“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 09 November 2013 01:00

In Time o di Capitalismo vs Comunismo

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In un futuro non precisato, il mondo è stato suddiviso in zone, settori videosorvegliati. Le varie zone sono raggruppate in base al livello di povertà dei cittadini che ne fanno parte, ma essenzialmente la divisione vede da una parte i ghetti e dall’altra i quartieri alti. Questi ultimi sono ben protetti, ma l’accesso non è vietato, basta pagarne il pedaggio. Il problema è che la somma da dare per superare le varie fasi che portano da uno dei ghetti ai quartieri alti è insostenibile per qualsiasi cittadino povero. Nel ghetto, infatti, tutti percepiscono un salario che gli permette di tirare avanti solo per poche ore o al massimo fino al giorno dopo. Il divario dunque tra le due zone è insostenibile, e quando una donna in condizioni di miseria estrema muore tra le braccia di suo figlio, quest’ultimo si ribella e, grazie ad un colpo di fortuna, riesce a far visita ai piani alti della società e crea il caos.

Abbiamo trascurato un dettaglio fondamentale del film, particolare che rende la pellicola estremamente interessante e originale, e offre un metafora incredibilmente azzeccata. Come tutti sanno il tempo è denaro, ma mai come in questo film l’equivalenza è calzante. In questo mondo appena descritto la moneta è stata sostituita dal tempo. Praticamente, ogni lavoratore percepisce il suo guadagno in minuti o ore (o mesi e anni nel caso dei ricchi dei quartieri alti). L’acquisto dei prodotti, come può essere un caffè o un biglietto del pullman, è effettuato tramite la medesima merce, il tempo. In pratica, tutti gli individui hanno un timer sottocutaneo che viene caricato o scaricato ad ogni operazione che l’individuo compie. Se deve ricevere lo stipendio della giornata gli verrà caricato un tot di ore, se deve comprare il giornale gli sarà, viceversa, scaricato un determinato numero di minuti. La fase biologica non è chiarissima. Abbiamo visto durante il film il nostro protagonista bere e mangiare almeno una volta. Non è specificato però se alimentarsi sia un bisogno imprescindibile oppure solo un piacevole retaggio di quando l’uomo viveva per procacciarsi cibo e non secondi. Sappiamo che ogni essere umano vive senza timer per venticinque anni. In questo lasso di tempo cresce e raggiunge l’aspetto che poi lo accompagnerà per tutto il resto della sua vita. A venticinque anni infatti il timer si aziona e l’individuo rimane eternamente com’è in quel momento (probabilmente dunque, non essendo più i corpi soggetti a mutamento e corruzione, alimentarsi è solo un piacere). Nel ghetto lo stato regala a tutti i neonati un anno di bonus, ciò significa che non appena si sia compiuto il venticinquesimo anno di età, il timer inizia il conto alla rovescia a partire da un anno. In poche parole, a tutti in teoria è concesso di essere immortali, certo una pallottola in testa può ucciderti, sia prima che dopo l’azionamento del timer, ma al di là di questo, se si riesce a racimolare sempre tempo si può vivere in eterno. La morte (naturale, cioè non violenta) infatti avviene solo quando il countdown è arrivato a zero. È il caso della mamma del nostro protagonista che, rimasta senza più tempo, si spegne davanti ai suoi occhi. L’uomo in precedenza aveva incontrato ed aiutato un ricco in visita di piacere nel ghetto. Questi gli aveva raccontato le contraddizioni del sistema: “per far sì che ci siano pochi immortali, molti devono morire”. Il ricco annoiato (viveva da più di cento anni, anche se ovviamente ne dimostrava solo 25) gli aveva svelato tutte le bassezze del mondo. Il continuo aumento di tasse e prodotti che schiacciano i ghettizzati affinché non riescano mai ad alzare la testa e ribellarsi, la plusvalenza creata dal capitale per arricchire i datori di lavoro, l’impressionante tasso di interessi sempre in rialzo delle banche che continuano a incrementare il guadagno (cioè il tempo) dei ricchi dei quartieri alti che le finanziano. Insomma, l’uomo del basso ceto è tenuto in una morsa strettissima, incapace di qualsiasi movimento libero. Nel ghetto però, come è ovvio, ci sono anche i criminali, persone che vanno a caccia di tempo rubandolo dal timer di chi ne ha un po’ di più (in realtà, più avanti scopriremo che questo gruppo di criminali agisce proprio per non permettere ai poveri del ghetto di acquisire un’agiatezza tale da non essere completamente sottomessi al sistema). Il giovane protagonista salva l’uomo ricco dalle grinfie dei malfattori e questi gli regala tutto il suo tempo (circa centosei anni) lasciandosi morire. Adesso il povero è diventato ricco. Ma ha un piano di vendetta. Accede così, dopo aver pagato le impressionanti tasse di pedaggio (più di un anno di vita) alle zone alte della borghesia e, durante una partita a poker con un grosso imprenditore, vince circa mille anni. Questi gli illustra i pregi e i vantaggi del capitalismo darwiniano, ma