“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 20 November 2013 01:00

Girando intorno al "Sacro GRA"

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L’idea era fantastica.    
Quando ci si imbatte in film che sono stati molto applauditi o addirittura premiati, la prima cosa che solitamente facciamo, abbiate il coraggio di ammetterlo, è applicarci fin dall’inizio su tutto, credendo che anche il più piccolo dettaglio possa diventare un grande contenitore di senso. E spesso siamo in grado di trarre significati che neanche ci sono. Dobbiamo farci simpatia per questo, almeno tra di noi.

Quando invece il film ci appare deludente, cominciamo a mettere in discussione non solo i gusti e la sensibilità dell’amico che ne aveva parlato bene, ma addirittura le capacità delle giurie presenti alle internazionali mostre cinematografiche, a cui aggiudichiamo, senza pensarci troppo su, il premio per l’Incompetenza. Il problema si presenta quando cominciano ad aumentare, questi benedetti film premiati che proprio non ci convincono. La scorsa settimana ero al cinema. "Finalmente il Sacro GRA. Che titolo cazzuto, ottima scelta, gran bel gioco di parole, non vedo l’ora di vederlo. Isabella ne ha parlato molto bene, tra l’altro ha vinto il Leone d’oro alla mostra di Venezia. Primo documentario ad aggiudicarsi il massimo riconoscimento nei settant’anni di storia del Festival veneziano. Che peccato che Ennio e Chiara non siano venuti con noi". Inizia il film. Parte del pubblico ha ritenuto sufficienti i primi quindici minuti per scegliere di andarsene. Qualcuno ha abbandonato la causa solo a fine primo tempo, ma i migliori sono stati quelli che hanno resistito per tutto il film per poi uscire dalla sala quando mancavano poco meno di dieci minuti alla fine. Persone folli che guardano un film intero senza il finale, vi stimo.
Personalmente, dopo aver messo in discussione la professionalità dei giurati (come da copione), sono stata colta da un dubbio atroce, preambolo di una possibile crisi esistenziale: "Ma non è che sono io a non capire niente di cinema? Non è che il mio presunto occhio critico in realtà è pigro e poco intelligente?".No ragazzi, ci ho riflettuto a lungo. Intanto ho capito che conviene sempre darsi fiducia e puntare sulle proprie abilità, quindi tra la verità dei giurati e la mia, scelgo la mia. E poi, volendo essere seri, ho afferrato i presupposti su cui poggia il premio dato al film. Sacro GRA documenta scene di vita reale a piedi del Grande Raccordo Anulare che circonda la capitale – "e nelle soste faremo l’amore" – ed è vagamente ispirato, secondo il regista, a Le città invisibili di Italo Calvino. Dopo La grande bellezza monumentale della città di Roma, targata Paolo Sorrentino, Gianfranco Rosi presenta, quasi in antitesi, tutta la realtà marginale che gravita ai bordi del raccordo, che circonda Roma come un anello di Saturno, delineando una sorta di barriera tra dentro e fuori. Il confine del raccordo divide il caotico spazio interno, inondato da una metropoli dinamica e sempre accesa, dal temperato spazio esterno, dove sopravvivono realtà marginali inattese e fantastiche nella loro banalità: un botanico che cerca di difendere le palme dall’attacco di coleotteri parassiti; un nobile decaduto che si annoia nel suo vuoto quanto eccentrico palazzo, che tenta di fittare per convegni, sfilate o come B&B; un pescatore di anguille, uno dei pochi ancora rimasti sul Tevere; il barelliere di un’ambulanza che soccorre le vittime degli incidenti stradali; brevi episodi tra i quali un gruppo di prostitute che stazionano in un camper ed una giovane coppia di cubiste che intrattiene i clienti di un locale. Finalmente una pellicola pronta a testimoniare parte del degrado sociale di Roma – siamo stanchi di ritrovarci sempre e solo di fronte a quello di Napoli – e che mostra quanto la pacata e periferica civiltà contadina sia destinata a soccombere di fronte alla centrale baraonda della modernità. Operazione portata a termine esercitando la scelta di un cinema reale, abbattendo sempre più il confine con quello della finzione. Lo sguardo del suo autore è decisamente interessante, privo di luoghi comuni, ed è stato accolto con entusiasmo forse per il senso di un documentario così diverso nel suo genere, che sorprende e spinge il pubblico ad interrogarsi. Un Leone d’oro importante, quasi simbolico, per il quale trovare mille buone motivazioni e magari anche compiacersene – Gianfranco Rosi ci ha messo ben due anni per raccogliere le riprese e altri otto mesi per il montaggio, almeno la sua fatica è stata premiata, ed è bello vederlo così felice come mostrano la foto – ma è innegabile che il film sia purtroppo tremendamente noioso, da assopimento assicurato. Intuizione interessante, per titolo e soggetto, che meritava però di esplodere diversamente, trovando un modo migliore per portare alla luce il lato più negativo di un’esistenza umana che riesce ancora a resistere lottando contro l’isolamento, l’emarginazione, la povertà e la morte. A parte un paio di scene che lasciano spazio all’emotività, il film si delinea purtroppo un po’ sterile, come privo di qualcosa. Potremmo permetterci di descriverla come un’idea sprecata, giusto nel rispetto di quell’’amore che nutriamo per il cinema e che riserviamo alle opere d’arte, anche se in realtà Gianfranco Rosi è riuscito a portarsi a casa il Leone d’oro, quindi l’idea non è poi stata tanto sprecata. Il classico film che piace alla critica e non al pubblico, una critica che si è ad ogni modo divisa tra coloro che hanno accolto la pellicola con eccitazione e coloro che hanno mostrato seri dubbi sull’operato in sé. Chi non ha ancora visto Sacro GRA ma si dice intenzionato a farlo, non dica poi di non essere stato avvisato.            
Inutile consigliarvi di non scegliere l’ultimo spettacolo – credo ormai che i cinema lo abbiano tolto – ma posso suggerirvi di non guardarlo dopo le dieci di sera e sicuramente di non stendervi sul letto, a meno che non abbiate già messo il pigiama. Non credo che il documentario deluderà le vostre aspettative, perché vi ho fornito di tutti gli strumenti necessari per abbassare le pretese e restarne piacevolmente colpiti, un po’ come quando mi dissero che la Gioconda è piccolissima, dandomi la possibilità di trovarla di una dimensione assolutamente adeguata. Come è bello parlare col senno di poi. Avreste dovuto vedere l’entusiasmo con cui cercavo di convincere i miei amici a venire al cinema. Che fortuna che Ennio e Chiara non siano venuti con noi. Mi avrebbero picchiato.

 

 

 

Sacro GRA       
regia Gianfranco Rosi   
soggetto Niccolò Bassetti
sceneggiatura Gianfranco Rosi
fotografia Gianfranco Rosi
montaggio Jacopo Quadri          
produzione Marco Visalberghi, Lizi Gelber, Dario Zonta
distribuzione Officine UBU            
paese Italia
colore a colori  
durata 90 min.        
anno 2013        

 

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