“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 18 January 2014 00:00

Martin Scorsese 03: Taxi Driver

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Datore di lavoro: Insomma, qual è il tuo problema?
Travis: Passo la notte in bianco.
Datore di lavoro: E vatti a vedere i porno film.
Travis: C’ho provato, ma è lo stesso.
Datore di lavoro: E allora che fai la notte?
Travis: Vado in giro fino al mattino in metropolitana. Allora ho pensato, se è così è meglio che mi faccia pagare.
Datore di lavoro: Che quartieri preferisci? South Bronx, Harlem?
Travis: Per me non fa differenza.
Datore di lavoro: Lavori nelle feste ebraiche?
Travis: Per me non fa differenza.
Datore di lavoro: Dai, fammi vedere la patente di guida. Come sono i tuoi precedenti?

Travis: Puliti. Cristallini, come la mia coscienza.New York, anni ‘70. Un uomo solo e con la coscienza cristallina vaga per le strade della Grande Mela alla ricerca di qualcosa. Ma di cosa? Veterano della guerra in Vietnam, Travis Bickle – il protagonista di questo psicodramma scorsesiano – cerca uno scopo, un senso da dare a questa nuova e strana vita “normale”, non più permeata di violenza, senza bombe e senza vietkong. Decide di trovarsi un lavoro. Non riuscendo ad alleviare i suoi problemi di insonnia nemmeno con i film porno, intraprende il lavoro di tassista notturno.
Come ogni metropoli, anche New York di sera si trasforma. Ed ecco che, con un sottofondo di jazz psichedelico, Travis scenderà nei meandri di questa Babele corrotta e sporca, dove niente, proprio niente, ha più senso. Solo un evento, all’apparenza giusto, riuscirà ad appagare la noia e l’indifferenza del protagonista che, da buon veterano, risolverà tutto con l’amata e odiata violenza.
Considerato una pellicola vigilante, il genere di film in cui il protagonista o i protagonisti si impegnano a garantire un comportamento corretto nella società, Taxi Driver più che la consacrazione cinematografica di Scorsese, ne rappresenta il trionfo. Tralasciando la miriade di nominations e premi riscossi in tutto il globo, la pellicola ottiene, sin da subito, un ottimo responso della critica. Seppur indirettamente, Taxi Driver diviene un film-simbolo sui “postumi” del Vietnam, un conflitto barbaro e inutile, unica pecca – ormai indelebile – sul volto di una delle potenze più aperte ed influenti del mondo. Anche la componente psicologica del film, incarnata unicamente nel protagonista, gioca un ruolo fondamentale. Travis, catapultato dal Vietnam a New York, vera e propria jungla urbana, è un uomo solo, abbandonato a se stesso, incapace di dare un senso alla sua vita. Disturbato ed alienato, il protagonista si sente deluso dalla società che non lo ripaga di ciò che ha fatto in guerra. Ed ecco che la delusione, massimizzata dall’odio, diventa ricerca di violenza. Dapprima Travis cerca di uccidere il senatore Palantine, rampollo politico in ascesa alla presidenza degli Stati Uniti. L’operazione fallisce. Successivamente, innamoratosi di una giovanissima prostituta, cerca di liberarla dall’odio/amore del suo sfruttatore. Ci riesce. Muoiono tantissime persone, forse anche lui. Il finale, in pieno stile “scorsesiano”, lascia come sempre l’amaro in bocca. Niente risposte ma solo irritanti interpretazioni.
Divenuta ben presto un cult, smontata, rivisitata e studiata nel corso degli anni, la pellicola, oggi, ci offre molte curiosità, che, come sempre, attirano l’attenzione dello spettatore. La prima curiosità, che risalta anche agli occhi dell’osservatore più disattento, è la questione del colore del sangue. Perché è così chiaro, così visibilmente irreale? In origine la pellicola era molto più “scura”. A seguito di alcune intimidazioni della casa di produzione, che non voleva un film protetto dallo X Rating e quindi vietato ai minori, Scorsese fu costretto a “schiarire” la pellicola usando alcune sofisticate tecniche di montaggio. Il sangue divenne così più chiaro e di conseguenza meno forte all’impatto visivo. Altra curiosità riguarda la figura dell’attrice Jodie Foster. Troppo giovane per interpretare questo film, fu più volte sostituita dalla sorella che, vista di spalle, poteva rappresentare la sua perfetta controfigura. Anche al cinema, durante la fase di lancio, fu impedito alla Foster di andare a vedere il film a causa dell’età. Restando sempre sul cast, la terza e ultima curiosità riguarda Robert De Niro alias Travis Bickle. Ben pochi sanno, infatti, che il protagonista, all’epoca delle riprese, dovette destreggiarsi tra Stati Uniti e Italia, dove, sotto la direzione del maestro italiano Bertolucci, stava girando le riprese di Novecento atto I e II.
Crudo, violento, scarno, viscerale, Taxi Driver è un esperimento cinematografico, un’opera d’arte contemporanea in cui perdersi. Suffragato dall’imponente musica jazz, caratteristica inconfondibile del regista italoamericano, la pellicola, seppur senza mafia e protagonisti di origine italiana, rappresenta in pieno stile Scorsese la decadenza di uno Stato che perde le sue certezze, i suoi ideali, che sguazza in una maschera dorata ma che in realtà brulica di avidità e corruzione.




 

 

Retrovisioni
Taxi Driver
regia Martin Scorsese
con Robert De Niro, Jodie Foster, Hearvey Kietel, Cybill Shephered, Peter Boyle
soggetto e sceneggiatura Paul Schrader
fotografia Michael Chapman
scenografia Charles Rosen
paese Stati Uniti
lingua originale inglese
anno
1976
durata 113 min.

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