“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 27 June 2014 00:00

Elogio della pornografia

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Se dovessimo tracciare il profilo del finto intellettuale medio-borghese contemporaneo potremmo dire questo: non prova vergogna nel blaterare sull’importanza del teatro greco e prova invece molto pudore nel parlare della pornografia che consuma. Con l’atteggiamento ironico tipico di chi disprezza la massa, egli non ha intenzione di ricredersi in niente, e conquista oscenamente le proprie scopate nei milieu con cento pensieri altrui (capiti male) e mai uno proprio: un misto fra necrofilia e Gangbang.
Se tuttavia esiste ancora oggi un luogo sacro di catarsi, uno spettacolo di massa capace di educare e di portare alla riflessione sui valori profondi della società, questo sta proprio nella pornografia.
Direi di più: essa è l’unica speranza, l’ultima, per chi (e non è certamente il soggetto sopracitato) ancora crede nella rivoluzione.

Bisogna tuttavia prima fermarci a riflettere su cosa sia questa “pornografia”.
Certo gli esempi tanto nella politica quanto nel panorama artistico contemporaneo non mancano. Ma limitandoci al genere cinematografico. possiamo definire ‘pornografia’ il prodotto dell’oscenità svelata/esplicita. Questa definizione tuttavia pone un problema ancora più grande: dover stabilire cosa sia o meno osceno. A sentire i racconti sessuali degli amici appena tornati da Ibiza, infatti, assai più osceno può sembrare (ad una mente polemica) il rituale locale secondo cui servono quei dieci giorni (circa) di finta conoscenza o quella determinata quantità di alcol prima di potersi divertire con uno sconosciuto a letto. Sacrosanti valori borghesi, l’eleganza prima di tutto il resto, cari signori: dato che nessuno guarda oltre quel che sembra, allora l’essenza è apparenza.
Osceni, Voltaire oblige, parrebbe ovvio definire innanzitutto l’ignoranza, poi l’indifferenza o ancora l’ipocrisia e perfino l’abitudine. Siccome però, per la tranquillità dell’ordine costituito, lo spirito critico non ha mai penetrato i dizionari, ci limiteremo in questo articolo ad intendere l’oscenità in senso giuridico: avere un rapporto sessuale in un luogo pubblico è “offesa alla pubblica morale”, per cui non si può andare in giro nudi senza commettere un reato. Ridiamoci su e crediamoci: il sesso va bene farlo ma farlo vedere è sbagliato. Il corpo svelato oltre il bikini offende la grande morale di tutti gli innocenti cittadini che onestamente ogni giorno faticano per un mondo sempre più bello e civilizzato.
Rimane tuttavia da chiedersi cosa ci possa essere di tanto pericoloso in questa visione per i nostri preziosi bambini. Quei bambini a cui va bene fare vedere i giochi di denaro, le vallette, ed il telegiornale in cui dopo la notizia di un uomo sbranato da un cane, o di un politico condannato per prostituzione minorile, o concernente le prove di un accordo fra Stato e mafia, o di un cruento assassinio, il presentatore sorride per una vittoria calcistica. Evviva il lieto fine.
Cosa ci mostra dunque la pornografia di così terribile?
La pornografia è un luogo di dissacrazione, le persone qui vengono ad insultare tutti quei presupposti valori come la famiglia, la religione, la bontà, l’innocenza, quasi del tutto assenti nelle nostre società se non come causa di sofferenza e frustrazione. Il medico, la suora, il padre con la figlia, nella pornografia tutti abusano di tutti e si dimostrano bestie schiave del sesso, senza morale e senza pensiero. È un mondo senza legge, sottomesso solamente all’impero del piacere, senza pensiero né dovere, colmo d’abusi, che fa eccitare il nostro così detto mondo civilizzato.
È un mondo dove, e l’orrore sta qui, l’animale viene celebrato. In cui il corpo possiede la ragione.
Qui sta l’illegalità della pornografia, qui sta la sua preziosissima catarsi.
