“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 04 December 2014 00:00

Il figlio

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I.

Ci hanno rovesciato come calzini, esami di ogni natura e genere, decisamente poco simpatici, e non è risultato niente, niente che potesse impedirci di procreare. Mi sono munto lo sperma come si fa con le mammelle delle mucche, anche se in questo caso avrei dovuto essere il toro. Mia moglie si è gonfiata di ormoni per mesi, lievitava mentre si incazzava e si incazzava mentre lievitava. Ogni mattina termometro per controllo ovulazione, se fertilità a picco, semaforo verde, e vai, procedere all’accoppiamento, come fosse una medicina. Ma l'Inseminator che è in me non ha mai portato a termine la sua missione, ogni tentativo è fallito, sembra che il destino si sia accanito contro di noi.
Siamo una bella coppia, così almeno ci hanno sempre detto, stabile, affiatata, solida, con tanti interessi comuni, una bella intesa sessuale, ma come diceva Erminia, una famiglia a metà.

Poi ci sono gli amici, quelli di sempre, quelli che ti porti dietro dal liceo, quelli con i quali hai condiviso tutto. Nel nostro gruppo siamo stati i primi a sposarci, gli altri ci hanno seguito a ruota ma superato nelle lunghe distanze con uno, due e chi addirittura tre bambini. Piano piano ci siamo sentiti emarginati: alle cene gli argomenti, soprattutto tra le ragazze, gravitavano quasi esclusivamente sul parto – cesareo, naturale, nell’acqua –, l’allattamento, le pappe, i pannolini – giorno, notte, mutandina, all’aloe, catturapipì –, i dentini, gli arrossamenti, l’asilo e via così, allo sfinimento. Una vera tortura, e noi, senza argomenti, ci sentivamo di un altro pianeta.
Non ci bastava più fare gli zii elemosinando i figli degli altri, soprattutto Erminia accusava come una colpa la nostra mancanza.
Una sera l’ho trovata in camera, davanti allo specchio appeso all'anta dell'armadio: si guardava di profilo, aveva messo un cuscino sotto al vestito, si toccava la pancia di gommapiuma e sorrideva compiaciuta.
Una secchiata di tristezza mi ha sommerso. Lei non si è accorta di me e io non le ho detto niente.


II.

Ci siamo decisi, abbiamo optato per l’adozione. Neanche ottenere l'idoneità al Tribunale dei Minori è stata una passeggiata: di nuovo ci hanno rovesciato come calzini, abbiamo affrontato colloqui singoli e in coppia con esperti incaricati di valutare le nostre attitudini genitoriali e incontri di gruppo, in stile alcolisti anonimi,con altri aspiranti padri e madri.
La gestazione di nostro figlio era iniziata, riuscivamo ad immaginarcelo nei pensieri, nei sogni, ognuno con le nostre idealizzazioni. Anche nell'inconscio di questa creatura, secondo Erminia, noi c’eravamo già, ci sta aspettando, diceva, era convinta che si fosse creato un flusso di pensiero che univa lui a noi. Le donne sono fenomeni nelle elucubrazioni mentali; io l'assecondavo, ci volevo credere.
Nell'attesa abbiamo sperato, pazientato molto, ci siamo innervositi, a volte abbiamo pianto e finalmente, quando la telefonata è arrivata, abbiamo riso e tirato un sospiro di sollievo. C’era un maschietto per noi a Nova Kakhovka, in Ucraina, il desiderio si stava concretizzando. Biglietti aerei, passaporti, bagagli, giochi e pupazzi, vestiti pesanti, già laggiù fa parecchio freddo. Siamo partiti.
L’abbiamo incontrato in un salone dell’istituto, troppo riscaldato e troppo tristemente allegro. È entrato insieme a una tata, ci è venuto incontro, sembrava un soldatino, calato in una felpa gialla piena di patacche, come medaglie al valore.
Non riuscivamo a contenere l’emozione, i suoi occhi azzurri e limpidi si sono piantati nei nostri lasciandoci smarriti. Cinque anni, ne dimostrava tre, come Francesco il figlio di Giovannina e Gigi. Nemmeno un metro di bambino, pallido e spaventato, si è aggrappato a noi come un naufrago a un pezzo di legno e noi a lui.
Lui ci è stato assegnato dall'Associazione, Lui ha i requisiti che meglio si adattano alla nostra coppia, Lui diventerà nostro figlio.


