“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 02 July 2014 00:00

Il fango e le storie

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Per me scrivere è far compagnia nelle sale d’attesa, fra un punto e l’altro della vita di qualcuno.
Costa le ore, il lavoro di lima, ma rimane un elemento sullo sfondo. È poco necessario, è soltanto un sottofondo.
Mi dico così sedendo a terra. Strano quando poggi i polpastrelli tra l’erba e la fanghiglia secca, strano quando pensi che quel posto – quel luogo preciso – puoi chiamarlo casa. T’ha lasciato una lingua, la maggior parte delle idee. Devi chiamarlo casa.

Come chi sotto le bandiere ci muore. Abbastanza sprovveduto da correre incontro al pericolo, abbastanza fotogenico da regalare un dispiacere. Questo sono adesso gli eroi, occorrono ad un paio di giorni tristi, un pianto commerciale che rimuoveremo presto.
Come l’incazzatura quando esplode e poi si appiana. Era rancore bilanciato male. Oppure è dura star dietro le parole.
Per me scrivere equivale a mantenerle, restare riconoscibile.
Guardarvi negli anni diventare un po’ più alti, un poco meno tolleranti. Innamorarvi dell’ordine, di quanto prima disprezzavate.
Per me scrivere significa ingannare i confini del tempo, mai il tempo in sé per sé.
Perciò diviene una filastrocca, taglia gli argini al disincanto. Non posso dire a qualcuno di credere, neppure posso chiedergli il contrario.
Mentre il cinismo scola, sbrodola, va di moda come gli autoscatti da quando hanno un nome nuovo.
Magari è un gioco a immaginare basso, accettare il prezzo per l’eccesso d’immagini. Lasciar sgorgare i racconti, smetterla di cercare loro un senso. Sentire la propria voce mescolarsi alle altrui, fondersi al temporale invece di aprire l’ombrello.
A meno che non si creda davvero di poter chiamare destino la nostra linea lungo il mondo.
In tal caso c’è da spiegarlo alle formiche, spiegarlo a chi resta indietro. Ai rami tagliati, agli operai licenziati, alle mosche nella tela d’un ragno.
Mi dico così sedendo a terra. La fanghiglia e le storie si somigliano.
Questa è materia spogliata, semplice. Quelle accompagnamento, soltanto un sottofondo.
Sono elementi provvisori. Come ogni cosa, come noi.

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