“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 30 April 2013 08:58

The revolution will not be televised (parte quinta)

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V

   dove getteranno il mio cadavere?, dove sono finiti i cadaveri di tutti quelli come me?, ci manca soltanto che mi metto a pensare alle sepolture dei morti, i morti sono morti, basta! è finito tutto con la morte, che senso ha pensare alla sepoltura?, eppure vorrei immaginare il tragitto del mio cadavere, seguirlo passo passo, essere presente quando infermieri lindi e profumati lo trascineranno fuori da questa cella, stare in piedi accanto a loro quando poi lo chiuderanno in una sacca di plastica, vedere il loro sguardo mentre lo faranno, studiare se un qualche moto d’animo di qualsiasi tipo sarà visibile sui loro volti,

 

 

   dove getteranno il mio cadavere?, sono pur sempre una persona che hanno visto tutti i giorni per interi mesi, tutti noi proviamo un certo senso di abitudine, di amorevole complicità, con chi vediamo quotidianamente, certo possiamo provare anche odio o disgusto, ma mai indifferenza, come mi guarderanno?, o preferiranno non guardarmi?, cosa penseranno quando poi si laveranno le mani?, cosa si diranno nello spogliatoio mentre si cambieranno?, nel gesto di timbrare il cartellino d’uscita, dopo aver visto e sistemato il mio cadavere, a cosa staranno pensando?, ai figli?, ai nipoti?, che devono fare la spesa?, che non riescono ad arrivare a fine mese?, che vogliono fare un regalo alla moglie o al marito?, quante cose belle si pensano quando si è vivi, non dovranno pensare al mio cadavere, dovranno continuare a vivere, sono d’accordo con loro, perché del resto dovrebbero pensare a me?, perché dovrei rovinare loro la giornata?, perché questa mia presunzione?, perché questo mio egoismo?, ecco! la verità è che ho paura di morire, e ho paura di morire proprio perché quando io morirò atrocemente, improvvisamente, senza poterci riflettere, tutti cominceranno a costruire un nuovo modo di vivere insieme, la realizzazione definitiva dell’umano, certo ci vorrà tempo, ma quello sarà l’unico vero tempo, ma io sarò morto, non vedrò mai nulla, non vedrò quello per cui maciullano il mio corpo, non vedrò quello per cui mi hanno distrutto sistematicamente tutte le ossa delle mani, non vedrò quello per cui mi hanno tormentato per mesi, non vedrò quello che il mio dolore ha aiutato a costruire, ecco! se fossi un buon cristiano dovrei essere contento, dovrei sentirmi un martire, un testimone, la mia morte dovrebbe consolarmi, perché se esiste un regno dei cieli sarà mio, tutto mio, mio e di pochi altri,

  

   ma devo fissare l’attenzione: l’importante è che quando si muore, si muore del tutto, non si muore che poi però una coscienza, un’anima, un fantasma sopravvive, e così quando sarò morto non sentirò cosa gli infermieri racconteranno alle mogli e ai mariti, “caro, sai è morto il detenuto, quello lì con i capelli biondi, quello che si cacava sotto tutti i giorni”, “meglio così, Dio avrà avuto pietà di lui!”, “cara, oggi sono un po’ triste, è morto il detenuto, quello arrivato da pochi mesi, ti ricordi? quello giovane e simpatico, mi dispiace, secondo me era una brava persona”, “non pensarci caro, stasera ho preparato lo stracotto”, cosa c’è nel modo di lavorare dei nostri tempi che ci rende così indifferenti?, eppure non eravamo più abituati alla quotidianità della morte e della sofferenza, da decenni vivevamo in una realtà ovattata, la violenza era soltanto mediata dalla televisione, la violenza in un certo senso era un fatto che riguardava sempre gli altri e mai noi, ci divertiva pure perché sembrava finta e superata, e invece ci siamo subito riabituati, questi infermieri lindi e profumati fanno il loro lavoro, che ci possono fare?, finire in mezzo a una strada?, non devono forse compiere il loro dovere nei confronti della società?, lo devono compiere, evidentemente, anche se il compito è questo qui, cercare di alleviare le sofferenze di detenuti massacrati dagli aguzzini, eppure sono loro che sono voluti venire a lavorare qui, forse lo stipendio è più alto, il contratto è garantito e non ti possono sbattere fuori facilmente, forse c’è addirittura una stato sociale speciale per chi lavora in queste istituzioni governative, ci sarà un motivo per cui tanta gente accetta di lavorare in queste condizioni, senza fare domande e senza cercare risposte, svestendosi, all’uscita da questo posto (ma dove si troverà?), e lasciando qui dentro tutto il dolore di cui sono testimoni, anche la loro non deve essere una vita facile e bella, anche la loro vita deve essere dura, ma la mia è sicuramente molto peggio,