il nostro eroe controbatte con i suoi ideali di uguaglianza. Conosce la figlia del ricco uomo la quale si invaghisce di lui. I due scappano insieme. Il nostro uomo non ha intenzione di accumulare un gran capitale per guadagnarsi l’immortalità, bensì creare una crepa nel sistema. Intanto viene braccato dalla polizia (i guardiani del tempo). Il detective che segue le indagini si accorge che quest’uomo, improvvisamente entrato alla ribalta del bel mondo, è in realtà un povero del ghetto e quindi deve immediatamente tornare ad essere tale (non credono al suicidio di quell’uomo che gli ha donato tutto il suo tempo, ma pensano ad una rapina). Il nostro eroe, accompagnato dalla figlia del ricco imprenditore, scappa. Insieme diventano una sorta di Bonnie e Clyde del futuro. Rapinano banche e danno il bottino (diverse centinaia di anni) ai poveri del ghetto. Ma tutto questo non basta. Dividere cento anni per migliaia e migliaia di persone significa semplicemente risollevarli per un paio di mesi, poi la vita tornerà affannosa come prima. Bisogna allora puntare in grande e, sempre insieme, riescono ad aprire la cassaforte del padre di lei, contenente un milione di anni. La carica viene effettuata e tutto il ghetto risorge. Il sistema è paralizzato, nessuno più va a lavorare, non ne ha bisogno per almeno una cinquantina di anni. Il ricco imprenditore avverte: “potranno paralizzare il sistema per una generazione o due, ma alla fine tutto ritornerà come prima”.
Abbiamo lasciato che il film si raccontasse senza intromissioni, del resto l’allegoria è così potente e concreta che non ha bisogno di aggiunte e commenti. Certo, non possiamo non essere d’accordo con il parere del ricco imprenditore. L’atto di ribellione di sua figlia e del suo compare è solo un piccolo capriccio, ma non cambierà il mondo. Paralizzare il sistema significa bloccarlo, ma solo momentaneamente, non sovvertirlo del tutto. L’azione di rivolta dunque intrapresa dai due appare un timido tentativo di vendetta, e non una rivoluzione del popolo. Il popolo, senza acquisire coscienza della sua condizione, non può sovvertire alcun sistema. La rivoluzione deve avere radici profonde che si allacciano all’orizzonte da seguire, e non un gesto di vendetta cieca. Un popolo che si scopre improvvisamente ricco, rischia di adagiarsi su se stesso e ritrovarsi nel giro di mezzo secolo nella stessa condizione, se non peggiore, di prima. Che cosa devono fare allora i neo Bonnie e Clyde? Certo, nemmeno pretendiamo da loro che scuotano le folle con l’arte oratoria. Chi ha i secondi contati, del resto, ha tutto il diritto di rispondere con la clava, per usare un’immagine un po’ primitiva alla quale il basso ceto viene spesso associato. Forse sì, continuare l’azione criminale a discapito del ricco può comunque essere d’aiuto. Il collasso, l’anarchia, possono comunque destabilizzare a tal punto la situazione che alla fine il sistema è costretto a cambiare comunque. E poi, la presa di coscienza del popolo magari può venire in un secondo momento, quando ormai il nuovo proletariato ha finalmente il tempo di sedersi e pensare se stesso e il mondo. Sembra questa la prospettiva intrapresa dall’opera. Il film infatti si chiude con i due rapinatori intenti ad attaccare una banca dalle dimensioni mostruose che manterrà il collasso per un bel po’ di tempo, aspettando magari che il sistema cambi da solo. E già, perché anche questo bisogna considerare. Quando il ricco non è più tanto ricco, allora anche lui dovrà adoperarsi affinché lo stato attuale delle cose muti. In un modo o nell’altro, insomma, la lotta alla disuguaglianza economico-sociale è il cuore dell’opera. Un film a modo suo intelligente ed originale, sicuramente intrigante. Per quel paio di ore di visione ci sentiamo tutti un po’ comunisti, per carità non stiamo parlando di Eisenstein, ma forse il bello è proprio questo. È accattivante il fatto che un prodotto del genere venga fuori proprio dagli States, una nazione che, se da una parte rappresenta l’emblema del capitalismo, dall’altra è sempre in grado di evidenziare le sue contraddizioni interne e gli attacchi vengono da tutte le direzioni (soprattutto dall’arte) e in tutte le epoche. Anche se, come probabilmente lascia intendere il film (che è pur sempre un film americano), il comunismo non è la soluzione, sta di fatto che il sistema capitalistico è inaccettabile, e se il comunismo è il suo avversario più forte, allora è ad esso e ai suoi ideali che bisogna ispirarsi. Del resto, se “per avere pochi immortali, bisogna che molti muoiano”, è certo che quei molti, una volta compresa la loro imminente fine, possono far saltare il banco da un momento all’altro.

 

Retrovisioni
In Time
regia
Andrew Niccol
con Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy, Vincent Kartheiser, Johnny Galecki
produzione New Regency Pictures
sceneggiatura Andrew Niccol
paese Usa
lingua inglese
colore a colori
anno 2011
durata 115 min.

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