“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 07 December 2014 00:00

Geometrie memoriali

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Parte di un trittico – La trilogia degli occhialiBallarini di Emma Dante vive di sussistenza autonoma, pulsa di consistenza propria. Lo lega, al resto del trittico, il riferimento “ottico” (gli occhiali), ma non solo: c’è anche un discorso memoriale, che apparenta ad esempio l’odissea dello “Specchiato” di Acquasanta ai danzatori “a ritroso” di Ballarini. Perché Ballarini, come e più ancora di Acquasanta – di cui pure su queste pagine testimoniammo visione – è sull’essenza della memoria che posa il suo sguardo, e lo fa con la leggiadria poetica che allo sguardo di Emma Dante appartiene, e che sa trasformarsi in immagine per la scena, essenziale e dilatata ad un tempo, racconto in cui si fondono minimale e minuzioso, densità drammaturgica e fluidità della sua resa.

Piccolo gioiello delicato, Ballarini si snoda come una sorta di album dei ricordi sfogliato a partire dall’ultima pagina, come a voler risalire la corrente inesorabile del fluire del tempo, indugiando il tempo danzato di un istante ad ogni stazione significativa che la memoria ha stampato; danzando coi ricordi, estraendoli dal baule del passato e facendoli rivivere il tempo di un ballo, l’intensità di un amplesso, li si riesuma al tempo presente – che poi è il tempo della rappresentazione – purtuttavia senza idealizzarli, ma anzi delicatamente ricordando come la condivisione di un amore che attraversa una vita sia sì compulsione di ardori, ma anche coabitazione di secrezioni.
Venticinque luci trapuntano di stelle un cielo di scena, ad accenderlo alla visione un gesto simbolico: una vecchia donna cava da un baule una presa ed una spina, le collega fra loro, ne unisce “maschio” e “femmina”, come a voler riaccendere una memoria che ha senso se condivisa, perché scaturita da un’unione, quella di un uomo e una donna. Un altro baule, ad una diagonale di distanza, è custode di un’altra vita che con la prima si è fusa.
La danza dei ricordi attraversa il tempo della rappresentazione dilatandolo all’indietro ed è, nella sua costruzione scenica, operazione che avviene con geometrica progressione, cesellata precisione, dalla prima all’ultima immagine; ogni dettaglio è un sintagma teatrale che mostra percepibile la propria funzione, ogni immagine è funzionale a trasmettere il senso di un momento, di un’istantanea in movimento della vita di due persone di cui si offre excursus memoriale; ed ancora, immagini precise, come il dondolare di un orologio da tasca (una “cipolla”), che si cerca invano di afferrare, sembrano alludere all’inesorabilità del trascorrere, sembrano evocare la caducità dell’esistere: tempus fugit.
Geometria precisa delle corrispondenze, la cogliamo nei dettagli e nei rimandi: come ad esempio il gilet che lei, ricurva e malcerta sulle gambe, sotto il gravame degli anni, aiuta lui, altrettanto ingobbito e malfermo, ad indossare e che, con medesimo gesto le vedremo offrire al marito nel fiore della gioventù, con cura cui il solco degli anni non sembra aver mutato amorevolezza. E geometrica è anche la precisione con cui, a ritroso, i due innamorati (perché, se una certezza promana dalla scena è proprio che quella che si racconta sia la memoria di un amore), coreografano le tappe salienti della loro storia, affiatamento che li vede, parafrasando Gibran, “vibrare di musica uguale come le corde di un liuto”. Ed ancora geometrica è la progressione canora dei brani che accompagnano il fluire retrospettivo dei ricordi, scandendo momenti significativi (un capodanno, maternità e gravidanza, fidanzamento e dichiarazione, corteggiamento e seduzione), dalle hit degli anni ’60 (E se domani di Mina, Lontano lontano di Tenco, Il ballo del mattone di Rita Pavone, Se mi vuoi lasciare di Michele, I Watussi di Edoardo Vianello, Fatti mandare dalla mamma di Gianni Morandi, tutte canzoni che riportano e collocano cronologicamente la pienezza del loro idillio a quell’epoca), fino agli albori della loro conoscenza, retrodatata ad una fanciullezza da dopoguerra se non addirittura prima (da Ba, ba, baciami piccina al Tango delle capinere). E per finire, sempre logica progressione (e regressione) contraddistingue la svestizione e la vestizione dei due innamorati sulla scena, sottolineando la pudicizia che ogni fase della loro vita conosce, da quando gli anni trasformano il desiderio in affetto a colpi da tosse, a quando, precedentemente, il pudore cedeva, un velo dopo l’altro, all’intimità complice dell’amplesso. Passione e sentimento, amore e condivisione, vedono i due corpi che – potere della finzione – in scena ringiovaniscono progressivamente, estrarre dai bauli oggetti che evocano sentimenti comuni, dal velo da sposa ad un carillon, che fa di lei ballerina che potrebbe sormontarlo, come a sottolineare la romantica semplicità del loro idillio; il tutto sempre vissuto a passo di danza, il tutto sempre danzato all'unisono, affidato a due attori/"ballarini" – Manuela Lo Sacco e Sabino Civilleri – che ottimamente danno corpo e forma alla rappresentazione.
Il viaggio a ritroso avrà geometrica conclusione nel ritorno al presente, sancito dallo spegnersi delle luci, staccate con identico gesto da colei che le aveva accese, che accendendole aveva illuminato in visione la storia di un’unione, che spegnendole chiude la pagina del libro interrotto dalla divisione che l’ineluttabile distacco fisico – conseguenza della morte – implica, ma che l’elegia del ricordo strappa all’oblìo.
La delicatezza di Emma Dante risiede proprio nella garbata compostezza con cui, di uno sguardo retrospettivo non si fa veicolo di struggente malinconia, ma solo, semplicemente, quadro di poetica tenerezza.
Tenera poesia del ricordo, che il buio sottrae alla vista, che l’applauso consegna alla memoria.

 

 

 

 

Ballarini
Trilogia degli occhiali – Capitolo III
testo e regia Emma Dante
con Manuela Lo Sicco, Sabino Civilleri
scene Emma Dante, Carmine Maringola
costumi Emma Dante
luci Cristina Fresia
produzione Compagnia Sud Occidentale, Teatro Stabile di Napoli, CRT-Centro di Ricerca per il Teatro
lingua italiano
durata 45’
Napoli, Galleria Toledo, 4 dicembre 2014
in scena dal 4 al 14 dicembre 2014

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