 

    dove ero arrivato? a quando chiudono il mio corpo nella sacca di plastica, poi dovranno portarlo via, e lo sforzo per sollevare un corpo morto è grande e forse mi malediranno, ma comunque non peserò più di cinquanta chili (e sono generoso con me stesso, ottimista, sarà la morfina che comincia ad andare in circolo), porteranno il mio cadavere irrigidito in un sala, da dove il giorno successivo alcuni solerti dipendenti del Ministero lo prenderanno e lo caricheranno su un camion o qualcosa del genere, poi? e poi si andrà in qualche crematorio, i cadaveri come il mio molto probabilmente li bruceranno, è la soluzione più ovvia e più razionale, devono scomparire, ma dove?, e la gente che lavora in questi crematori saprà ogni volta quale ammasso organico stanno andando a bruciare?, gli verrà detto qualcosa?, “questo era D., morto per la libertà!”, non sarà così ma seppure fosse non sarebbe granché come consolazione, eppure anche quel giorno il cielo sarà azzurro o grigio, l’aria sarà fredda o calda, gli uomini sorrideranno o piangeranno, gli uccelli cinguetteranno alla primavera o taceranno nel buio del gelido inverno, tutto sarà come un giorno comune, il giorno più straordinario della mia vita, sarà un giorno come tutti gli altri, quali altri?,

 

   il mio cadavere sarà presto cenere, del tutto consumato, non si decomporrà, non darà modo alla vita di riprodursi, non ciberà nessuno, non farà nascere nessuna forma di vita, mosche non gironzoleranno attorno e la puzza non sarà insopportabile, tutto pulito e lindo, netto e preciso, soltanto arida cenere buttata di qua e di là, certo un soffio di vento a me amico, proprio nel momento in cui solerti impiegati la getteranno via, potrebbe anche ributtargliela in faccia, e loro inalerebbero un po’ di me, magra consolazione, magrissima consolazione, tanto la cenere è cenere, mica è qualcosa di determinato, qualsiasi cosa viene bruciata è soltanto cenere, il fuoco è veramente la più grande potenza perché annulla tutte le differenze, è veramente una forza assoluta, riduce tutto a suoi sudditi, il fuoco, proprio il fuoco,

 

