“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 30 June 2014 00:00

Kaspar Hauser era autistico?

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Sebbene si sappia, grazie a studi scientifici recenti, che l’autismo sia un disturbo evolutivo, la sua diagnosi resta – in molti casi − controversa, a causa della particolarità di ogni caso analizzato. Questo disturbo si presenta infatti fin dalla tarda infanzia, ma segue un decorso specifico che fa sì che i sintomi appaiano differenti nelle diverse età.

È tuttavia possibile, attraverso l’osservazione del comportamento, individuare tra caratteristiche classiche, nucleari, mutuate da quelle individuate per la prima volta – e in maniera del tutto indipendente − da Kanner e Asperger negli anni Quaranta del secolo scorso.
È sempre presente, prima di tutto, un disturbo qualitativo nell’interazione sociale reciproca: tutti coloro che hanno avuto a che fare con bambini autistici, sostenevano che essi evitavano il contatto fisico e visivo; alcuni esperimenti hanno dimostrato che non è così, sebbene questo contatto sia quantitativamente ridotto rispetto ai bambini normodotati o con ritardo mentale. I problemi nell’interazione sociale dipendono da un isolamento che è più mentale che fisico: una persona autistica è incapace di rapportarsi in maniera usuale con la gente; in determinate situazioni dimostra comportamenti socialmente non accettabili (bambino definito “strano”), oppure accetta in modo indifferente approcci sociali da parte degli altri (bambino “passivo”), o ancora non risponde agli approcci sociali o al linguaggio (bambino “riservato”).
La seconda caratteristica è un disturbo qualitativo nel linguaggio verbale, che si manifesta attraverso ecolalia, uso di espressioni idiosincratiche e non metaforiche, confusione nell’uso dei pronomi io-tu e, in generale, difficoltà a livello pragmatico piuttosto che sintattico, fonologico o semantico. In altre parole, un autistico può essere in grado di formulare frasi grammaticalmente corrette, ma inutili e/o inesatte ai fini della comunicazione.
Infine, si ha un repertorio estremamente ristretto di attività e interessi, che Kanner chiamò “isolotti di capacità”: spesso le persone autistiche hanno una memoria portentosa, anche per informazioni di nessuna utilità né per loro, né per gli altri, come nel caso degli idiot savant. Tuttavia, più che un indice di genialità, questi isolotti di capacità debbono essere considerati sintomo di un problema più generale di incapacità di attenersi al contesto in cui si trovano, cosa che – ovviamente – è connessa a un’indipendenza nel campo sociale.
Secondo una studiosa appartenente alla scuola londinese sui disturbi evolutivi dei processi psichici, Uta Frith, ogni disturbo connesso con l’autismo sarebbe da ricondurre all’incapacità di queste persone di formare coerenza lungo una gamma di stimoli la più vasta possibile, e quindi di generalizzare. Sembrerebbe che i processi periferici del sistema cognitivo, basati su input che trasformano le sensazioni in percezioni, e su output tramite cui si produce un’informazione utilizzabile, siano, nelle persone autistiche, intatti. Al contrario, il loro problema risiede nei processi centrali, che permettono di interpretare, confrontare e immagazzinare le informazioni ad un livello più alto o, in altre parole, di dare coerenza alle informazioni frammentarie che provengono dal sistema periferico.
In base a questa ipotesi, nelle persone autistiche verrebbe meno la capacità di mentalizzare – congegno unificante per eccellenza − cioè di vedere le relazioni tra fatti esterni e stati interni della mente.
Normalmente, infatti, una Teoria della mente si sviluppa perché la mente del bambino è dotata, fin dalla nascita di una conoscenza fondamentale sulle caratteristiche importanti del mondo; per apprendere poi le nozioni specifiche del mondo stesso, si dovrà creare delle rappresentazioni mentali, e poi ancora meta-rappresentazioni. Attraverso un meccanismo di distacco, che matura solo nella tarda infanzia (circa all’età di due anni), comincia poi a svilupparsi la capacità di fingere e poi di mentalizzare, attraverso l’esperienza di diverse Teorie della mente diverse dalla propria. I bambini autistici sono disturbati proprio nel gioco di finzione e nella mentalizzazione, e hanno coscienza degli altri solo come agenti di eventi fisici. Un’incapacità comporta isolamento, problemi relazionali e isolotti di capacità. Ora, nel momento in cui gli studi non erano ancora progrediti fino a questo punto, casi come quello di Kaspar Hauser, o di altri ragazzi selvaggi, non potevano essere associati all’autismo. Questi ragazzi, cresciuti senza alcun contatto umano, privi di linguaggio e talmente diversi dalla gente comune tanto da essere classificati come Homo ferus, suscitarono grandi dibattiti filosofici sull’influenza della società sulla formazione dell’individuo.
