“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 09 January 2014 00:00

L'Altro Cinema, parte III – Nekromantik

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Riprendiamo la nostra rubrica dedicata all’Altro Cinema raccontandovi di una pellicola, anzi una doppia pellicola, che è il fiore all’occhiello del cinema underground estremo. Trattasi di Nekromantik, film del 1987 di Jörg Buttgereit seguito poi da Nekromantik 2 nel 1991.

È bene precisare una cosa prima di iniziare, anche perché abbiamo inaugurato questa rubrica con una scellerata introspezione psicologica nella prima puntata e quindi, dicevamo, è meglio ritornare nei propri modesti ranghi e gettare in faccia al lettore questa porcheria senza ammantarla di freudiane aureole. Anzi, colgo l’occasione per informarvi che al momento chi vi scrive ha la perfetta percezione di quella che dovrebbe essere l’assimilazione di un’opera del genere. Per chi non lo avesse capito, insomma, chi vi scrive è ubriaco fradicio (lo scotch si regge bene, ma dopo due bottiglie di fila gli effetti si fanno consistenti) ed è questa la metempsicosi perfetta per espletare una tale filmica (non c’è reincarnazione più perfetta di quella che ti dona l’alcool, reincarnarsi in un altro sé senza dover prima morire). Dunque, bando alle ciance: Nekromantik è opera unica, insostenibile e decisamente urfida. Il primo capitolo racconta di una coppia normalissima come può essere quella del lettore/lettrice di questo articolo e del suo/sua partner. Lui lavora in ambito sanitario, precisamente sulle ambulanze, mentre lei sembra la mogliettina dolce e affettuosa che commuove e infiamma le pudenda con il solo sguardo (in realtà sto enfatizzando decisamente, questione di alcool). Piccolo particolare: la coppia è dedita a rapporti necrofili, lui sfrutta la sua professione per recuperare corpi morti e, dopo un terribile incidente stradale, porta a casa uno scheletro da usare per giochi erotici. Qualcosa però non va, la coppia, come si suol dire, scoppia, lui perde il lavoro e lei lo lascia. Lui è spaesato, inizia a fantasticare su macabre scene di sesso blasfemo (nel senso che profanano la sacralità della morte, necrofilia insomma), poi si masturba immergendosi nella vasca riempita del sangue del gatto che ha appena scannato e antichi ricordi di un suo lontano parente che sgozza e scuoia un coniglio gli fanno da sfondo. L’uomo non si accontenta, il desiderio di sesso putrefatto è troppo forte e viscerale, decide così di uccidere una puttana e scoparne il cadavere, ma è solo l’inizio della fine. Quell’uomo è ormai un uomo solo, un uomo che non sa più accontentarsi della morte altrui, soprattutto se non può condividerla con la donna amata. Si rende conto che l’unico modo di riconquistarla è diventare cadavere. In un estremo gesto finale decide quindi di provare l’ultimo mortale orgasmo, trafiggersi il ventre con un grosso coltello, nel mentre il cazzo, enorme, eretto, schizza via sperma e sangue. È la morte, è la masturbazione perfetta per un necrofilo, o almeno per questo necrofilo in particolare; del resto, a livello puramente concettuale, c’è forse un orgasmo più potente per un necrofilo di masturbarsi mentre si sta accarezzando il sapore della propria morte? Il primo capitolo di Nekromantik si conclude così, con il nostro protagonista che si trafigge e schizza via il desiderio sessuale, nel mentre ancora quel ricordo del coniglio sgozzato fa da sottofondo, forse il vero archè del suo adolescenziale trauma malsano. Un’ultimissima sequenza chiude il film, una donna che, armata di pala e tacchi a spillo, scava la tomba che sappiamo essere del nostro protagonista appena defunto.
Cosa dire invece di Nekromantik 2? Se possibile il secondo capitolo di Jörg Buttgereit è ancora più aberrante. Il film inizia dove era finito il precedente. Assistiamo infatti nuovamente al suicidio masturbatorio del protagonista, poi vediamo subito dopo la sua tomba profanata dalla donna coi tacchi a spillo che ci aveva regalato l’ultimo fotogramma della pellicola. Ci accorgiamo che è una perfetta sconosciuta (il precedente capitolo ci aveva indotti, per un normale processo logico, a pensare che la donna profanatrice fosse la sua ex compagna, ma invece non è così). La donna porta il corpo già in avanzato stato di decomposizione (è praticamente nero e gli odori