III.

Non è stato facile portarlo via: burocrazia, intoppi, mance, problemi di ogni tipo, però ce l'abbiamo fatta a tornare in tre. In un pacco di documenti scritti in cirillico, ornati da timbri viola e vidimazioni svolazzanti, c’è tutto il suo passato.
Anche se il corpo di Erminia non ha subìto alcuna trasformazione, rientrati a casa, come una qualsiasi purpera, è andata in maternità dal lavoro.
Non ha molta esperienza in fatto di bambini: figlia unica, cresciuta in collegio, neanche un cuginetto da accudire, per lei è stata tutta una novità. I momenti di sconforto e le ansie l'aggrediscono per ogni cosa insieme alla paura di non essere all'altezza di crescerlo nel modo giusto, presupponendo ce ne sia uno. Quando lo sgrida dice che i suoi occhi chiari la trafiggono e un vento gelido, gelido come quello del suo Paese, le paralizza la ragione.
È doloroso, non capisco e non capisco ancora di più perché questo bambino non piange mai, neanche se cade e si fa un male cane, neanche se rimane al buio chiuso in una stanza da solo, neanche se non ottiene ciò che desidera. Mai una lacrima, solo quegli occhi puntati!
– Lo vedi che non sono capace, è evidente! Ti sembra che gli altri bambini guardino le loro mamme così?
– Ma che dici Erminia, ti sei rincretinita? Bogdan si deve abituare, è una cosa enorme per lui, devi avere pazienza. Ci vuole tempo, non è mica un bambolotto!
– La fai facile tu, esci la mattina alle otto e torni la sera tardi, mentre io sono tutto il giorno dietro a lui, a volte non capisco cosa vuole, mi fissa e basta, non si spiega!
– Ho già preso un periodo infinito di ferie per stare laggiù, non posso chiederne altre, lo sai in che posto lavoro!
– Già, il tuo lavoro viene sempre prima di tutto!
– Cosa devo fare, licenziarmi? Ci mettiamo tutti e due in adorazione del bambino e poi il mutuo chi lo paga? Sei stanca, siamo stanchi tutti e due, cosa credi.
– Forse non rimango incinta perché Dio non vuole, forse devo scontare delle colpe. A volte avrei voglia di mollare tutto, di scappare via!


IV.

Rientrare al lavoro, tornare ai suoi orari, alla sua vita di prima e non ricoprire, almeno per le otto ore dell'ufficio, il ruolo esclusivo di mamma, l’ha fatta stare meglio. Comunque non è più lei, è sempre tesa, sulla difensiva, stanca, non ha più voglia di fare l'amore, di vedere gente, sta dimagrendo a vista d’occhio. I suoi glutei muscolosi e sporgenti – che ci potevi poggiare sopra un vassoio – si sono sgonfiati come palloncini senz’aria. Il seno turgido si è svuotato, le sue bocce, paragonabili a due meloni, adesso sembrano cipolle e, come tali, fanno piangere. Logico che non gliel’ho detto, se n’è accorta da sola e, con un sorriso amaro, mi ha dato la sua giustificazione:
– Che pretendi Giacomo, una donna dopo l’allattamento...
Non ho osato replicare.
Spero che passi e sia solo una questione di tempo, il nostro rapporto si sta screpolando come un muro vecchio e fradicio.
Quando Bogdan è sparito il senso di colpa l’ha sopraffatta, è sprofondata in un baratro.
È stato esattamente un mese fa, il tempo non passa mai quando aspetti, i giorni sono infiniti, per non parlare delle notti, a rotolarsi nelle lenzuola per cercare un sonno che non arriva o è talmente denso, catrame scuro e appiccicoso, che non vedi l’ora di svegliarti. Si vive sospesi in un limbo di paura e speranza, o meglio si sopravvive perché niente, per la nostra famiglia di nuovo incompleta, ha più un senso.
Per strada cerchiamo tra la gente tracce di una piccola testa bionda, se siamo in casa fissiamo il telefono e teniamo perennemente la tv accesa in attesa di notizie.
Sarebbe successo ugualmente se al posto del nonno, quel giorno, quello stramaledettissimo giorno, ci fosse stato uno di noi due con Bogdan al parco? Me lo chiedo di continuo.
Giocava a nascondino, ci sono tanti alberi secolari così grandi che dietro ad ognuno ci possono stare fino a tre bambini senza essere scoperti. La conta era finita da un pezzo, erano saltati fuori tutti. Tutti meno lui.


