“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sara Lotta

Il coraggio di chiamarsi Paolo Sorrentino

Chi ama Paolo Sorrentino dai tempi de L’uomo in più e conosce a memoria il monologo di Tony Pisapia, chi ha rivisto almeno tre volte Le conseguenze dell’amore e si è lasciato sommergere dal fango insieme a Titta De Girolamo, chi sente ancora addosso la sensazione di sporco e di insulso de L’amico di famiglia o è persino capace di sentire la voce imperiosa di Toni Servillo nei panni di Andreotti nella sua (forse) più grande prova cinematografica de Il divo, avrà molta difficoltà a dire che quest’ultimo sia il miglior film del regista napoletano.

Un’ultima cosa, forse più di una

 “Hai presente quando sogni di morire
Per vedere chi verrà al tuo funerale
Per capire che hai sbagliato tutto
Che non manchi a nessuno e lei non è vestita a lutto”
(Rosso, Niccolò Fabi)

   

Signori e signore, ecco a voi la morte.
Nessuna cosa, tra tutte le faccende umane visibili e invisibili, ha più fascino di lei.
Il suo mistero tiene col fiato sospeso, legati a una domanda irrisolta, a quel “cosa sarà/non sarà” a cui nessuno riesce a trovare una risposta. Da qui il sogno, il pensiero indicibile della canzone di Fabi: la possibilità ultima di poter essere presenti al proprio funerale, guardare in faccia i vivi, ascoltare quello che diranno di te.

“Dr. Nest”: vite allo stato puro

C’era una volta un dottore, Dr. Nest, che mise piede a Villa Blanca, una casa di cura per malati di mente e di cuore (nel senso più romantico del termine), e quando ne uscì non fu più lo stesso.

La scomposizione dei corpi. E i corpi che parlano

Data unica per Un poyo rojo, spettacolo della compagnia argentina di Alfonso Baròn e Luciano Rosso, acclamato sia in Sud America che in Europa, dove ha registrato il tutto esaurito.

Alessio Arena, il genio di Napoli

Poetica, musicalità, ed immaginazione: si potrebbero aggiungere tante altre qualità al genio di Alessio Arena e in ogni caso non si riuscirebbe a spiegare la portata di un artista che vive a forza di parole e chitarra e che riempie di vita e valore ogni nota che esce dalle sue corde, ogni parola che canta la sua bocca.

Novecento chiama, Napoli risponde

Volti scolpiti che si lasciano accarezzare, sculture che raccontano storie di desiderio e movimento, ritratti di personaggi del secolo scorso o squarci di pura napoletanità: la mostra Novecento a Napoli. Capolavori di pittura e scultura offre ai visitatori una grande possibilità, ovvero quella di abbandonare ogni pregiudizio e cedere al fascino − maledetto − del secolo breve.

La scorticata che, rirenno, pensa a' morte

Storia dei due fratelli è un componimento egizio del XIII secolo a.C. considerato la più antica favola della letteratura antica. È la storia di due fratelli, Anubi e Bata, uno Re, l’altro suo schiavo, che alla fine degli eventi, vedranno la loro condizione mutarsi, con la salita al trono di Bata.

Marina Abramović, l’arte di essere presenti a se stessi

Un muro bianco e una porta delimitata da ostacoli: si entra attraverso un piccolo spazio cinto da due corpi nudi, un uomo e una donna, che fanno da stipiti, disposti l’uno di fronte all’altro. Imponderabilia, ovvero senza possibilità di ponderare le proprie reazioni o la decisione da prendere, è il momento iniziale in cui il visitatore si imbatte ed è chiamato a non essere spettatore passivo ma protagonista attivo e volitivo della performance.

Life is short, art is long

Durante l’epoca rinascimentale l’uomo percepiva la Natura come riflesso del divino e della sua potenza, dunque come un corpo perfetto, a sé estraneo verso il quale provare un sentimento assoluto di devozione e rispetto per tutto ciò che essa era e rappresentava. L’arte e la pittura in particolar modo, esprimevano al meglio questa idea di riverenza e sentimento di impotenza dinanzi alla maestosità e grandezza della Natura, diretta espressione di Dio in terra.

Dell'orrore e dei suoi derivati: NO

Germania 1938: in un clima di orrore e indecenza sociale, Bertolt Brecht conclude la scrittura di Terrore e miseria del Terzo Reich, un lavoro di ventiquattro scene ovvero ventiquattro manifesti pubblici di quotidiana disfatta.
Il cerchio è chiuso, la svastica è in bella mostra, l’orrore compatto prende spazio nell’angolo giro e luminoso che definisce la scena: siamo al Teatro Elicantropo di Napoli, è un venerdì di ottobre dell’anno 2018 in cui l’autunno tarda ad arrivare, e il pubblico napoletano − ventaglio alla mano − gode dell’ennesimo regalo teatrale che porta l’inconfondibile firma di Carlo Cerciello.

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