Il caso di Kaspar Hauser è simile a quello di Victor, il ragazzo selvaggio dell’Aveyron, ritrovato in una foresta della Francia centrale alla fine del 1700: quando fu scoperto, aveva un’età apparente di dodici anni, non parlava e non reagiva ai rumori emessi intorno a lui.
Fin da subito si considerò la possibilità che il ragazzo fosse affetto da una qualche patologia cerebrale, il che poteva essere stato la causa del suo abbandono. Senza dubbio presentava dei comportamenti bizzarri, per esempio esprimeva una qualche preferenza per il suo guardiano, ma non aveva nessun senso di gratitudine per il fatto che lo nutrisse, e anzi, non si rendeva conto che nessuno era obbligato a farlo. Dunque non era in grado di stabilire relazioni a due vie.
Non aveva alcuna consapevolezza dei rumori vicini, ma se veniva aperta una credenza con il suo cibo preferito, si voltava per impossessarsene: da prova di un disturbo caratteristico dell’attenzione sensoriale.
Era anche incapace di fare giochi di finzione, e riempiva le sue ore vuote dondolandosi avanti e indietro avvolto in una coperta, dimostrando una stereotipia ascrivibile all’autismo. Inoltre, il fatto che fosse sopravvissuto per almeno due anni da solo, in una foresta, al freddo, conferma i resoconti – del tutto indipendenti − sulla capacità degli autistici di tollerare gli estremi del dolore, della fame e della temperatura senza lamentarsene.
Dunque possiamo concludere, sorvolando sulla distanza temporale che ci divide dai resoconti su cui si è basata la diagnosi, che Victor fosse effettivamente autistico.
Per quanto riguarda Kaspar Hauser, sembra che avesse circa sedici anni quando si presentò a Norimberga con una lettera in mano, che gli sarebbe servita per arruolarsi. Era molto basso, circa un metro e quarantacinque centimetri: fu chiaro che fino a quel momento avesse vissuto la propria esistenza rinchiuso, nutrito solo con pane e acqua, cosa confermata anche dal fatto che inizialmente preferiva stare seduto con le gambe distese davanti a lui e al buio.
Sapeva dire solo poche frasi, frammenti alla rinfusa, ma apprese velocemente il linguaggio e altre conoscenze, tra cui il latino. Sebbene non avesse ricordi della prigionia, aveva una buona memoria, anche per i nomi, cosa che era gradita alle persone con cui venne a contatto e con cui istaurò dei rapporti di amicizia e di affetto.
Feuerbach, in particolare, si interessò a lui, specialmente alla percezione sensoriale che Kaspar aveva del mondo: non riusciva a valutare la costanza della grandezza e gli indizi di profondità, scambiando per giocattoli gli oggetti che, a una certa distanza, apparivano molto piccoli.
L’ipotesi che si è avanzata è che Kaspar fosse cresciuto senza avere una stimolazione visiva normale, confermata anche dai resoconti successivi di Kaspar stesso, che affermava come il mondo, inizialmente, gli apparisse come una persiana tinteggiata di una finestra tenuta chiusa davanti ai suoi occhi. Tuttavia con l’esperienza tutte queste sensazioni furono piano piano sistemate, normalizzate, fino a portare alla scomparsa dell’acuità percettiva che aveva tanto affascinato Feuerbach.
Alcune caratteristiche tipiche dell’autismo furono riscontrate, ad esempio l’amore per l’ordine e la pulizia, la goffaggine, l’ingenuità e una sorta di disagio conoscitivo nei confronti esperienze del mondo. C’è da dire però che i deficit sensoriali e motori erano un risultato diretto di essere stato rinchiuso a lungo, da cui deriva anche la scarsa conoscenza delle cose del mondo. Il linguaggio impacciato, semplice e letterale era dovuto ad una tardiva acquisizione, mentre la tendenza ad essere pedante  non è necessariamente segno di patologia.
In fondo, nel caso di Kaspar Hauser non c’è niente che indichi un isolamento autistico, perché vi sono esempi di buona comunicazione e di contatto affettivo; addirittura, prima della sua prematura scomparsa, cominciava a mostrare indignazione per gli aspetti morali della sua vicenda, e non era indifferente alle reazioni e agli interessi degli altri. Questo è ancora più notevole perché Kaspar era stato trattato in maniera crudele, e ci si aspettava – comprensibilmente – che avrebbe evitato la gente.
L’attenzione particolare per i suoi beni e i suoi diritti è, in fin dei conti, indice di rapporti sociali raffinati.
In conclusione, i percorsi di crescita in cui i bambini hanno sperimentato entrambi situazioni di privazione sociale, hanno esiti diversi: nel caso di Victor l’autismo può essere stato la causa del suo abbandono, mentre è possibile che Kaspar avesse da piccolo mostrato qualche segno di ritardo e fosse per questo stato allontanato da una famiglia importante.
Le anomalie evolutive prodotte da una forte privazione sociale non sono molto dissimili da quelle dei bambini autistici, ma manca l’isolamento e non sono irreversibili.

 

 

 

 

Uta Frith
L’autismo, spiegazione di un enigma
Roma-Bari, Laterza, 2009
pp. 316

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