“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Edoardo Pisani

Rileggendo “1Q84” a dieci anni dalla pubblicazione

Neanche se il cielo dovesse cadere,
neanche se la terra dovesse spaccarsi con un boato.
(Haruki Murakami, Torte al miele)

  


I migliori romanzi di Murakami sono pervasi di incanto e nostalgia per quanto non è stato o per quanto non potrà più essere, per tutto ciò che abbiamo perso o mai avuto e che pure ricordiamo e rimpiangiamo, che pure agogniamo. 1Q84 è uscito dieci anni fa, salutato immediatamente come un capolavoro, in Giappone e altrove, il libro più bello e ambizioso di Murakami Haruki, che è forse il più grande scrittore giapponese dei nostri tempi, di certo il più conosciuto e letto.

Le tenebre di Don McCullin

“... seemed to lead into the heart
 of an immense darkness
...”
(Joseph Conrad)

 
 

Don McCullin nasce a Londra nel 1935, crescendo durante la guerra, fra case diroccate e bombardamenti, nel quartiere popolare di Finsbury Park, dove scatterà le prime fotografie, a vent’anni, dopo aver svolto il servizio militare per la Royal Air Force, ritraendo una banda di Teddy Boy, i Guvnors.

“C’era una volta in America”: un libro

È solo il mio modo di vedere le cose.
(Noodles)

     

 

Once Upon a Time in America, uno dei più bei film di sempre, il capolavoro di Sergio Leone, è stato tratto da un romanzo autobiografico di Harry Grey, un rapinatore americano, ossia The Hoods, pubblicato in italiano proprio con il titolo C’era una volta in America. Da libri mediocri vengono spesso fuori grandi film, e viceversa; è difficile che da un capolavoro letterario sia tratto un film altrettanto bello.

Come un drappo su un monumento

“In un certo senso la camicia che nascondeva e al tempo stesso sottolineava la sua erezione, come un drappo su un monumento, rispettava educatamente l’etichetta stabilita dal vestito di lei”.
Il corsivo è mio; la frase è presa da Chesil Beach, il romanzo del 2007 di Ian McEwan, portato al cinema nel 2017 da Dominic Cooke; l’erezione è di Edward Mayhew, protagonista, con l’adorabile Florence Ponting, del romanzo; la scena si svolge nella camera da letto nuziale della coppia, dove tentano (è la prima volta per entrambi) di fare l’amore.

Aux armes, écrivains!

“J’ai vu Gary devenir fou”.
 Bernard-Henri Lévy, Nemici pubblici

 

Negli anni Novanta due degli scrittori francesi più interessanti e temuti della loro generazione abitavano allo stesso indirizzo: Michel Houellebecq e Marc-Édouard Nabe. Al civico 103 di rue de la Convention, nel quindicesimo arrondissement, ora diventata rue Oscar Roty, Houellebecq ha scritto i saggi e le poesie di Rester vivant, il suo Lovecraft e i primi romanzi, mentre Nabe si divideva fra il diario, Lucette, i testi sul jazz, Je suis mort, gli interventi polemici e via di seguito, a una media di quasi due titoli l’anno. Nabe era considerato l’enfant terrible della letteratura francese contemporanea, la scoperta più estrema di Philippe Sollers, un antisemita, un lepenista, un folle, un tipo da non frequentare e di cui non scrivere, pena l’ostracismo e la censura; Houellebecq invece era ancora uno sconosciuto, autore di pochi testi e poesie apparsi su riviste letterarie di scarsa diffusione, quali Jacques Prévert è un coglione o il suo Elogio del cinema muto, ora tradotti nel mondo intero.

il Pickwick

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