V.

Il sole era già calato insieme all’umidità. L’hanno cercato dappertutto, prima i suoi compagni di gioco, poi il nonno con i genitori degli amichetti, tutti a sgolarsi, frugando in ogni cespuglio. Mio padre non aveva il coraggio di telefonarci, Erminia era fuori per lavoro – finalmente si era decisa, era la prima volta dopo tanto tempo – papà ha rintracciato me. Quando sono arrivato al parco i Carabinieri stavano interrogando i presenti e avevano già allertato una squadra cinofila. Non riuscivo a credere a quello che stava succedendo, mi pareva di essere in un brutto film. Mio padre stringeva lo zainetto di Bogdan come fosse stato il nipote, lo abbracciava mentre piangeva in silenzio, seduto su una panchina con la testa china, non ce la faceva a guardarmi, piangeva e basta, non lo avevo mai visto così disperato, neanche quando è morta mia madre. Lo avevano tempestato di domande e lui continuava a dire ma era qui fino a un attimo fa, aveva fatto merenda con una crostatina e un succo all'allbicocca..., come se conoscere il gusto del succo di frutta potesse servire a dare un indizio ai fini del ritrovamento.
Erminia ha corso con la sua Polo mandandola al massimo rischiando di scontrarsi con un furgone e quando è arrivata era buio pesto. Hanno dovuto prenderla di peso per portarla via da là, a casa le hanno somministrato un calmante, sembrava una pazza.
Ci dicevano che in questi casi le prime ventiquattr'ore sono le più importanti.
Di giorni ne sono passati trenta, di Bogdan non c'è traccia. Tutto questo è disumano.
Le sue foto girano su Facebook, tappezzano la città e gli autogrill, ci sono stati programmi alla televisione, appelli alla radio, niente, in assoluto, come se si fosse volatilizzato, come se non fosse mai neanche esistito. E forse è proprio così, me l’ha detto anche lei.


VI.

– Stiamo vivendo un incubo, tra poco ci sveglieremo e saremo di nuovo noi, con il nostro tran tran. Al posto del lettino e i mobili arancio e verde ci sarà lo studio stile marina, l’ordine perfetto delle case senza figli, non un triciclo o un’automobilina in giro che rischiano di farti cadere per terra, nessuna manata sulle vetrate o sfilze di calzini e mutandine appese allo stendino ad asciugare.
Le indagini stanno spaziando in ogni campo, presupponendo un ripensamento da parte dei parenti, l’Interpol ha fatto ricerche in Ucraina. Durante il nostro soggiorno a Nova Kakhovka, mentre la burocrazia lavorava per definire e completare la documentazione, si era fatto vivo uno zio, fratello della madre di Bogdan; un trentenne che porta il suo stesso nome e pure il cognome, perché il bambino non è stato riconosciuto dal padre. Quando la sorella è morta si è completamente disinteressato del nipote, ha lasciato che venisse mandato in un orfanotrofio, ma al momento della firma delle carte per l'autorizzazione all'adozione, come unico parente, aveva iniziato a recriminare, non ho intenzione di separarmi da Bogdan, se il bambino va a finire in Italia non lo rivedrò mai più, lui è il sangue del mio sangue e altre stronzate. Siccome non era il primo caso che succedeva, l'avvocato ci aveva consigliato di mettergli in mano una busta gonfia di euro e così è stato. La firma era arrivata veloce come la mano che aveva afferrato il malloppo.
Le Volanti hanno sul cruscotto la foto di nostro figlio, in questura hanno istituito una sorta di team con vari specialisti, la dirige il Commissario capo Magrelli, una persona disponibile e, speriamo, competente; un padre di famiglia, come ama definirsi, si è preso a cuore il caso.
Parla con l'accento musicale del sud, è a Bologna da una vita ma sembra partito ieri da Napoli.
Ha grandi occhi acquosi come quelli di un bue e pure la stazza. Si muove plastico dentro la sua sfericità, ha la grazia di un ballerino extralarge, lo sguardo è trasognato, a volte sembra assente.


