“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 28 September 2013 02:00

Figli di un dio maggiore

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È arrivato in Italia il 26 settembre Bling Ring, il nuovo film di Sofia Coppola, sorella di Roman Coppola, entrambi figli di Francis Ford Coppola, di cui è nipote anche il famoso Nicolas Cage. Per non parlare del nonno di Sofia Coppola, tale Carmine Coppola, compositore, direttore d’orchestra, primo flauto nell’orchestra di Arturo Toscanini, nonché padre di Talia Shire, il cui nome di primo acchito non dice nulla, ma di secondo vi accorgete che si tratta di Adriana, la moglie di Rocky Balboa, nonché di Connie Corleone nella saga Il Padrino.

Credo sia abbastanza evidente che in questa “sede” poco ci importa del film di Sofia Coppola, di cui solo ora ho appreso il titolo grazie a wikipedia (e che ammetto però di voler vedere). Mi interessa piuttosto affrontare ben più alta questione esistenziale, regalandovi quel che mi salta alla mente quando mi imbatto in questi famosi consanguinei: “Dio, perché mi fai questo? A quali opinabili criteri ti sei attenuto per distribuire ceppi, stirpi e discendenze nel mondo? N’addà fa a chi figlio e a chi figliastro. Non è che magari abbia anch’io una mezza parentela con questa famiglia? Ma anche molto alla lontana eh, mi accontento. Del resto a Pozzuoli, dove vivo, ci sono tanti Coppola!”.
Sono ormai un paio d’anni che mostro uno strano interesse per questa straordinaria famiglia, che cela mie bilanciate dosi di invidia, ammirazione, ma anche una sana valutazione critica ed oggettiva rispetto a ciò che è certamente indubbio: per essere degli artisti non basta provenire da una famiglia artistica… ma senz’altro aiuta. E allora mi sono cucita addosso quella che è finita per assomigliare ad una sorta di missione assegnatami dall’universo, divisa in vari obiettivi di gioco (come si trattasse di un videogame interattivo):
– Dimostrare che livelli di bravura tendenzialmente sufficienti (talvolta addirittura scarsi) possono trasformarsi in immaginari ed apparenti meriti accostabili, in un salto concettuale per eccesso, al talento.
– Dimostrare che una sana razione di “botte al culo” aiuta ad avere opportunità non concesse a tutti, che finiscono però per sfociare nel più totale fallimento se non sostenute da sufficienti capacità.
– Dimostrare che numerosi individui, tra cui la sottoscritta, sarebbero i padroni del mondo se provenissero da famiglie inserite nel mondo artistico (mi riservo l’opportunità di raggiungere tale obiettivo in forma del tutto privata, per non rischiare di risultare presuntuosa).
– Bestemmiare ogni tanto, tra un livello e l’altro, dal momento purtroppo che non è così (mi riservo l’opportunità di raggiungere tale obiettivo in forma del tutto privata per non rischiare di risultare volgare).
Bene. Atteniamoci al contesto che più ci conviene, ovvero quello italiano, ed iniziamo ipotizzando che Silvio M. sia il mio dirimpettaio e che il fratello, Gabriele, nella vita faccia il meccanico. Sarebbe riuscito il nostro Silvio ad emergere dalla sua zeppola? A parte la salumiera in fondo al viale ed il macellaio gay di fiducia, chi avrebbe potuto mai considerarlo un sex symbol? E supponendo (volendo essere ottimisti, non per noi ma per lui) che senza alcun aiuto sarebbe riuscito comunque a fare un film, quanti provini avrebbe fatto, sostenendo file lunghissime di aspiranti attori? Quale regista sarebbe rimasto affascinato dalle sue incredibili doti artistiche? Bene. La differenza tra te e Silvio sta tutta in tuo fratello. Leggermente diversa sarebbe stata invece la storia di Violante P., avvantaggiata dal fatto di essere donna, e di essere tra l’altro una bella ragazza (per alcuni niente di che, per altri bellissima, mettiamo d’accordo tutti dicendo che di certo non è brutta). Non credo avrebbe dovuto mettersi in chissà quante file di candidati perché, ammettendo che le fosse andato tutto male, avrebbe probabilmente ceduto alle lusinghe di qualche regista rimasto affascinato dalle sue incredibili doti (non) artistiche. Il padre Michele dunque, non solo le è servito ad entrare nel mondo dello spettacolo ma anche ad evitarle di finire in qualche letto pur di entrarci. La differenza tra te e Violante sta in tuo padre e nel fatto che tu non sei ‘bona’. Povere invece le figlie di Adriano C., non talentuose e per giunta bruttine. Una vita trascorsa a provarle tutte, bussando di prima mattina alla stanza dei genitori “Buongiorno papà, ci riproviamo anche oggi? Dacci una botta in culo per andare a fare almeno l’opinionista”. Ed Adriano, con una santa pazienza, con un occhio ancora chiuso perché, data l’insistenza delle figlie, neanche il caffè aveva potuto bere, alzava la cornetta e le piazzava in qualche trasmissione, tristemente consapevole che anche l’indomani avrebbe dovuto far lo stesso, perché non c’era verso. La differenza tra te, Rosita e Rosalinda sta nel fatto che tuo padre non è lo storico cantante soprannominato ‘Il Molleggiato’ (a meno che tu non sia il figlio di Mimmo Dany) e nel fatto che tu magari sai fare qualcosa.
