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Monday, 14 January 2013 20:36

Scienza-Verità/Errore-Dubbio

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Maglione scuro, pantaloni chiari. Poi una sorta di basco nero e un grembiule da fabbro, da artigiano. Nero lo sfondo, come se non servisse. La voce bassa e suadente basta a creare tutto il resto, lo spazio e il tempo. Unico elemento e coprotagonista in scena un globo spinoso che pende da una catena collegata ad una carrucola; il mondo apparentemente, sapremo poi che si tratta dell’universo. Universo che noi, nonostante tutto ancora pervicacemente impregnati di aristotelismo e Scolastica, continuiamo a pensare in termini di perfetta e circolare ciclicità.

Sarà questione di scarsa dimestichezza con la matematica, retaggio anch’essa di un’educazione che resta, nel suo fondo, nel bene e nel male, ancorata al sistema di valori delle discipline sancito dalla Scolastica. Cerchio e circonferenza, raggio e diametro, pigreco... è già molto riuscire a padroneggiare (?! Parola grossa, diciamo più modestamente imparare, forse assimilare? Bah..) questi semplici (?!) concetti, l’ellisse e i suoi moti sono già un passo troppo oltre l’estetica intellettuale aristotelica. A scuola quelli bravi sono bravi in italiano, latino, greco, storia, filosofia, in genere hanno problemi con la matematica e la fisica, o comunque non ci vanno troppo d’accordo, ma tutto sommato non ne viene fatta loro una colpa e ogni loro sforzo è salutato come ampiamente superiore alle aspettative.
Ma torniamo allo spettacolo. Paolini esordisce concedendoci un minuto di rivoluzione. Il pubblico, noi, è piuttosto contenuto (forse la rivoluzione non si trova in un pacco regalo e Paolini lo sa bene...), ad ogni modo un minuto passa presto e la rivoluzione in oggetto è quella dei corpi celesti (l’unica rivoluzione permanente possibile in questo paese), il De Rivolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico. Ricordi di scuola, storia della filosofia, geografia astronomica. Marco Paolini ci traghetta con leggerezza in piena Controriforma, tra matematici, teologi, filosofi, facendoci sentire il profumo di un mondo in cui la verità era LA Verità e il minimo soffio, il minimo scricchiolio, il minimo alito di cambiamento erano stigmatizzati come eretici, inaccettabili, impossibili. Il programma (il lessico scolastico abbonda e mantiene il tono dello spettacolo sufficientemente lieve da tener desta l’attenzione di tutta la platea per tutto lo spettacolo) era lo stesso da sempre, come si permetteva il signor Galileo di cambiarlo?
Insieme seguiamo negli anni la formazione di Galileo, interessato al come, non al perché delle cose. Il problema non sono le Scritture in sé, in quanto tali o in senso epistemologico, ma il fatto che le scritture non funzionano, non danno ragione dei fenomeni celesti, o meglio, ne danno ragione in maniera apparente (“Aristotele è intuitivo come un bambino”). E come bambini ci lasciamo trasportare lungo le rivoluzioni dei corpi celesti, le dispute sulle maree, le rughe della luna, le macchie solari; Paolini ci trasporta sulla scena del Dialogo sui due massimi sistemi dell’universo, sì, la scena, perché lui lo mette in scena come una commedia, in lingua madre (la sua, nato a Belluno... ) e quei concetti sembrano diventare semplici, o almeno comprensibili. Ma ciò che forse è più interessante è ciò che viene dopo, dopo il Dialogo (gli onori) e dopo l’abiura (la polvere), con Galileo vecchio, in ginocchio davanti agli inquisitori, con in testa un lungo cappello da asino, ancora un richiamo scolastico d’antan. La voce di Galileo è cupa, sembra arrivare dall’oltretomba o comunque da un altro mondo. La morte dunque? La fine del dramma? Fin qui Brecht, ma c’è un dopo. Paolini racconta quel dopo, i dieci anni successivi all’abiura, la residenza forzata ad Arcetri, dove il vecchio Galileo cieco, ma non dimentico di se stesso, riprende i suoi primi studi, di fisica meccanica. Ripete (o meglio fa ripetere) tutti gli esperimenti (il pendolo, il piano inclinato, la caduta dei gravi) e rimette in ordine le sue carte per pubblicare la sua nuova fisica non aristotelica, inviata fortunosamente in Olanda (paese protestante) nelle mutande dell’ambasciatore di Venezia che era andato a trovarlo (arresti domiciliari, ma siamo pur sempre in Italia... ).
Galileo è un classico, un doppio classico, una prova difficile, una domanda aperta. Galileo non si legge a scuola (leggiamo Dante e Manzoni, – si rammarica Paolini –, meno male!), la matematica e la fisica, per la separazione dei saperi (stupido dilemma dell’età moderna) restano sempre al di là della soglia della cultura media e medio-alta. Paolini si confronta col gigante e ne tratteggia un suo ritratto, più vero? Non so se sia questione di verità, ma sicuramente più completo del faccione calvo con la lunga barba, da ritratto di copertina. Galileo di Paolini è scienziato, ma anche uomo, nella sua interezza e nella sua fragilità, nella piccina meschinità di non aver sposato la donna che gli aveva dato tre figli, di aver trattato sempre con spocchia boriosa Keplero, compagno di copernicanesimo, reo di rischiare di metterlo in ombra con le sue leggi (che si studiano ancora in geografia astronomica, mentre lui, Galileo, al massimo è relegato tra la storia, la letteratura e la storia della filosofia).
E poi c’è l’altro Galileo, quello di Brecht, con la sua problematica della libertà del sapere. Paolini costruisce ancora una volta la sua risposta, proprio nel riflettere sul dopo, laddove tutto sembrava finire con l’abiura e riproporre al pubblico il trito dilemma della libertà della scienza. L’operazione di Paolini è più profonda, “scienza non produce coscienza”. La responsabilità è sempre del singolo e della collettività, ciascuno al suo livello. Scienza non è in sé bene o male. Scienza è interrogarsi intorno al come delle cose. Quel come produce degli effetti, delle applicazioni. Galileo sa che il cannocchiale sarà usato dai Veneziani per la guerra, Einstein sa che in guerra sarà utilizzata la bomba atomica. E dunque? Dunque la decisione, la scelta, il libero arbitrio cattolico restano a ciascuno di noi, senza la possibilità o l’alibi di demandare ad altri la scelta o la colpa.
Galileo “ha indebolito la forza della verità, ridistribuendola tra la dignità dell’errore e il diritto di dubitare”.

 

 

 

 

ITIS Galileo
di
Marco Paolini e Francesco Niccolini
regia Marco Paolini
con Marco Paolini
lingua Italiano
durata 2h 10’
Avellino, Teatro Carlo Gesualdo, 13 gennaio 2013
in scena 13 gennaio 2013 (data unica)

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