VII.

– Commissario non dovete smettere di cercarlo mai, fate il possibile, fate come se fosse uno dei vostri figli!
– Signò, stiamo già facendo il possibile e pure l'impossibile, ci dia tempo e fiducia.
Ce l’ha detto proprio ieri.
Dentro lo zaino di Bogdan, insieme all’astuccio dei Pokemon e ai quadernoni, c’era il suo diario. Abbiamo letto la nota della maestra scritta proprio la mattina della scomparsa. Doveva riportarla firmata: Il bambino durante il laboratorio si è rifiutato di scrivere alla lavagna il suo nome e cognome. Firma
Il Commissario Magrelli ha parlato a lungo con l’insegnante, lei, tra le lacrime, ha riferito che il tutto si è svolto in tranquillità: è vero, ho insistito un po’, ma poi ho lasciato perdere, non volevo umiliarlo davanti ai compagni. Devono capire che alla maestra bisogna ubbidire, ho scritto sul diario di Bogdan perché non ci fossero altre defezioni, non si deve creare un precedente, i bambini sono molto attenti, si ricordano tutto: "Perché lui no e io sì...". Faccio spesso delle annotazioni sui diari  perché sono piccoli e i genitori devono essere al corrente di quello che non funziona.
È stata considerata l’ipotesi di un allontanamento volontario per paura di una reazione negativa mia o di sua madre. Chissà cosa abbiamo sbagliato con lui, la nostra frenesia di fare i genitori forse ci ha fatto inciampare dove altri si muovono disinvolti. Lui forse non ci accetta ed è scappato via per darci una punizione. Ma per andare dove?
Credo che finiremo per impazzire.
Ieri hanno iniziato a dragare un tratto del canale che scorre vicino al parco e attraversa una parte della città, perché i cani hanno fiutato una traccia lungo la banchina, tra immondizia, scheletri di motorini, lavatrici e alghe maleodoranti. Non lontano da là, vive un ragazzo ceceno, in una capanna di lamiera.


VIII.

Ha piccoli precedenti per furto e resistenza a Pubblico Ufficiale, un tipo poco socievole, sempre su di giri. Io scappato da guerra, bravo giovane uomo, mai fatto male a gente. Per campare fa saltuariamente piccoli lavori di facchinaggio, a volte si trova fuori dai supermercati a elemosinare l’euro del carrello della spesa, altre volte in ginocchio sui gradini delle chiese con un cartello appeso al collo, pieno di errori di ortografia, dove chiede un aiuto, soldi per mangiare, come dice lui, anche se, in realtà, li spende per il Tavernello. Con lui vive anche un grosso cane, il pelo ispido e giallo, se ti avvicini ringhia e mostra i denti. Puzza di pesce come il padrone, magari un po’ di più; lo tiene legato fuori con una corda lurida, come cuccia ha la carcassa di una 500. Tra le poche e misere cose trovate durante la perquisizione della baracca, sono saltati fuori felpe, jeans da bambino e anche un cappellino con la tesa. Ha farfugliato che li ha trovati in una busta di plastica, appoggiati fuori da un cassonetto. Non è stata una giustificazione sufficiente, l’hanno sottoposto a interrogatorio con l’ausilio di un interprete. Dice che il giorno della scomparsa era nel parco a sonnecchiare su un prato, aveva sicuramente bevuto. Sostiene che una donna, poi si è corretto, no uomo forse era uomo, si è avvicinato a un biondino e l’ha portato via. Siccome anche lui da piccolo giocava a nascondino, stava seguendo il gioco con un certo interesse e gli era parso strano che invece di correre alla "tana" se ne andasse con quella persona. Un racconto confuso, a tratti assurdo, si è contraddetto più volte. Non capisco come si possano prendere in considerazione le parole di un ubriacone. Ha aggiunto che questa persona ha infilato un cappellino in testa al bimbo e se l’è portato via, con calma.
Dopo ha assistito alla ricerca ma senza prendervi parte, non aveva la forza di alzarsi dal prato, anzi crede, a un certo punto, di essersi addormentato.


