“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Al posto del teatro

Probabilmente Cronache da North B-East, almeno nella versione veduta da noi ieri sera, ha come obbiettivo non la rappresentazione ma l’evocazione: immagini scorrono (prima sfocate, poi via via rese più chiare alla vista) sulla parete nuda mentre, su un tappeto sonoro, frammenti di narrazioni da desolazione post-urbana raccontano di pezzettini reali: scorci di peccati veniali, piccole vergogne personali, vaghi e vari motivi d’abbandono moderno. Evocazione, abbiamo scritto, e non rappresentazione giacché gli spettatori fissano le immagini innanzi, si lasciano carezzare dalla musica, prestano ascolto a una voce. La domanda che sorge è la seguente: è davvero teatro?

Crimp, non Pinter

“Ogni scrittore appartiene, in definitiva e con ogni evidenza, a una società segreta, a una cospirazione formata da un solo membro: lui stesso”. Dovrebbe bastare questa frase di Pinter perché registi, critici e pubblico smettessero di cercare Pinter in autori che non sono Pinter. Ed invece...

Di luogo in luogo, di memoria in memoria

Tra “i ventricoli rossi” di Napoli, in treno a Firenze dopo essere stato a Genova, a Roma, Bologna. A Comasina, Bovisasca, Novate Milanese per sentir dire di Quarto Oggiaro, piazzale Corvetto, porta Vigentina, Sesto San Giovanni. Ancora a Napoli, quartiere Montesanto, rione Traiano, periferia di Gianturco poi nella Calabria più scura e omertosa, dove il cemento avanza a chilometri fino a toccare, con il proprio grigio, anche il mare. Di nuovo a Napoli, di nuovo a Firenze, coi ricordi anche a Palermo e Torino mentre è a piedi, passo dopo passo, che da Soccavo giunge a Pianura, da Pianura a Quarto, da Quarto a Pozzuoli.

Quale editoria?

Tra qualche giorno, nelle librerie più fornite (quelle, cioè, le cui mensole non sono gravate di tomi dei soli e soliti quattro o cinque grandi editori), un piccolo libricino dal piccolo costo, leggibile anche in formato telematico: http://www.duepuntiedizioni.it/hypercorpus-home/fare-libri-oggi/ ,verrà posto in vendita. Il titolo: Essere editori oggi. Gli autori: Andrea Carbone, Giuseppe Schifani, Roberto Speziale.
Andrea Carbone, Giuseppe Schifani e Roberto Speziale sono i tre soci fondatori di :duepunti editore (Palermo). 

Il pregio e il difetto

Sedie di legno, tavolini di legno, scrivanie di legno; un giradischi dalla puntina funzionante, una macchina da scrivere turchese, un proiettore vecchio modello; lampade da scrittoio, lampade a parete, lampade da pavimento; antiche figurine giocattolo, un recipiente “per cogliere le fragole nel bosco”, un bicchiere di vetro con dentro del latte; tappeti, tappeti, ancora tappeti; una moto giocattolo, un aspirapolvere rumoroso, maschere e costumi d’animali; un basso mobile a scomparti, un mobile ancora più basso a scomparti, una porta di legno sul fondo e poi valigie e valigie tra bandiere, parrucche, stendardi e scarpe, vesti, una macchina da cucire di acciaio annerito, icone sacre, album di fotografie, vecchi giornali, vecchi fogli, vecchi elenchi. Un giorno tutto questo sarà tuo di Davide Iodice dimostra – con la sua ostentazione materiale – qual è il suo pregio e qual è il suo difetto.

Visioni

"Temo di non aver visto mai davvero Napoli, né la realtà in genere. Temo di non aver conosciuto veramente l’Italia né prima né dopo la guerra. Ciò che mi ha consentito di accostare l’una e l’altra, e parlarne in qualche libro, sono state le emozioni, e anche i suoni e le luci, e lo stesso senso di freddo e di nulla, che da queste realtà procedeva. Insomma, io non amavo il reale, esso era per me, sebbene non ne fossi molto consapevole, quasi intollerabile”. “Fra misura e visione” Anna Maria Ortese scelse la visione: “e questo fu Il mare non bagna Napoli".

Il tradimento di Shakespeare

“È il drammaturgo che deve generare la propria illusione: ‘Ma guardate: il mattino, avvolto in un manto rossigno, avanza sulla rugiada di quell’alto colle ad Oriente’. Questo è Shakespeare, dove invece un regista moderno si limiterebbe a ordinare due rossi sul fondo” (John Palmer, The Future of the Theatre).
Una landa pallida, bianca, costituita da un grosso telo tirato e adagiato a una base adagiata, a sua volta, sul palco: su di essa cinque minuscoli promontori, posizionati in forma di corona, a rappresentare altrettante dune di sabbia.
Sabbia, spiaggia. Spiaggia, Cipro. L’Otello di Nanni Garella inizia a Cipro.

Alla luna

Selene, alma Cerere, Artemide e Proserpina, Cibale, Pessinunzia. Poi Ecate, Minerva, Venere Cipria, Venere Pafia, Venere Celeste e Bellona, Ramnusia, Iside e Giunone, Persefone e Trivia, Lucina, Diana. Mille e mille nomi di mille e mille dee ha la Luna perché mille e mille volti mostra in mille e mille notti.

Chi mi crederebbe, a Napoli?

L’incantesimo è finito, finita è La tempesta. Prospero, con al fianco Alonso, guida la nave intatta che fa ritorno verso Napoli. Ariel s’è disperso tra le nuvole, Miranda e Ferdinando si tengono per mano, a prua, sotto il tetto delle stelle. Spariti – come attori alla fine di uno spettacolo – sono Gonzalo e Sebastiano; Adriano, Francesco e Stefano; Trìnculo, i marinai e gli spettri che hanno fatto comparsa breve: Iride, Cerere, Giunone, le ninfe e i mietitori. “Col vostro potere, non lasciatemi in quest’isola brulla, ma piuttosto liberatemi voi con l’aiuto buono delle vostre mani. Il vostro fiato gentile rigonfi le mie vele” ha implorato Prospero, accontentato dal suo pubblico. Cos’è che rimane allora, cos’è che rimane ancora su quest’isola che non è un'isola ma un assito con sipario ma senza quinte e che ha per magnifico fondale la platea di un teatro intero? Cos’è che resta, quando non resta La tempesta?

La vita dov'era la vita

Città distrutte. Sei biografie infedeli, di Davide Orecchio, si presenta in copertina con il capo di un palazzo in fase di declino mentre accanto, con moto leggerissimo, s'alza il bianco di una mongolfiera. Qualcosa crolla e, crollando, è destinato a farsi polvere e macerie e poi assenza e ricordo sbiadito e più sbiadito ancora mentre – nel contempo – dallo stesso luogo in cui avviene questa frana, che sa d'irrimediabile scomparsa fisica, altro si solleva: una nuova vita forse, forse la stessa vita ma con altra forma, volubile ed ariosa.

il Pickwick

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