La bestia umana, tanto cara invece alle culture popolari, è il grande demone della società moderna ed industriale che a violenti colpi di ceretta e con velenosi profumi sempre più disperatamente cerca di affermare l’uomo come un fabbricato umano; e, ce lo ricorda Foucault in Storia della sessualità, essa lo fa proprio agendo sui corpi e su un immaginario corporeo. Un biopotere che afferma ciò che Fromm, in Anatomia della distruttività umana, ha dimostrato come falso: la natura umana come male, quando, al contrario, tanto più una comunità diviene civilizzata e tanto più essa diventa violenta e barbara. Una violenza che certo ha tante maschere, che è sempre più estetica ed igienica come evinciamo dagli  animali squartati di Hirst.
La pornografia diviene così lo spettacolo delle bestie e per le bestie, assume la funzione dei freak show e cioè dell'esorcismo: il nano, il deforme, la donna incinta, il grosso, la giovane, la straniera, il superdotato, la vecchia, la pelosa, insomma qui tutti gli anormali recitano in coro la loro eguaglianza nell’atto di scopare. La pornografia è il luogo delle pari opportunità, dove anche gli invisibili hanno il loro posto in società. Gli anormali sono “spettacolo” dei normali che incuriositi si divertono nel vederli e godono nel sentirsi normali e, allo stesso tempo, si vedono esposti al mondo che fuori dallo schermo li tratta come mostri, come errori, li ripudia.
Molte accuse vengono fatte alla pornografia, come lo sfruttamento della povertà, la mercificazione della donna, il coinvolgimento della criminalità, accuse non solo veritiere, ma che la pornografia non nasconde e che anzi spesso suggerisce essa stessa nei suoi filmati.
Poco invece si parla di ciò che di positivo, in senso ovviamente polemico, essa contiene.
In primis questa “sincerità” che riflette perfettamente l’essenza del sistema in cui viviamo e ne mostra, senza vergogna né patetismo, i lati più oscuri.
Pare un po’ paradossale, in una società piena di veline&promoter (e cioè di donne tipicamente messe come oggetto di desiderio accanto all’oggetto da acquistare), che l’accusa di mercificazione della donna venga fatta proprio alla pornografia.
Tanto hanno scritto Fromm e Baudrillard sul come sia una caratteristica tipica delle nostre moderne civiltà l’amore per l’oggetto e la quasi scomparsa del soggetto. Non solo dunque la mercificazione si trova ovunque attorno a noi, ma sono i soggetti stessi a desiderarla, ad averne fatto un valore: si pensi alle quantità di denaro spese per la cura del corpo, l’apparenza (dal trucco al profumo, dal vestito all’auto), fino alla cultura consumata solo per poter apparire colti. Quella della donna “oggetto sessuale” quasi privo di pulsioni e desiderio è, ancor prima che una caratteristica della pornografia, una caratteristica della nostra cultura. Basti pensare al maschio che nell’immaginario collettivo “vuole” subito e sempre (“quando un uomo tradisce lo fa solo a metà”!) e alla ragazza che se cede un po’ troppo facilmente alle sue pulsioni è una ‘puttana’. La pornografia allora mostra una donna quasi rivoluzionaria, sempre affamata, ninfomane, seppur spesso in “balìa” del desiderio sessuale dell’uomo. Questa donna non è affatto una “vittima” e viene qui da citare Simone de Beauvoir quando, nel Deuxième Sexe, invita a pensare la donna sotto l’uomo durante l’amplesso non come una sottomissione ma come una posizione di privilegio in cui l’uomo si affatica per lei e per donarle piacere mentre a lei non viene chiesto altro che di godere. Questa immagine della donna va contestualizzata, e se è degradante lo è almeno altrettanto quanto l’uomo mostrato come nient’altro che un animale perennemente eccitato ed incline ad ogni abuso.