IX.

Per adesso è libero però il Commissario ci ha assicurato che lo tengono d’occhio.

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Me ne stavo da una parte, dietro una grande palma e seguivo i giochi dei bambini. Lui si era allontanato parecchio dalla ”tana” dove un amichetto contava con gli occhi premuti sul braccio piegato contro il tronco di un pino. L’ho scovato nel suo nascondiglio, gli ho sorriso e gli teso la mano, lui l’ha presa; mi ha guardato stupito, ma non ha detto una parola, abbiamo passeggiato attraverso un viale alberato, c’era una gran confusione di ragazzini che giocavano a calcio, bambini in bicicletta, mamme che spingevano carrozzine. Ogni tanto si voltava indietro e quando gli ho messo in testa il cappellino con la visiera dell’N.B.A., non ha protestato; i capelli biondi e mezzo viso non si vedevano più. Siamo usciti da un cancello laterale.
È stato facile!


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Avvistamenti e richieste di riscatto fasulli, scherzi crudeli, mitomani, santoni, offerte di servigi da parte di veggenti e maghi; tra le moltissime telefonate ricevute da noi e dalla Polizia ce n’è stata una ritenuta degna di considerazione: la voce registrata che sembrava quella di Paperino, distorta da un qualche congegno. Quando l'ho ascoltata i brividi mi sono partiti dalla punta dei piedi fino ad arrivare a quella dei capelli:
Ci sono bambini che nascono dai demoni della terra e si mescolano alla gente comune seminando dolore e scompiglio. Camuffati da angeli si insediano nei pensieri delle persone rese fragili dal desiderio di dare e ricevere amore. Sono ovunque, non è facile scoprirli, emettono onde magnetiche negative, stravolgono la vita di chi gli sta accanto, filtrano nella mente e nel cuore come acqua nei terreni asciutti, dividono chi si ama, pretendono una dedizione assoluta.
È Lucifero che li ha generati, i loro piani sono precisi, li portano avanti superando qualsiasi ostacolo. Sono pericolosi, una volta individuati è necessario procedere...


X.

Non ce l’ho fatta ad ascoltare oltre, sono corso in bagno e ho vomitato. Ho evitato di sottoporre anche Erminia allo strazio.
Il Commissario ci ha di nuovo invitato nel suo ufficio, ormai quella stanza la conosciamo a memoria: alle sue spalle un crocefisso appeso al muro fa compagnia a una sfilza di attestati al merito e calendari dell'Arma in ordine di anno. Sul tavolo la foto di famiglia in cornice, tutti in carne, ben pasciuti, di figli ne conto quattro, sono Magrelli di nome ma non di fatto. Ci fa accomodare, tenta di parlare con noi mentre il telefono squilla insistente, i poliziotti entrano in cerca di fascicoli o per fargli domande o per fargli firmare carte. Alla fine, grida, smadonna, sbatte tutti fuori, appoggia la cornetta del telefono sul tavolo e, con il sottofondo del suo tuuuu, si dedica completamente a noi. È calato di nuovo nella sua calma abituale, e io me lo immagino come un Buddha, seduto a gambe incrociate, pelato, lo sguardo sereno, il grosso ventre sporgente, le orecchie come bistecche.
Appena inizia a parlare, l'immagine si cancella e torno alla triste realtà.
– Un’idea ce la siamo fatta: quello, il rapitore non ci sta con la testa. Voi mica avete visto atteggiamenti strani nei confronti del bambino all’interno della famiglia vostra o, che ne so, nella cerchia degli amici?
– Che vuole che le dica, sono figlia unica, in questa città non ho parenti, solo mia madre. Le mie amiche ormai le frequento poco ma sembrano tranquille, equilibrate, ragazze come me insomma.
– Io ho una sorella che vive a Milano e due cugini al sud che neanche conoscono Bogdan. Mio padre era con lui al momento della scomparsa e mia madre è morta l'anno scorso. Da quando Bogdan è con noi usciamo poco, mia moglie tra lavoro e bambino la sera è distrutta. La domenica ha da fare in casa... Io a volte mi vedo con gli amici.
– Non frequentate nemmeno i vicini di casa o i colleghi vostri?