Perdonate la mia lunga ma necessaria digressione sulle vite di questi personaggi, che ha intelligentemente escluso dal discorso (confidando nella vostra di intelligenza) tutti coloro che pur essendo figli d’arte hanno saputo dimostrare reali qualità artistiche o comunque decenti meriti che non intendo mettere in discussione (sarebbe assurdo fare di tutta l’erba un fascio e verrebbe meno la mia credibilità, nonché onestà intellettuale, finendo tutto questo per risultare solo lo sfogo di un’invidiosa ragazzina di provincia). Preferisco non menzionare chi a mio avviso possiede del talento: sono certa di trovare maggior disaccordo parlando bene di qualcuno anziché parlandone male. Ma ho ritenuto inevitabile il mio excursus perché volente o nolente, al di là delle virtù che risiedono o meno nei figli d’arte, e sistemando in un angolo la fortuna che ne consegue per chi tra loro decida di intraprendere la stessa strada dei genitori, resta pur sempre una verità consolidata quella di esser cresciuti tra personalità di un certo calibro o, ad ogni modo, avvezze ad un certo stile di vita. Immagino la prole di pittori, compositori, musicisti, attori, ballerine, educata fin da subito alla pittura, alla musica, al teatro, al cinema, alla danza. Un’infanzia colma di (in)dirette influenze intellettuali. Tornando allora alla nostra Famiglia Coppola (Dio, tu nel frattempo ci stai pensando? Mi hai trovato qualche parentela?) soffermiamoci in primo luogo su quanto sarà stato incantevole e seducente per i bambini Roman e Sofia, anche se in forma inizialmente inconsapevole, poter respirare il profumo della loro casa, sempre piena di una certa atmosfera artistico-culturale immagino. Quando uscì Apocalypse Now (1979), Sofia aveva solo otto anni, Roman già quattordici, Francis gli avrà pur detto “Figlio mio, oggi ti porto al cinema a vedere il film che ho girato”. Per non parlare di quanto sia invidiabile la possibilità di inserirsi nel film del padre (una Sofia Coppola diciannovenne che recita ne Il Padrino − Parte III, e che era già apparsa appena nata ne Il Padrino) soprattutto se bisogna cadere tra le braccia di un giovane Andy Garcia (tostissimo).
Ed è così che diventa tutto più semplice, anche solo concedersi la possibilità di Sognare di diventare regista. Eppure, attenendoci ai primi due obiettivi del nostro gioco, il povero Roman Coppola è stato di gran lunga surclassato dalla sorella (pur restando il produttore di ben due dei suoi film), probabilmente perché meno in gamba, magari meno protagonista, o forse meno furbo. Difficile distaccarsi dal continuo confronto che viene fatto in questi casi tra padre e figlio (essere talentuosi figli d’arte può in alcuni casi risultare addirittura un peso); inoltre bisogna compiere delle scelte argute e brillanti per fornirsi di un’identità completamente diversa da quella del ceppo familiare. Se Sofia Coppola avesse intrapreso le stesse scelte stilistiche del padre, il paragone sarebbe stato schiacciante (a suo sfavore). Di tutto punto si è concessa quindi un gusto particolare ed elitario (che indubbiamente le appartiene) che ha conferito una sorta di grazia ed eleganza alle sue pellicole (seppur contestabili) rendendola oggi una delle registe più in voga  nelle mostre cinematografiche. Una donna che si porta dentro discreti pregi e virtù che sarebbero affiorati anche se fosse la mia dirimpettaia, ma che avrebbe di certo avuto difficoltà a tirare fuori. Del resto, ha tutta la mia stima per aver da poco sposato il mio tanto adorato Thomas Mars, cantante dei Phoenix. Se la ama lui, devo farmela piacere anch’io. Credo si siano conosciuti grazie al fratello Roman (ancora una volta il giro resta quello) che agli inizi del Duemila si occupò dei video musicali del gruppo, al loro primo disco. Non avrà saputo ricoprire le vesti del classico fratello maggiore meridionale “Ti spezzo le ossa se guardi mia sorella” (in fondo la famiglia Coppola ha pur sempre origini italiane) e la “bella” Sofia, all’epoca sposata col regista Spike Jonze, ha fatto il botto con Thomas.
Da qualche mese a questa parte il mio dirimpettaio è mio fratello, che avrebbe voluto fare il pilota, ma i nostri genitori sono simpaticamente troppo pratici per poter concedere grandi sogni. Avrebbe dovuto essere il figlio di Graziano Rossi, pilota motociclistico degli anni Settanta che un bel giorno ha preso il figlio e l’ha piazzato su una minimoto, fornendogli la possibilità di accorgersi del suo talento e dando così il via a quello che sarebbe diventato Valentino Rossi. Se Valentino Rossi fosse stato mio fratello? Forse il motorino l’avrebbe chiesto, verso i quindici anni, per raggiungere la scuola, per portare la ragazza al mare, e l’avrebbe guidato divinamente, raccontando ogni tanto agli amici che nella vita avrebbe voluto fare il pilota.

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