“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 02 May 2022 00:00

Imbozzolate creature sospese

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Due sorelle, un gioco ineludibile che le accompagna per la vita, sin dalla loro prima infanzia; un gioco scandito dallo scambio perpetuo di un oggetto (un fermacapelli a forma di farfalla, calzato a mo’ di collana), che indossato a turno consente vicendevolmente, in virtù di un tacito patto inviolabile, all’una di chiedere (o imporre) all’altra di fare qualunque cosa, anche la più disdicevole o imbarazzante. Pena: la rottura del patto. Conseguenza: la fine del gioco.

Ed è un gioco che va oltre sé stesso, divenendo una sorta di maniacale strumento di affezione che tiene le due sorelle, una bionda e l’altra bruna, avvinte l’una all’altra per la vita, vincolate a un gioco (o a un giogo) che ha funto da cemento armato per la solidificazione stratificata di un rapporto sororale che ha dovuto sopperire alla dipartita di una madre suicida e al distacco di un padre fuggiasco verso una nuova vita e scientemente dimentico delle sorti delle due ragazze.
Vestite e acconciate allo stesso modo, le due protagoniste di questa storia differiscono tra loro solo per il colore dei capelli. Da sole, su una scena sulla quale campeggiano tre parallelepipedi e scarna oggettistica di scena, Bruna Rossi e Giorgia Senesi interpretano la storia delle loro vite parallele entrando in tutti i personaggi che le costellano, caratterizzandoli per un gesto, per una modulazione della voce, per un accessorio o per una posizione degli elementi in assito; per cui, posizionata una alle spalle dell’altra, danno vita ai bislacchi discorsi del padre l’una, mente l’altra, inforcando occhiali scuri gli fa da controcanto – altrettanto bislacco – interpretando la svampita matrigna; o ancora, i parallelepipedi, agiti e ribaltati, assumeranno funzioni modulari destinate a connotare i personaggi (ad esempio un chiosco, una scrivania dietro la quale le due sorelle si trasformeranno in medico e infermiera, anche loro personaggi surreali che si producono in discorsi balzani, una bara, un fasciatoio per l’infante).
Come si evince da queste prime righe di concisa sintesi, la cifra espressiva di Farfalle – ma potremmo dire la cifra espressiva delle drammaturgie di Emanuele Aldrovandi – è imperniata (e vi ruota agevolmente) su un meccanismo testuale che si muove sulle punte del paradosso; il surreale e il grottesco connotano situazioni che mostrano, attraverso l’amplificazione suggerita dalla distorsione abnorme del senso comune, una deriva esistenziale cinicamente verosimile, al netto delle esasperazioni grottesche (e, diciamolo, francamente gustose) di un improbabile – ma non per questo meno credibile nelle sue valenze intrinseche – quadretto famigliare.
È una scrittura, quella di Emanuele Aldrovandi che si muove lungo i binari di una bizzarria consapevole, percorsi e maneggiati con un’arguzia e una padronanza dei meccanismi che riesce a tenere avvinto lo spettatore alla fitta trama psicologica che si dipana intorno ad una vicenda che incatena il reale al surreale; dove il surreale è la chiave di volta per accedere al reale, grandangolo per un’inquadratura panoramica che restituisce fotografia icastica delle incongruenze endemiche al consorzio umano. E infatti la bruna e la bionda rimarcano da subito una diversità dagli stereotipi dominanti, da quell’umanità indistinta che invece crede di distinguersi, mentre invece è come quei “jeans industriali con gli strappi fatti a mano: ogni paio è diverso, ma sono tutti nello stesso scaffale, in vendita allo stesso prezzo”; si differenziano, ma solo perché percorrono su un versante opposto rispetto all’ordinario la china di un disperato stare al mondo, che non risparmierà nemmeno loro dalle asprezze da cui erano riuscite a rifuggire conservandosi discoste e protette nel piccolo gioco tutto loro, come due farfalle imbozzolate in un unico accogliente alveo larvale che le schermasse dal mondo malevolo e spregevole di cui pure, loro malgrado, erano state costrette a subire i rovesci.
Alla scrittura Aldrovandi accompagna – per la prima volta – anche la regia, una sinergia tra i due ambiti che lo affranca da certi schematismi registici delle messinscene precedenti dirette da altri, virando verso una pulizia stilistica e un’evidenza concettuale più nette:regia asciutta e lineare, che resta consapevolmente e intelligentemente un passo indietro (o forse accanto) rispetto alla scrittura, lasciando che la parola scritta, nel suo prendere forma nei corpi in scena, si trasformi in umana materia. Il tutto coadiuvato dal disegno illuminotecnico di Vincent Longuemare che, immergendo questa volta la messinscena nella nuance di un rosso cupo dominante, suggerisce quella particolare sensazione di trovarsi in cospetto di un paesaggio familiare che ci siamo abituati ad ammirare e riconoscere, pur nella sua cangiante variabilità. Nel mezzo, le due attrici, Bruna Rossi e Giorgia Senesi, interpreti eccellenti, molto brave a reggere il ritmo di una logorrea incessante, ora dialogante, ora monologante, trasversale alla decina di personaggi che si trovano a rimodulare nelle variazioni interpretative; mai un calo, nessuna incertezza, ogni dialogo, nella sferzante essenzialità del bruciapelo, è reso funzionale al disegno complessivo che affresca sulla scena la “sacralità” di un gioco al massacro sottile e pervicace sancito da un patto inviolabile, fino a smettere di essere un gioco, fino a diventare uno scambio sempre più aspro di crudeltà reciproche; uno scambio che, più che disturbare, sortisce l’effetto paradossale di instillare dubbi sostanziali ed esistenziali, alla ricerca di risposte ultime che non si possono avere. Cosa è giusto e cosa non lo è? Ci si può dare un limite? E chi lo stabilisce? E cosa accade se quel limite lo si travalica?
Ma forse risiede proprio in questo aspetto il nerbo di Farfalle: nel porre interrogativi allo stesso tempo ineludibili e irrisolvibili. E nel farlo con l’apparente bonomia di un cinismo disarmante, che ci porta a (sor)ridere anche del più cupo dramma che si consuma sulla scena, quasi fosse totalmente irreale e non invece una concreta possibilità insita nel reale una volta spogliatolo dell’artificio grottesco in cui è abilmente confezionato.





leggi anche:
Enrico Pastore, Le crudeli, amorevoli farfalle di Aldrovandi (Il Pickwick, 27 aprile 2022)





Farfalle
testo e regia Emanuele Aldrovandi
con Bruna Rossi, Giorgia Senesi
scene e grafiche CMP design
costumi Costanza Maramotti
luci Vincent Longuemare
suoni Riccardo Caspani
musiche Riccardo Tesorini
movimenti Olimpia Fortuni
design farfalla Laura Cadelo Bertrand
aiuto regia Valeria Fornoni
assistente alla regia Chiara Muraro
responsabile tecnico Luca Serafini
foto di scena Laila Pozzo
produzione Associazione Teatrale Autori Vivi, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro dell’Elfo
in collaborazione con L’arboreto Teatro Dimora, La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna
e in collaborazione con Big Nose Production
con il sostegno di Centro di Residenza della Toscana (CapoTrave/Kilowatt e Armunia), Fondazione I Teatri Reggio Emilia
lingua italiano
durata 1h 10’
Napoli, Galleria Toledo, 20 marzo 2022
in scena 19 e 20 marzo 2022

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