XI.


– No, le ripeto, da quando c’è il bambino la nostra vita sociale si è quasi azzerata.
– Da come lo dici sembra che la cosa ti pesi molto, eh Giacomo?
– Erminia, non mi sembra il momento adesso, lascia stare.
– Statevi calmi. Stavo a dire, atteggiamenti strani, per esempio, fuori della scuola di solito i genitori si attardano all’ingresso o all’uscita per fare due chiacchere tra loro. Avete notato mai persone estranee o i genitori stessi che possono dare adito a sospetti?
– Sia io che mia moglie la mattina accompagnamo Bogdan all’ingresso della scuola, lo affidiamo alla maestra e ripartiamo subito per andare al lavoro. All’uscita c’è sempre il nonno. Tre volte a settimana mangia alla mensa scolastica, esce alle tre e mezzo e, se la giornata è bella, mio padre lo porta al parco a giocare. Così è stato anche l’ultima volta.
– Il bambino è stato affidato mai, anche solo qualche ora, a una baby-sitter o a una vicina?
– No mai... anzi, sì, ora che mi ci fa pensare... Erminia, ti ricordi quando mio padre ha avuto la sciatica?
– Abbiamo chiesto a Chica e Mauro il numero di una ragazza che tiene i loro bimbi ma lei era già impegnata, così ci ha dato il telefono di un'altra. È sempre tutto così complicato! Io l’avevo detto che non mi piaceva. E poi una donna di quell’età, quanto ha, cinquant’anni?
– Sì, all’incirca, ma cosa c’entra. È vero Commissario che questa è una donna un po' fuori dagli schemi, ma ci ha fatto una buona impressione e così dal giorno dopo è andata a prendere il bambino a scuola per tenerlo fino al nostro rientro.
– Lo ha tenuto assai?
– Quindici lunghissimi giorni, ho detto giusto?
– Sì, dalla metà di ottobre fino alla fine del mese, giorno più giorno meno.
– La creatura stava volentieri con la signora? Vi ha raccontato mai cose particolari, o c'è stato un episodio, una frase, insomma qualcosa che vi sia suonato un poco strano durante le due settimane di lavoro della donna?


XII.

– No, non mi sembra. Bogdan sembrava contento.
– A dire la verità mi dava l'impressione che stesse più volentieri con lei che con me. Chissà che cosa le raccontava di noi... Quando la signora se ne andava lui metteva il muso. Strana sì, parecchio direi: un giorno si è presentata con una camicia scura abbottonata fino alla gola, la gonna alle caviglie, pareva una beghina. Lasciava anche santini sul tavolo, li ho anche trovati nelle tasche del bambino.
– Vi ha detto se è sposata, se ha figli, del perché all’età sua fa ancora la baby-sitter per campare?
– Si è definita una zitella felice, vive con tre gatti. Ha bisogno di soldi per arrotondare la pensione, ha un diploma di maestra di asilo, ha lavorato tanti anni con i bambini. Almeno, così ci ha detto.
– E vabbuò. Andremo a trovare la signora, se cortesemente volete lasciarmi il nominativo…
Ci ha accompagnato alla porta e ci ha abbracciato come farebbe un padre. Se ci stanno novità vi faccio sapere. Una frase sentita troppe volte per crederci.
Usciamo dall'ufficio, in questura ormai ci conoscono tutti, nei corridoi ci guardano con la pena negli occhi, ci teniamo stretti l'uno all'altra; da quando nostro figlio non c'è più, forse per la disperazione e lo sconforto, ci siamo ritrovati, riusciamo a sostenerci a vicenda, siamo di nuovo uniti.

