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Sunday, 03 January 2016 00:00

L'alfabeto

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Tutto quello che ho per difendermi è l'alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile.
(Philip Roth)

 

 

Ho scoperto le parole quando ero molto piccola. Mia madre mi costringeva durante l'estate a scrivere migliaia di volte le lettere dell'alfabeto. Una, due e tre pagine di A, in corsivo e maiuscolo. Una, due e tre pagine di B, in corsivo e maiuscolo. Così via, spedita, fin quando non le memorizzavo tutte, sia nella loro forma, nelle loro curve e angolazioni, sia nella loro dimensione in base al punto in cui le trovavo nel periodo. Da quelle pagine tutte uguali e meccaniche, da quell'esercizio estenuante, ho imparato poi che messe insieme quelle lettera davano vita a delle parole.

Prima era semplicemente “casa”, poi “albero” e ancora “scuola”. Non avevo ancora cinque anni e già sapevo che tutto quello che dicevo avrei potuto scriverlo, così, trascurate le ore passate a ricopiare infinite volte le lettere, mi sentivo all'improvviso ricca, ma soprattutto, da buona figlia unica, in possesso di un codice segreto che potevo utilizzare con mia madre per mandarle messaggi segreti e farle sapere che le volevo bene, senza tradire la vergogna e l'imbarazzo con un viso paonazzo. Casa, albero e scuola sono diventate: la mia casa, quell'albero e la grande scuola. Poi ancora: la mia casa sul mare, quell'albero di mele e la grande scuola col giardino. Fino alla scoperta esaltante dei verbi. Che meraviglia i verbi, queste paroline tutte diverse che si aggiustano e si modellano sui nomi e sugli oggetti. Ho scoperto l'azione e il movimento, il passo è stato breve fino all'emozione. Io amo la mia casa sul mare, quell'albero di mele è spoglio, la grande scuola col giardino mi fa paura.
Ero scossa, tremavo quasi, ne imparavo a scrivere due/tre al giorno. Non potevo smettere. Ogni cosa, la più insignificante si animava con un verbo a fianco, diventava viva ed io seguivo col dito minuscolo questa mamma chioccia che è la lingua, con il suo codazzo di piccoli esseri viventi, presto adatti alla vita. La vera magia è iniziata là, perché come in tutte le forme espressive che si rispettino, agli albori sono forme mistiche per comunicazioni segrete, ma alla fine è inevitabile, l'uomo non è fatto per sussurrare come non è fatto per strisciare, allora inizia ad alzare la voce, a palesarsi, a dire al mondo che esiste, c'è. Se prima incideva le rune sugli utensili per esprimere una proprietà, adesso si serve delle stesse per i contratti, per stipulare accordi, per registrare la storia e quello che in essa è il suo più grande motore: il pensiero.
Ho iniziato a leggere, ho scoperto i libri. Leggevo lentamente e inciampavo praticamente ogni due parole, mi rialzavo subito e ricominciavo, perché adesso c'era un verbo e sapevo bene che questo significava azione, scelta, compromesso, sofferenza e amore. Scrivevo lettere a mia madre, prendevo in prestito parole lette sui libri, costruivo pensieri assurdi al fine di poter inserire quella particolare parola nuova. Solo così avrei potuto memorizzarla definitivamente. Era il solito metodo crudele delle pagine vergate mille volte con la stessa lettera. Solo che adesso erano frasi intere, dibattiti, domande. Mia madre era la migliore in questo, lei non mi giudicava, apprezzava e mi rispondeva con quella sua scrittura perfetta e poetica che mi faceva piangere e accapponare la pelle. Lei era lì, mi correggeva, questa volta con più perizia, non erano più lettere sconnesse, ma pensieri autentici che non dovevano tradirmi, non potevo degradare con una sintassi scorretta il mio messaggio d'amore per lei.
Sono passati tanti anni da quelle estati, ho letto così tanti libri e scritto migliaia di lettere a sconosciuti e persone che adesso non sono più nella mia vita. Se oggi ho un ricordo è perché nei momenti più importanti mi sono rivolta a loro con delle parole accorate e ricche di sfumature. Non ho spedito o consegnato tutte quelle lettere, molte le ho tenute per me, come un ricordo, una voce che spiega e chiarifica gli eventi, getta una luce sulle condizioni e sui fatti ingarbugliati, mostra, infine, il cielo ai piccoli lombrichi sulla terra.
Quei messaggi segreti non posso proprio dimenticarli.
Nel frattempo ho fatto i conti con tante storie e tanti uomini e donne, sono stata in viaggio per mari e monti ed ho visto quasi tutti i continenti, ho rabbrividito nell'aprire una porta e sono andata al fronte o sulla luna, ho vissuto le crisi di mezza età e sono andata a spasso con una zingara e una capra, ho conosciuto un uomo che poi è morto, una donna che poi è morta, un mondo infinito che si rigenera ad ogni ora. Ho vissuto mille vite e ad oggi so che la mia felicità dipende tutta dall'idea infantile che domani aprirò un libro e andrò in Perù oppure a Dublino. Ho visitato realmente la tomba di Alexandre Dumas ed è bastato un solo libro per spingermi nei meandri di un quartiere parigino a cercare una piazza che qualcuno, nella lontana America, descrisse con tanto dolore. Mi sono ferita con tutto questo? Certo che sì, lo sapeva anche il Piccolo Principe che viene da un pianeta alieno e vive nel deserto: fa parte del gioco. Eppure oggi potrei rinunciare a tutto, tranne a questa meravigliosa esperienza che è la scrittura, la lettura e la parola. A questa grande catena umana che scrive lettere e inventa storie, non ci rinuncio. È l'atto più pacifico che esista, non c'è discrezione né decenza, esiste la verità di ognuno e di nessuno, esistono le varietà e gli idiomi, non c'è una legge meccanica che soggiace alla base, nessuna filosofia potrà farne corpo esteso decomponibile, perché è sì un universo di carta ma è incorruttibile e indistruttibile quanto l'armata che il pensiero possiede. Il suo divertimento e la sua delizia, come il tormento e la conoscenza, non sono ostacolabili. È universale, ma non ingabbia nessuno in una grossa categoria, qui tutti possono scrivere lettere ridicole alle madri, persino io che non ne scrivo più e che ora invece le regalo libri per dirle quanto le sono grata e quanto le voglio bene.

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