Insomma anche a voler tacciare di maschilismo un prodotto mediatico pensato per un pubblico principalmente maschile, bisogna quanto meno avere il buon senso di ammettere che non è un maschilismo significativamente diverso da quello presente in tutta la televisione della fascia protetta così come in quasi tutta la cinematografia più commerciale. Vi è da notare infine che le donne stesse (che consumano sempre più pornografia, come attestato dalle statistiche sul consumo negli USA: https://wsr.byu.edu/pornographystats), nel famoso video Girls watch porn non chiedono affatto un’immagine diversa ma una “controparte” commerciale pensata per loro con uomini più belli e situazioni più realistiche.
Ritornando ad un discorso più generale possiamo dire questo: nella pornografia gli uomini tornano alla loro fratellanza: sono tutti uguali.
Essa è il luogo in cui la paura diviene eccitazione, in cui “volgare” torna al significato etimologico di popolare e allora tutto va ridiscusso secondo quel falso progresso di pasoliniana memoria.
Dissacrazione, esorcismo, rifugio, ribellione e pianto. È chiaro che quello che fa il successo della pornografia non è la nudità o l’oscenità, ma una narratività.
Qui tutti vengono ad ascoltare e vedere una storia, a vivere un dramma coinvolti fisicamente in questa peccaminosa visione. È infatti secondo il titolo del video e le poche immagini di anteprima che si sceglie cosa vedere o cosa non vedere. La moglie ripresa mentre tradisce, il padre che ha relazioni con le amiche della figlia, il prete che penetra la suora, la ragazza ingannata, la ragazza che si svende barattando un prezzo, il pazzo che accetta di farsi calpestare il glande dai tacchi, la donna incinta che col figlio in grembo si presta all’orgia, l’abuso della polizia e del dottore, la ripresa segreta del voyeur e la nudità svelata in modo criminale, lui che si masturba mentre parla con la madre al telefono, chi si abbandona e geme dal dolore o dal piacere, la “figa ristretta” scopata, il video dell’ex ragazza filmata da dietro, la mamma porca, l’esperienza del primo sesso anale, la celebrità, la melanzana infilata, il transessuale, la ragazza ubriaca e l’inseminazione involontaria, l’omosessuale, la “coraggiosa” che si accoppia col cavallo. Tutto questo è  un mazzo di tarocchi, un rituale simbolico. La pornografia non offre una oscenità delle cose e dei corpi, ma una oscenità delle storie.
Persino le pubblicità a lato propongono (testualmente) incontri con donne sposate, brutte, mature e rapporti sessuali con mamme. Essa dissacra, abbassa, fa strisciare chi gode, racconta una storia indicibile e inconcepibile. E sovviene allora qui la critica di Barthes, in Miti d’oggi, contro ciò che è storia e viene fatto passare per “natura”. Cosa allora, per un mondo la cui pace è inevitabilmente costruita sulla menzogna di un linguaggio, è da temere più delle storie?
Ma persino la pornografia deve mentire e fingersi normale per il suo grande pubblico.
C’è la grande produzione americana che celebra il corpo capitalistico (completamente depilato, magro, sportivo ed operato), ci sono i siti come YouPorn, ma ci sono soprattutto le finte top-ten dei video più visti. In prima posizione assoluta si trova “mamma e figlia asiatica fanno un pompino”, poi “donna flessibile che fa yoga viene fottuta”, e poi ancora “innocente studentessa bionda viene fottuta”, ma anche “ragazza fa sesso in cambio di denaro”, e poi gli immancabili “creampie” (il cui articolo su Wikipedia è da saggistica, mentre la voce “aristocrazia” è praticamente inesistente).
Sempre fra i più visti abbiamo il sesso anale doloroso e però anche gli estetici scenari erotici di Nuble films/Dane Jones e Young Couple in love. Ma questa top-ten è fasulla, si tratta di accordi puramente commerciali.
