“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 28 January 2013 17:56

Il banchetto della democrazia. Il Lincoln di Spielberg

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Non è trascorso molto tempo dalle presidenziali negli Stati Uniti, presidenziali che hanno visto la rielezione di Obama, di colui che resterà nella storia come il primo presidente afroamericano. E allora sembra che la fabbrica dei sogni americana abbia voluto festeggiare questo avvenimento, questo ringiovanimento del mito americano (dopo aver fatto addirittura un afroamericano presidente, che rimane più da fare?), attraverso due film, Django unchained di Tarantino che, con il suo modo un po’ farsesco e surreale, racconta la vendetta di un afroamericano nella quale è contenuta la vendetta latente di un intero popolo e, forse, di tutti gli oppressi di tutti i luoghi e tutti i tempi (http://www.ilpickwick.it/index.php/cinema/item/134-laltra-nascita-di-una-nazione-django-unchained-di-tarantino) e Lincoln di Spielberg che, con il suo solito e indiscusso mestiere, confeziona un film ben fatto, non eccessivamente retorico, non eccessivamente agiografico. Entrambi i film, ovviamente, non mettono in discussione assolutamente l’intero significato storico-politico di un Paese che ha mantenuto l’istituto della schiavitù fino a oltre la metà dell’‘800, che ha esportato fino a poco fa (ora sarà sempre più difficile farlo) la democrazia con la guerra, che ha mantenuto in soggezione il Sud America e tanti altri stati in giro per il nostro globo mediante l’utilizzazione sistematica di dittature militari e ci fermiamo qui perché non è questo il luogo consono. Insomma Hollywood è Hollywood: può anche capitare che faccia pensare, ma deve soprattutto far divertire e ripetere la serena ideologia americana. In questo senso se Django di Tarantino se n’è (ma soltanto appena appena) scostato, il Lincoln di Spielberg n’è dentro fino al collo ma con astuta sapienza e in maniera, per così dire, sommessa.

Il film come si è detto è perfettamente confezionato, ma non è un capolavoro. Insomma, è un film di Spielberg. La fotografia è indubbiamente eccellente, la sceneggiatura complessa e credibile, gli attori (su tutti, ovviamente, Daniel Day-Lewis) perfetti nei loro ruoli, la regia appena un po’ “nascosta” ma comunque sapiente. Niente da dire dal punto di vista tecnico. Vediamo la trama.

Il film analizza gli ultimi mesi di vita di Lincoln, in cui il “mitico” presidente riesce a far approvare il famosissimo XIII emendamento alla Costituzione che sancisce l’abolizione della schiavitù, conclude poi la guerra civile, infine resta ucciso in un attentato. Daniel Day-Lewis confeziona un Lincoln sorprendente e, per noi italiani che ovviamente non conosciamo queste personalità e la storia americana così nel dettaglio, ne vien fuori un personaggio ambiguo e ben centrato: da un lato, sì idealista (ma, a dire il vero, cosa che ci ha stupiti, non è stato reso come un “sognatore” o un “moralista” e neanche semplicemente “buono”), dall’altro autoritario e capace di giungere a qualsiasi compromesso per raggiungere il suo scopo. Infatti, il film è incentrato non sulla guerra, non sulla differenza socio-antropologica tra i due schieramenti, non sulla schiavitù (che rappresenta la più grande – e colpevole – ellissi di tutto il film), ma sui sotterfugi, le corruzioni, le clientele che hanno permesso a Lincoln di far passare il famoso emendamento, così come risulta clamoroso il cinismo del presidente che rinvia la pace fino a quando non venga posta finalmente fine alla schiavitù.

Ne vien fuori un ritratto sorprendente si è detto. Un Lincoln ferocemente ironico e che racconta storielle (sì! in ogni momento fondamentale, dinanzi a ogni scelta decisiva, Lincoln prima di dire la sua, racconta una “storia” allegorica) che non sempre sono significative nel momento in cui le racconta, non sempre sono così significative come forse nell’intenzione della sceneggiatura, ma che comunque divertono lo spettatore. Un Lincoln che mette da parte sempre e comunque la famiglia, le scene che raccontano la vita privata, infatti, sono poche (anche se alcune ovviamente melense). Un Lincoln interessante perché assume le sembianze di un uomo autoritario, la cui decisione sovrana è giocata sempre sul limite dello stato d’eccezione in cui si colloca la sua politica: “io sono il presidente degli Stati Uniti d’America” dice (cito a memoria) “e sono dotato di un potere immenso, dunque ora uscite e andate a trovare gli altri due” (si trattava di corrompere altri due parlamentari per far passare l’emendamento).

Se il ritratto di Lincoln, in definitiva, è riuscito proprio perché poco moralistico e grazie a un dinoccolato e simpatico Daniel Day-Lewis, Spielberg comunque non ha saputo resistere e nella scena iniziale così come nella scena finale, ha confezionato due momenti di cinema spielberghiano par excellence che, se funzionano con extraterrestri e robe del genere, quando si parla di uno dei crimini più efferati che l’intera Storia umana abbia commesso (i due secoli e mezzo di tratta e schiavitù), funzionano indubbiamente meno bene. Il primo è una discussione al fronte fra Lincoln e due soldati afroamericani, stereotipati come raramente negli ultimi tempi e negli ultimi film, così come stereotipato come pochi il dialogo e il confronto, il secondo è un discorso in cui Lincoln inneggia agli Stati Uniti come patria della pace e simbolo della pace nel mondo (quest’ultima dichiarazione, Spielberg se la – non poteva bensì – doveva risparmiare).

Si potrebbe allora concludere con il personaggio interpretato da Tommy Lee Jones, il deputato Stevens dell’ala radicale, l’estremista per eccellenza, quello che riteneva i neri non inferiori razzialmente ai bianchi, quello che voleva dare il diritto di voto, etc. etc., anche lui è costretto a scendere a compromessi, a dichiarare dinanzi al Congresso che i neri devono essere uguali ai bianchi soltanto dinanzi alla legge, ma che non lo sono dal punto di vista “naturale”. Il personaggio è in un certo senso speculare a Lincoln: anche lui carico di contraddizioni, idealista, in più addirittura anche se segretamente convivente con una donna afroamericana, ma disposto a tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Il personaggio è speculare a Lincoln, ma è sicuramente meno riuscito. Anche lui uno stereotipo più che una figura vivente.

Un film che ha per tema soprattutto il potere e su questo probabilmente coglie: la politica non è rispetto della legge umana e morale, la politica non è rispetto delle leggi dello Stato, ma è già sempre sospensione della norma, il potere in tutte le democrazie occidentali è questa eccedenza o eccezione che rende già sempre soltanto un teatro il banchetto democratico al quale crediamo di partecipare (e a cui, ahinoi, ci tocca risederci a breve!).

 

Lincoln

regia Steven Spielberg

con Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, James Spader, Hal Holbrook, Tommy Lee Jones

produzione 20th Century Fox, Imagine Entertainment, Amblin Entertainment, The Kennedy/Marshall Company, DreamWorks, Parkes/MacDonald Productions, Office Seekers Productions, Reliance Entertainment, Participant Media

soggetto Doris Kearns Goodwin (dal libro, Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln)

sceneggiatura Tony Kushner

paese USA, India

lingua originale Inglese

colore A colori

anno 2012

durata 150 min.

          

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