“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Denise Cuomo

Questo ucciderà quello

Notre-Dame de Paris è uno di quei libri che appena inizi a leggere vorresti non finisse più. Chiudere l’ultima pagina di un tale libro è come sbattere ferocemente in faccia la porta all’umanità e alla sua storia, come far terminare il mondo con il gesto innocuo di una mano sulla carta. Un vuoto come un buco nero si apre alla tue spalle, un vuoto che fino a poco tempo fa era pieno di voci e di sentimenti, strabordante di emozioni e sofferenze, colmo fino all’orlo dei nomi a cui non vuoi dire addio.

Quale bella gente?

“Sarà una guerra contro la società, contro le patrie, contro i poeti e i pittori che frequentano la Sua casa, contro le care famiglie, contro la falsa autorità dei padri e la falsa ubbidienza dei figli, contro il progresso e contro la Sua emancipazione, insomma contro la borghesia".
(Joseph Roth)

 

Che strano animale la famiglia. Un vero mostro con mille teste e mille volti, è necessario un attimo perché quella che sembrava essere la testa decisiva, quella di cui fidarsi ciecamente, cambi, muti, fino a mostrare in realtà il multiforme aspetto e le scoraggianti deformità. Quando poi questo mostro preistorico, più antico degli dèi sull'Olimpo, è una piccola famiglia borghese, ingentilita da alti ideali, da un passato sessantottino e una comodità attuale annaffiata con qualche opera di beneficienza – come una collezione di immaginette sacre salvata dall'acqua santa – allora ecco il quadro perfetto di un Leviatano ambiguo, del quale vi consiglio di diffidare, anche se la sua missione è quella di salvare il mondo, nessuno escluso.

Parigi è una festa mobile

Ti ho visto, bellezza, e ormai tu mi appartieni, chiunque tu stia aspettando e anche se non ti rivedrò mai più, pensavo. Tu mi appartieni e tutta Parigi mi appartiene e io appartengo a questo taccuino e a questa matita”.

Il capoverso spezzato di Marina Keegan

“Mia madre diceva sempre che è straordinario come le cose sembrino assolute quando si è giovani. Eppure la sabbia scivola giù fino a riempire i crateri tra le dune. È inevitabile, scrivono i giornalisti, e noi scuotiamo il capo con una mesta nostalgia per l’erba e i suoi grilli. Sarà sempre così”.

 

La società americana muta così rapidamente che per chi osserva dall’esterno sembra quasi stia assistendo a un carnevale a tema. Le mode e le fantasie si alternano senza lasciare il tempo necessario ai partecipanti di rendersi conto quanto sia difficile abbandonare tutto, da un momento all’altro, per indossare altro, ancora altro e altro ancora. Tradizione è una parola sconosciuta. Le giornate della memoria durano ventiquattro ore e sono spesso commedie buffonesche in cui ci si sforza di fingere un sentimento patriottico o patetico che non si è avuto il tempo neppure di vivere o esperire. Quello che è stato, perché c’è stato, costituisce un barlume di emotività privo di senso storico.

La voce di nessuno

Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori" .
(William Shakespeare – Richard III
)


Avete mai sentito o letto le parole della letteratura, dette dalla letteratura stessa? Leggiamo libri che sono scritti da autori, ci lasciamo affascinare da storie narrate da qualcuno con un qualsiasi nome, a volte può persino portare un cappello o un frac, o trovarsi nel bel mezzo della Russia imperiale o ancora nel cuore di una capitale europea e star mangiando distrattamente una madeleine. Le voci si sovrappongono, scrive uno e parla un altro, e la letteratura si fa, viene divelta dalla schiena del silenzio e maneggiata finché non assume una forma, uno spessore, finché un libro non è stato finito di leggere o scrivere. Allora tutto rientra nel serbatoio che chiamiamo storia della letteratura, si aggiunge ai tasselli, ai mormorii sommessi, nei ripiani alti della biblioteca universale. Migliaia, milioni e miliardi di libri, di eventi, di finzioni. E tutti con un nome, con un volto, con due cenni biografici, con delle descrizioni pedanti sul vestito che ogni giorno qualcuno indossa nella sua avventura. Autori e narratori, e così via.

La casa dei guaglioni

“Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo ad informarmene), che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato da un re dell'antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli”.
(L’isola di Arturo, Elsa Morante)

 

Napoli,
il traghetto transita, si arena sul porto, sembra quasi che voglia entrare sulla banchina e dominare la scena, invadere il molo gettando l'ancora nel cemento, seppellire un viaggio. Però poi è esatto, non sbaglia manovra, si ferma prima dell'errore, prima della terra. Con lunghe funi tiene a bada il suo capogiro, uomini anziani sudano alle dieci del mattino dentro un sole estivo già fuori stagione. Intorno a me una folla dalle mille voci aspetta di salire a bordo e conquistare un altro pezzo di mondo con lo sguardo, acciuffa con gli occhi il primo posto, vogliono tutti entrare per primi, salpare e navigare, restare sul podio umido di salsedine e fermare momenti d'acqua e terra troppo profondi, ancora lontani.

Le malattie del corpo e del negativo

Le ferite del corpo sono evidenti, sanguinano a volte, oppure assumono la forma scheletrica della malattia interiore. La pelle si ritira e non ritorna, la presenza diventa una bozza incompiuta di un progetto sospeso. La carne è una terra sferzata dal vento e le dune si svuotano della sabbia e dei sassi, il deserto privo di acqua scompare anche nella sua aridità e quello che resta è lo scavo profondo e vuoto in cui nulla ritorna, dove il ricordo di qualcosa appare nella sua grande assenza.

"Youth": il più bello dei film possibili

Youth è il più bello dei film possibili, permettetemi questa licenza filosofica.
È un’opera artistica, un vero omaggio alla scienza poietica, alla verosimiglianza che racconta la libertà dell’immaginazione, la sua forza governata dalla necessità armoniosa del gusto. La grande bellezza che si sprigiona diventa principio di ragion sufficiente impegnato nella realizzazione di un mondo visivo scelto meticolosamente, frutto di una legge morale intima che sa guardare ancora al cielo stellato e trovare tra gli astri una via. Per questo motivo, non per altri, Youth è una poesia ghiotta di sostanza, raffigurazione della potenza magna di un grande sguardo, di un artista che nella forma scova il destino genetico della perfezione e lo esprime autonomamente, come il disegno di un demone pago delle proprie visioni.

Quanto è necessaria la possibilità

Umberto Eco alla domanda “Cos’è la filosofia” ammette di non trovare altra risposta di quella che diede Aristotele nella Metafisica: “È una risposta a un atto di meraviglia”. Da quando ho approfondito i miei studi nell’ambito universitario questa risposta così perfetta, ma anche problematica, ha ossessionato come un dèmone la mia mente. Dopo tre anni posso affermare che essendo una fervente amante della filosofia e della poesia la mia risposta differisce di poco: la filosofia è la risposta a un atto di meraviglia che mi risponde lasciandomi però la meraviglia.

"Mommy": una madre, un figlio e la periferia dei sentimenti

Mommy è un miracolo cinematografico. Il regista canadese Xavier Dolan, così giovane e così acuto riesce a gestire magnificamente l'intreccio narrativo e visivo. È intuitivo e versatile, fa convergere la storia con l'immagine. In una dialettica perfetta tra tecnica e racconto, le vicende coinvolgono anche se in effetti accade ben poco. La grande metafora dei rapporti difficili e irrequieti si dipana da sé in questo film che è tante cose tranne un film semplice.

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il Pickwick

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