^^^
Mia madre è costretta su una sedia a rotelle da molti anni, un brutto incidente le ha fatto perdere l’uso delle gambe e l’udito. Per fortuna ha raggiunto un buon grado di indipendenza tanto da poter vivere sola. Lei non vuole estranei per casa, ho insistito parecchio per affiancarle una signora che l’aiuti, ma alla fine ho ceduto alla sua volontà. Quasi ogni giorno vado a trovarla, sbrigo le faccende pesanti, le porto la spesa. Cucina da sola, spesso nella pausa pranzo mi fermo a mangiare un boccone da lei per farle un po’ di compagnia.


XIII.

Quando è rimasta sola non ha voluto lasciare la casa di famiglia, una bella villetta indipendente con un giardino che le gira intorno, un garage e una tavernetta dove, negli anni d’oro, quando ancora era vivo mio padre, invitavano gli amici a cena e facevano le feste. C’è proprio tutto, una cucina, una sala con un divano-letto, il bagno. Peccato che mia madre non possa più utilizzarla, con quella scala a chiocciola... Anzi no, direi BENE perché il bambino l’ho sistemato là sotto e lei non deve sapere niente. Ho sprangato porte e finestre con catene e lucchetti, di giorno filtra luce dalle persiane e di notte lascio accesa la lampadina del bagno dove lo tengo rinchiuso.
È un bimbo coraggioso, accetta la prigionia rassegnato, mangia tutti gli avanzi di mia madre senza fiatare, mi sta a sentire quando gli parlo delle Voci. Dopo un bagno nell'acqua Santa lo costringo a pregare con me, giù, in ginocchio. Questo non gli piace, mugola e vorrebbe sottrarsi. Ma è necessario, indispensabile, lo faccio per lui. Oggi ci ha provato a fare il furbo, ha detto di non trovare il rosario. L'ho colpito in testa con la croce di legno, non ha pianto e il rosario è uscito fuori. Non è mica stupido, ma non lo sono neanche io. Chiede di tornare a casa, a scuola e, per commuovermi, mi ha fatto delle carezze. Non ho il cuore di pietra, stavo quasi per cascarci, poi ho pensato a Lucifero e l'ho colpito di nuovo. Si è accartocciato per terra come una lumaca, aveva anche la bava, gli occhi stretti e un rivolo di sangue che usciva dalla sua testa dura. Peccato, ha macchiato il parquet.


^^^
– Pronto Giacomo, sono Magrelli, è solo?
– Sì, sono in ufficio – mi agito, il suo tono di voce è diverso, mi sale la nausea – Commissario, oddio, l'avete trovato?
– No, non ancora.
– Mi vuole dire che è morto? È questo che vuole dirmi?


XIV.

– Si calmi, no voglio solo parlarle ma senza la sua signora, è urgente.
– Certo, vengo subito, può magari anticiparmi qualcosa?
– Abbiamo trovato la baby-sitter.
– E quindi?
– Bisogna cà venga subito è urgente.

^^^
L'acqua santa e le preghiere non bastano più, per la catarsi il fuoco è la soluzione migliore, devo provvedere per il bene del mondo. Il fuoco è il grande purificatore, scaccerà il demone che lo possiede e illuminerà tutto con la luce di Dio. Devo compiere l'Opera, non posso più aspettare, il segnale è arrivato, per entrare nella Gloria del Cielo non si può essere indulgenti. La purezza laverà il peccato della mia gioventù, la purezza mi renderà di nuovo fertile. Questa volta non commetterò il sacrilegio passato, farò crescere dentro di me il seme dell'uomo che amo. Nessuno ci potrà più dividere. Dio in questi anni si è voluto vendicare ma adesso ha illuminato la strada del mio cammino, prima l'aveva riempita di ostacoli e di demoni, non posso far altro che seguirla per ottenere il suo perdono.

^^^

Arrivo trafelato nell’ufficio del Commissario e trovo la squadra al completo.
– Si sieda Giacomo, il fatto è grave… posso parlare? Sta a posto?
– L'ascolto – mi trema pure la voce, ho gli occhi di tutti addosso.
– Sua moglie il giorno della scomparsa non stava fuori città.
– Era in trasferta a Parma, così mi aveva detto.
– Non è così, mi creda. Dove pensa che stia adesso?
– Al lavoro, dovrebbe essere la lavoro. Ma cosa sta succedendo, potrebbe spiegarsi, non capisco! – alzo la voce, sento che il filo sottile che mi tiene ancora legato allo stato di calma apparente si sta rompendo.