Andando a vedere numericamente quali siano davvero i video più visti, ci rendiamo conto che sono in genere quelli meno scontati, assenti da questo elenco. La normalità del piacere è più strana di quanto YouPorn non possa ammettere. Esiste infatti un “second layer” pornografico (presente solo su alcuni siti, per chi impiega del tempo nel cercare, a cui si può accedere solo cercando determinate parole chiave) in cui la pornografia sa offrire prodotti capaci di superare l’immaginabile e l’accettabile. Si tratta di video per lo più amatoriali, ma anche di alcune importanti realtà economiche con attrici principalmente dell’est europeo o ancora di rarità come la così “deviata” (spesso più ridicola e disgustosa che eccitante) pornografia giapponese.
Una pornografia di “sfogo” quest’ultima dove sono palesi le amare conseguenze di una repressione, di un tributo culturale che i giapponesi sono stati costretti a pagare già durante l’era Meiji per compiacere gli europei benpensanti che nel 1600 trovarono una terra dove violenza, nudità e sessualità accadevano per strada con incredibile naturalezza (e dove persino nell’arte i tentacoli penetravano vagine estasiate; cfr. Il manga di J. Bouissou). La riforma di tali costumi fu una condizione essenziale richiesta a questo popolo “amorale” per poter commerciare con la grande e giusta civiltà occidentale. Il Giappone, terra in cui tutto aveva la sua maniera, la sua filosofia, la sua sacralità, e in cui la morale era tanto importante che la vita non vi era considerata il valore ultimo e che si preferiva morire piuttosto che vivere nel disonore, questo Giappone era osceno ed inaccettabile.
Ma ciò che più colpisce di questa pornografia meno appariscente (ma i cui video toccano spesso i milioni di visualizzazioni) è sicuramente la violenza. Il capitalismo vi si mostra più spietato del nazismo, la tortura vi è giustificata in cambio di un compenso economico. Ciò che l’inquisizione faceva patire in nome di un dio, oggi nella pornografia le persone accettano di tollerarlo in nome del denaro. Le sentirete gemere come per il parto, chiedere aiuto, piangere, chiamare il loro dio.
Le vedrete sanguinanti, bruciate, frustate, infibulate, trafitte da ganci e aghi, seviziate, soffocate, elettrizzate, divaricate oltre ogni limite, umiliate, coperte di feci e costrette a bere urina, riempite come botte di vino con smisurati clisteri, calpestate, fustigate con ortiche, morse da animali, sverginate: il tutto per il piacere e l’orgasmo del grande pubblico.
Le riprese segrete/tagliate e gli stessi video documentari dove alcuni attrici mostrano e denunciano gli abusi subiti, i danni fisici perpetui, la crudeltà del sistema, sono anch’essi sui siti pornografici ed eccitano ancora più del resto. Oppure vengono montati con musichette divertenti in alcuni allegri video su siti come “Efukt” che ha fatto del backstage del porno, dei suoi aspetti più disumani, la loro fortuna. Così se un tempo era Chris Burden a farsi sparare e a strisciare quasi nudo sul vetro infranto in Through the Night Softly nel 1973, o ancora Vito Acconci a mordersi o infine Marina Abramovic a tagliarsi con una lametta, insomma se un tempo era l’arte che sola osava dissacrare il corpo, oggi è non solamente la pornografia a farlo ma persino la televisione e il cinema con Jackass che della “ferita” crea un divertimento.
Se il mondo raccontato dai telegiornali non fa mai perdere l’appetito, il mondo pornografico del piacere sa richiamare allo spettatore il suo sentire umano più profondo: la sua morale più vera.
È oramai l’unico prodotto culturale capace di dare la nausea e di costringere a distogliere lo sguardo, a ricordarci il valore della tristezza. Qui sta tutta l’importanza di questa violenza pornografica, il suo valore educativo. Mettendo fra lo spettatore ed il medium un corpo nudo, un corpo che non può mentire, la pornografia tocca chi la guarda. Essa non pone cioè il problema borghese della maschera pirandelliana, di come si appare, ma pone il problema rivoluzionario di ciò che è.Se le stelline sui capezzoli delle ballerine indicano l’intimità, la pornografia fa apparire ridicola qualsiasi idea di intimità legata al corpo. Se il linguaggio dell’erotismo crea il mito della passione e della pulsione sessuale, la pornografia svela come mito tutto il resto: tutto un linguaggio implicito della società, tutto ciò che è costruito. Essa massacra di assurdo l’idea di normalità.
