“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 14 October 2015 00:00

Barbonaggio, diario di un viaggio (seconda tappa)

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Ogni volta che parlo con me. Potrebbe essere il titolo di una poesia, l’incipit di un romanzo d’introspezione, una drammaturgia di soliloqui. Quanto siamo capaci di parlarci e non di rimproverarci, idolatrarci, specchiarci nello stagno che s’innamora di noi? Quanto pensiamo... anziché parlarci. Anziché parlare. Con noi e con l’altro. Il teatro serve anche a questo. Interconnettersi con l’altro. In un’epoca in cui la parola connessione assume significati non umani. Non di pelle. Non di voce e occhi equidistanti. Ma su queste pagine non si vuole fare morale. Raccontare.

Il viaggio di un artista alla ricerca del significato profondo della sua arte, del suo fare arte. Fare arte sempre più relegato a commercio, di anime e corpi, a contratto sociale, a stipula, a vassallaggi piramidali, all’abbassare teste e braghe (metaforicamente e non). Il viaggio di un artista che va incontro al suo pubblico, senza cui il teatro non esisterebbe, essendo un atto creativo biunivoco.
Ogni volta che parlo con me è un lungometraggio diretto da Matteo Greco sul viaggio artistico del barbone Ippolito Chiarello per questa terra. A Madrid, dove Ippolito era il 9 ottobre, qualche giorno fa, gli spettatori del film hanno riso, si sono emozionati, si sono proiettati sullo schermo benché la fruizione di un prodotto cinematografico preveda un’attitudine passiva nel ruolo di spectator. Contrariamente al qui e ora della rappresentazione teatrale, all’eterno presente estemporaneo e mnemonico, alla vita (in senso di azione in carne e sangue) dell’atto scenico.
A Madrid si conobbero Dalì, Buñuel e Garcìa Lorca. Quest’ultimo esordi in teatro nella capitale iberica con un’opera, El maleficio de la mariposa, sulla caducità della vita significata in figura e senso da una farfalla abbandonata perché ferita e a terra, non più in volo, di cui si innamora un orribile scarafaggio destinato alla frustrazione amorosa. Il pubblico non apprezzò, perché condizionato dal potere che ne influenzava gli umori. Perché il teatro era appannaggio di ceti altolocati poco propensi all’ascolto sensibile (ieri come oggi) piuttosto al loro sollazzo.
Un teatro che torni al pubblico, è quanto mai necessario. Che parli a tutti, a ogni individuo/spettatore. Che faccia scordare il ricordo dell’uomo e trasformi l’uomo in spettatore.
Ippolito racconta così il 9 ottobre a Madrid: “Dopo aver scaricato i due telefoni cellulari e aver pensato cosa voglio fare veramente nella mia vita, scenderò per strada e andrò alla stazione e come nei migliori film prenderò un biglietto per la prima destinazione" (da un pezzo di repertorio). “Ho sempre sognato di essere un (super) eroe in un film americano. In fondo il costume ce l’ho, il mio impermeabile e più lento della luce sfido le leggi del consumo compulsivo. Dormiamo in un ostello bellissimo al centro di Madrid e la sensazione è di abitare un non luogo, pieno di vite in transito, un po' come gli aereoporti, le stazioni, i porti. Oggi primo giorno di Barbonaggio vicino al teatro dove proietteremo il film, lo spazio di Residui Teatro, un gruppo teatrale fondato da italiani e che a un certo punto è emigrato a Madrid, emigranti culturali, teatrali. Serata straordinaria, i passanti hanno fretta, uguale come in Italia e noi cerchiamo di convincerli a fermarsi e addirittura ascoltare un attore recitare in italiano. La vittoria è recitare la mosca in cambio di una frase in spagnolo che tradotta recitava così: per riconquistare un contatto con il pubblico. Aveva capito tutto. La sera la proiezione con un bel pubblico proveniente dal Messico, dall’Italia, dalla Spagna e altri Paesi e anche il direttore dell’Istituo Italiano di Cultura di Madrid e la compagnia Armamaxa. Risate, emozioni e una bella conversazione dopo il film in una lingua ibrida tra spagnolo, italiano e inglese. Ci capiamo tutti e il pubblico apprezza la profondità dell’attraversamento che fa il film dall’attore all’essere umano. All’estero mi accorgo che il film, nonostante i sottotitoli in inglese, funziona molto di più. Risate, coinvolgimento e grandi abbracci”.
Hasta la vista!

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