirone
costumi Gina Oliva
produzione Nostos Teatro
lingua italiano
durata 45'
Gubbio (PG), Teatro Comunale “Luca Ronconi”, 27 febbraio 2016
in scena 27 febbraio 2016 (data unica)

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