E certo non manca l’accusa fatta alla pornografia di spingere gli individui alla violenza, di deviare la normale sessualità e di portare ad avere idee malsane (fino al commettere omicidi!). Ma questa è una vecchia storia, come se le menti umane fossero bambole vuote e come se un cuore privo di odio e rabbia potesse mai commettere certe azioni. La pornografia, chiamiamola pure deviata e malata, non è che il riflesso di un mondo interiore: non ammala, essa denuncia la malattia.
E proprio come non vi è criminalità senza assenza di Stato, se la sessualità mostrata dalla pornografia può essere pericolosa questo è dovuto innanzitutto all’assenza di un contro-discorso istituzionale, familiare, religioso, popolare, che sia esplicito. Il mercato della pornografia è una realtà economica che non ha alcun motivo di porsi scrupoli morali, sono gli organi sociali più importanti che dovrebbero invece preoccuparsi di non lasciare gli adolescenti approcciarsi alla sessualità unicamente attraverso il consumo “proibito” dei film pornografici (facendogli associare già subito la sessualità, naturale, sana, all’idea di qualcosa di peccaminoso, vergognoso; impedendogli di crescere con una idea assolutamente positiva, gioiosa e bella della sessualità).
Il valore della pornografia è, per concludere, il valore dell’esplicito in un mondo di menzogna.
Essa, oltre certe soglie di sofferenza, ci mostra per esempio cosa sia davvero la povertà: cosa molti individui debbano subire pur di far parte di questo nostro sistema tanto prezioso. Solo così, con le sue lacrime, le sue urla, il suo sangue, ci può davvero far provare disgusto per il materialismo che sembra dominare ogni cosa. Come può importare infatti alle persone una sofferenza che non conoscono e che non le coinvolge? Essa non è “idea” ma esperienza, ed in quanto tale è capace di far maturare chi la guarda. Essa non pone problematiche astratte, ma fatti problematici/drammatici. Tanto più nell’immaginario collettivo essa è contorta, malata, oscura, lontana dalla realtà e tanto più invece essa rimane l’ultimo spiraglio di verità. Uno specchio la cui immagine riflessa è la nostra identità: eiga, come direbbero in Giappone (il termine significa “cinema” e viene trascritto come “immagine riflessa”). In una realtà quasi onirica di un mondo tanto globale dove non si è forse mai stati così soli, la pornografia è un richiamo alla fratellanza. Ossessionati dalla nostra piccola quotidianità, schiavi del piacere e del buonumore, essa con la sua “inaccettabilità” ci ricorda l’importanza storica e politica della tristezza. Essa ci fa percepire come insostenibile il carpe diem stuprato per giustificare i piaceri più vani, ci fa sentire vicino quel mondo di piacere che è la meta ultima dell’ideologia mondana e pone allora in dubbio che quella possa essere veramente Itaca. La pornografia ci ricorda che, nonostante il partner ed il portafoglio colmo, forse non si hanno poi così tanti motivi per sorridere: che forse tutto va male. Ci porta a riflettere su cosa sia veramente la sofferenza disumana, ci mostra uomini che soffrono per godere e altri per sopravvivere, ci costringe a distinguere ed a negoziare i significati ricordandoci il sempre attuale Sade: “Uccidere un uomo nel parossismo della passione, lo si può capire. Farlo uccidere da un altro nella quiete di una seria meditazione, e sotto pretesto di ministerio onorevole, questo non lo si capisce”.
Essa è essenziale poiché ci mostra ciò che è davvero osceno, ci ricorda la vera violenza di un mondo la cui essenza, per dirla con Baudelaire, è il delitto, ci mostra ciò che siamo come individui e come comunità, ciò che siamo diventati e soprattutto ciò che stiamo diventando.

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