“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 06 December 2013 01:00

La Grande Madre Russia di Gogol'

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L’eccellenza della letteratura russa approda allo Stabile partenopeo. Vittorio Franceschi, nella doppia veste di autore e protagonista, porta in scena Il cappotto, ispirato all’omonimo racconto di Gogol', per la regia di Alessandro D’Alatri. La vicenda è improntata sulla parabola ascendente della vita grigia del copista Akakij Akakievič, che sogna un po’ di colore almeno nei capoversi che minuziosamente riscrive.

Siamo nella Russia dell’800 che con il peso della sua burocrazia schiaccia le fasce più deboli della società, oggi la definiremmo come la società degli emarginati, degli invisibili, di coloro che in passato non godevano neanche del privilegio di un’etichetta. Ma poco o niente è cambiato da quando Gogol' pubblicò il racconto nel 1842 nella raccolta dei Racconti di Pietroburgo. In fondo come si legge nelle note di regia, “siamo tutti Akakij Akakievič”.
Il solo peccato, se così si può definire, di cui quest’uomo si macchia è il tentativo di emergere dal fondo, simbolicamente rappresentato dall’acquisto di un cappotto nuovo. Così si reca dal sarto del paese, il burbero Griscia Petrovič che lo convince a farsi confezionare un capo spalla nuovo di zecca, il mite funzionario tentenna, troppi soldi, troppo lusso ma alla fine cede all’inedita sensazione di avere qualcosa di tutto suo, qualcosa di mai usato in precedenza.
E se cappotto nuovo deve essere, che sia allora il miglior cappotto di tutta San Pietroburgo, rivestito con le migliori stoffe in circolazione, quelle mostrate dall’imbonitore di fortuna che si produce in un tentativo di sketch comico.
Dopo la trepidante attesa, il famoso cappotto è pronto bello, fatto e indossato dal mediocre funzionario che lo sfoggia alla prima occasione possibile: la gran festa data dal suo capo di lavoro, con fiumi di bollicine, balli e canti.
Dapprima titubante come suo solito, Akakievič si convince poi a prendere parte alla serata, dopo tutto ora si sente davvero un gentiluomo.
Ma guai ad osare troppo, guai a volere superare il padrone, la Grande Madre Russia che tutto vede e tutto sa, nel buio della notte allunga le sue mani sul cappotto nuovo dell’uomo, per ricordargli che nella società ci sono delle gerarchie ben precise e vanno rispettate. Il dolore del dispiacere è troppo per il debole cuore del povero copista che si arresta alla presenza della sola persona che gli ha voluto forse un briciolo di bene: la prosperosa padrona di casa, la signora Agrafena Ivanova.
Il testo di Gogol' è un testo amaro, dal finale inatteso e ingiusto, verrebbe da pensare, ma è al contempo uno scritto che consegna al mondo della letteratura un grande antieroe di tutti i tempi, il prototipo dell’uomo medio, mite e buono, caratteristiche che stigmatizzano il crudo realismo di una società in cui la giustizia è un valore del tutto arbitrario.
Alla luce di ciò, è lodevole la scelta di Franceschi di evitare di trasferire le vicende al giorno d'oggi, in quanto sono già sufficientemente attuali. Ma il suo intento viene meno, quando per sopperire alla mancanza di sufficienti dialoghi nel testo originale, decide di introdurre un linguaggio a tratti più farsesco, rubato quasi al cabaret per alleggerire gli spettatori, almeno a teatro, dalla già pesante routine quotidiana.
Sebbene l’insieme sia davvero esempio di grande professionalità (un plauso speciale va anche alla scenografia), l’accordo linguistico risulta a tratti un po’ stonato, non si accorda a quello che è un finale venato da toni tutt’altro che leggeri.
Avere rispetto di un testo classico, talvolta può volere dire correre il rischio di riproporlo al pubblico nella sua interezza di forma e contenuti.

 

 

 

 

 

Il cappotto
di
Vittorio Franceschi
liberamente ispirato all’omonimo racconto di
 Nikolaj Vasil'evič Gogol’
regia Alessandro D’Alatri
con Vittorio Franceschi, Umberto Bortolani, Marina Pitta, Andrea Lupo, Federica Fabiani, Matteo Alì, Giuliano Brunazzi, Alessio Genchi, Valentina Grasso
scene Matteo Soltanto
produzione Arena del Sole – Nuova Scena – Teatro Stabile di Bologna
lingua italiano
durata 1h 30'
Napoli, Teatro Mercadante, 3 dicembre 2013
in scena dal 3 all'8 Dicembre 2013

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