   proprio il fuoco di quando eravamo assieme, mia cara Alessandra, proprio il fuoco di quando ci andava ogni tanto di salircene sul monte e trascorrere la notte all’aperto, il fuoco che accendevamo era proprio uguale a quello del mio cadavere, e noi andavamo a fare legna in quel sentiero che lentamente degrada verso il paesino dove compravamo salsicce e costolette e peperoni e patate e melanzane, tutto il pomeriggio e non si era mai soli, mai, perché il nostro gioioso infantilismo ci portava a cercare di seguire il fischio di quell’uccello, o lo scrosciare del ruscelletto, e poi c’erano in primavera quelle minuscole ranocchie, grandi come un’unghia, e le notti erano spesso gelide e il fuoco a stento bastava a scaldarci, e poi capitava che finiva la legna e bisognava cercarne altra senza precipitare giù, e quel fuoco noi lo fissavamo come se fosse una sorta di piccolo grande oracolo, nei suoi crepitii cercavamo il senso della nostra esistenza, nei silenzi immensi di quelle notti cercavamo qualcosa in più e capivamo sempre meglio e sempre di più che questo mondo andava cambiato, e gli occhi brillavano e le facce erano incandescenti vicino a quel fuoco, e quel fuoco era sempre lì a ricordarci il nostro posto nel mondo, il nostro ruolo e il nostro compito, perché il fuoco tutto annulla, ma soltanto dopo la grande vampa, dopo la grande conflagrazione universale, ma è possibile poi risorgere completamente nuovi, completamente nuovi e completamente differenti, definitivi, ecco! la mia rivoluzione sarà come il fuoco del crematorio e quello sulla montagna di quando io e Alessandra eravamo felici, perché poi spesso ci raggiungevano anche gli altri amici, e allora si stava lì a chiacchierare e a bere fino a notte inoltrata fino a quando il freddo non ci obbligava a entrare nelle tende e a cercare quel pisolino di poche ore fino al mattino, quando infatti io e te, Alessandra mia, ci alzavamo perché quello è il momento più bello della giornata, l’alba, la nascita, e tutti i cinguettii si alzano e tutto è come un grande coro, e passeggiavamo su e giù per i declivi e cercavamo questo e quello, ma in realtà lo facevamo per riscaldare al primo tiepido sole le ossa gelate dall’umidità della notte,

 

   il cielo è azzurro, il sole è giallo, il prato è verde, il mare è blu, e poi ancora quel sorriso, quella volta che…,

 

   e poi il profumo di fiori,

 

   mi sveglio e sono sempre rinchiuso qua dentro, niente, nessun cambiamento, non è successo proprio nulla, non mi hanno ammazzato, la rivoluzione non è scoppiata, l’infermiera ha voluto consolarmi, a modo suo ha fatto un gesto che le permetterà di campare meglio, però non è riuscita nel suo intento,

 

   io non campo meglio, 

 

   il torpore mi attraversa il corpo come un leggero fuoco sottopelle, la testa è in bilico su un abisso, potrei sprofondare di nuovo in questa strana notte, la morfina ha fatto il suo dolce effetto, non sento più dolori, né la coscienza di poterli provare, ho a stento percezione del mio corpo, è lì, lo vedo, molto lontano, la cosa migliore sarebbe chiudere di nuovo gli occhi, ma non ne ho voglia,

 

   la fame mi divora, quanto sarà che non mangio?, e questa sera cosa mangio?, lassù in montagna mi aspettano salsicce e costolette e patate e melanzane e peperoni, tutto cotto alla brace, tutto con quel meraviglioso profumo di legna bruciata, e poi il pane appoggiato sotto su un ripiano e il grasso delle salsicce che cola e lo inonda e lo ammorbidisce e il grasso è la vera salute e la vera salvezza, e poi mi aspettano tutti quanti, sono loro gli amici, mi aspettano per banchettare, la comunità dei fratelli e il padre sgozzato sull’altare e allora non ci saranno più nemici o aguzzini, non ci saranno più! ne sono sicuro, e non ci sarà più questa acre sofferenza che ulcera il mio stomaco e che fa contrarre senza alcun ritmo la sua bocca, ma poi questa cella accecante e l’azzurro del cielo, e il verde scuro del prato e questa luce perennemente sparata negli occhi, sto perdendo contatto e non devo, devo fissare l’attenzione su qualcosa, ma non ci riesco, forse questa volta ho perso definitivamente il mondo, 

 

   buongiorno, signor D.

 

   (una voce, la riconosco, è quella voce che indossa occhialini scuri, ancora torture, ancora!, ma non piangerò questa volta, non piangerò)

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