trasudano dallo schermo) a casa. Lo ammira, lo accarezza, ne è dolcemente innamorata, lo conosce perché in quanto giornalista ne ha seguito la vicenda sui giornali, sembra idolatrarlo, qualcosa che ha a che fare con l’intimissimo culto dei morti. Intanto si frequenta con un uomo, uno di quelli che fanno un lavoro maldestro e modesto pur di sopravvivere (doppiatore di film a luci rosse). I due si piacciono e sembrano una coppia come tante, ma lei pensa sempre al suo segreto feticcio putrefatto. Ad un certo punto, la donna si trova davanti ad un bivio, scegliere tra due amori, quello verso un corpo in decomposizione e quello verso il mediocre doppiatore di film hard, ugualmente morto, ma ancora andante. Opta per il secondo, e fa a pezzi il corpo del primo. Maschio e femmina si ritrovano nel finale in una scena di sesso grossomodo esplicito, l’uomo è sdraiato, la donna lo cavalca possentemente. I due si amano, ma lei pensa al suo corpo putrefatto fatto a pezzi. Il suo amore è altrove. L’amplesso è memorabile, senza risparmio i due danno tutto, ma lei ha pronto uno scherzetto a sorpresa. Sfodera d’improvviso un enorme coltello e, cavalcando cavalcando, decapita il suo amato. Ne stacca via la testa e la sostituisce con quella sempre più annerita del cadavere che aveva fatto a pezzi pochi minuti prima. Negli ultimi spasmi di vita, il corpo vivo del suo amato eiacula e con una carezza le sfiora il viso. In questa scena troviamo la summa poetica di tutta l’opera: l’amore incondizionato di un uomo ridotto al nulla che trova l’estremo ed eterno gesto del romanticismo esasperato, un uomo decapitato che accarezza il suo carnefice. Una scena di una bellezza terribile (e per un attimo ci sembra ti tornar sobri) e romanticamente agghiacciante. L’amore incondizionato. Eros e Thanatos in un connubio commovente e indimenticabile. L’uomo continua ad eiaculare e, nel mentre, muore. Un’ultima sequenza ci rivela la sorpresa finale, una sorpresa che ha le sembianze beffarde come la vita e la morte. La donna, visitata da un medico, riceve la notizia di essere incinta. La morte che dona la vita, la vita come parte della morte (ribaltando i ruoli canonici che vogliono la morte parte della vita). Nekromantik è un’opera che non deve essere commentata oltre misura. Già la sua trasposizione è smisurata. L’opera necessita solo di essere percepita. Certe sensazioni possono certamente essere spiegate (almeno a posteriori), ma non aggiungono nulla alle sensazioni provate durante la visione. Non siamo esagerati se affermiamo che entrambi i due capitoli di Nekromantik sono veramente insostenibili. La visone è pesante, le scene di sesso (di un erotismo raffinato e mai volgare tipo film porno) suscitano un malessere profondo che interroga lo spettatore sul suo nascosto lato oscuro, sulla sua junghiana ombra perennemente presente e mai del tutto esplorata. La grottesca sorpresa finale del secondo capitolo sembra quasi rivelarci che nemmeno la morte può fermare la vita, che il desiderio travolge tutto e non può avere tabù, che l’amore davvero non ha confini, è indecifrabile ed indefinito e non ha schemi prestabiliti. Sesso, amore, morte, vita e tanta angoscia e solitudine in un'opera che fa della sua malattia patologica la sua stessa bellezza. Nekromantik non si può dimenticare, probabilmente una volta visto non si riuscirà a rivederlo, ma nella memoria rimarrà indelebile con le sue scene e la sua colonna sonora semplicemente stupenda e, probabilmente, ogni qual volta si penserà ad un corpo morto, inerme e putrefatto, si potrà fantasticare che quel corpo, puzzolente ed in frantumi, abbia ancora ragioni di essere amato e desiderato come fosse l’ultimo senso profondo della vita. E se quel corpo morto, nero e puzzolente, potesse pensare e parlare, direbbe forse: “amami ancora, scopami ora”.

 

 

Retrovisioni. L’Altro Cinema

Nekromantik
regia
Jörg Buttgereit
con Daktari Lorenz, Beatrice Monowski, Herald Lundt, Susan Kohlstedt
sceneggiatura Jörg Buttgereit
prodotto amatoriale
paese
Germania Ovest
lingua tedesco
colore a colori
anno 1987
durata 75 min.

Nekromantik 2
regia
Jörg Buttgereit
con Monika M., Mark Reeder, Beatrice Monowski
sceneggiatura Jörg Buttgereit
prodotto da JB Film
paese Germania
lingua tedesco
colore a colori
anno 1991
durata 104 min.

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