XV.

– Siamo quasi certi che Bogdan l'abbia rapito Erminia. Quella, la baby-sitter, aveva notato qualcosa di strano a proposito di sua moglie, il bambino le raccontava che la mamma lo costringeva a recitare il rosario e lo sgridava pure forte perché con il suo italiano stentato non riusciva a dire bene le preghiere. Ci ha detto anche che l’ha sorpresa a parlare da sola, dice che aveva una strana luce negli occhi. Ha sospettato che le mancassero le rotelle, ma siccome non è impicciona se l'è tenuto per sé.
– Ma cosa dice Commissario, mi scusi, ma sta vaneggiando, mia moglie non va neppure in chiesa la domenica! – adesso sono proprio partito.
– Lei ci deve aiutare a trovarlo, pensiamo lo tenga segregato da qualche parte. Se ci sbrighiamo possiamo ancora essere in tempo. Dove potrebbe averlo nascosto? Avete una seconda casa, un garage...
– Io non ci capisco più niente, è tutto così assurdo. – Infilo le mani tra i capelli, mi afferro la testa, il cervello rischia di schizzarmi via.
– Giacomo ora non teniamo il tempo per disperarci, bisogna agire subito.
– Un attimo mi faccia pensare. Sì, credo di sapere dov'è!
Una lama di fumo filtra dalle intercapedini di una finestra appena all'altezza del terreno; si sentono colpi di tosse, scoppi di vetri in frantumi. La porta d'ingresso della villetta viene sfondata, Magrelli e un codazzo di agenti si precipitano di sotto, i rumori, gli urli e il fumo vengono da là.
In una stanza sul retro, mia suocera, seduta sulla sua sedia a rotelle, è intenta a leggere uno dei suoi Harmony, ignara di quello che sta succedendo al piano di sotto.
Mi impediscono di muovermi, devo stare fuori dal cancellino, ogni minuto è lungo un’eternità, non so neanche se riesco più a pensare, ho solo tanta paura, davanti agli occhi scorrono e si affastellano scenari terribili.


XVI.

Una poliziotta esce dalla villetta, barcolla, è senza cappello, la giacca della divisa mezza aperta, la cravatta storta di lato, dei riccioli castani arruffati le scendono sul viso. Fa alcuni passi, in giardino un olivo incolto mi toglie una parte di visuale, non riesco più a stare fermo, mi libero e le corro incontro. Ora vedo tutto chiaro, per mano tiene un bambinetto biondo con la faccia sporca di fumo; è senza maglietta, le piccole spalle bianche sono scosse dal tremito. È lui, è Bogdan, è mio figlio!
Mi precipito verso di loro, lo prendo in braccio stringendolo a me così forte che rischio di soffocarlo.
Un infermiere gli butta addosso una coperta, me lo vuole togliere dalle mani, lo dobbiamo visitare, lo lasci a me, lui è abbarbicato al mio collo, lo bacio sugli occhi, sui capelli, piango. Anche gli occhi azzurri e limpidi di Bogdan si riempiono di lacrime. Piange, adesso ci riesce, finalmente piange tutte le lacrime rimaste intrappolate in un dolore troppo grande per una creatura così piccola.
– Papà ti prego vieni, vieni con me, papà non mi lasciare solo!
Entro con lui nell’ambulanza, il tempo di vedere Erminia trascinata fuori dalla casa, le manette ai polsi, la faccia paonazza di rabbia, gli occhi allucinati. Si divincola, latra come un cane le sue oscenità:
– Le voci me lo dicevano, voleva dividerci, è il demonio. L’ha mandato Dio per punirmi. Il fuoco, ci vuole il fuocooooo.
L'ambulanza ci allontana di corsa dalla follia della nostra vita, il suono della sirena copre la sua voce. Dal finestrino riesco ancora a vederla, ha la bocca spalancata, si fa sempre più piccola, sempre più piccola.

 

 

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