“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 28 May 2013 02:00

Reportage nel varco del tempo ("Kairòs, sussurri del tempo")

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Napoli, 25 maggio 2013. Sessanta persone divise in tre gruppi. Il tempo è incerto, quando nell’atrio del complesso ospedaliero Incurabili di Napoli, proprio lì dove i medici illuministi lavoravano instancabili per la cura della città, la sintesi di Krònos e Kairòs appare in carne ed ossa nel corpo di Federica Altamura. Tic tac tic tac se “le vostre orecchie riescono ad ascoltare solo ciò che i vostri occhi riescono a vedere” che la visita teatralizzata, proposta dall’ Associazione Culturale NarteA, abbia inizio.

Il Faro di Ippocrate, associazione che promuove percorsi di arte e medicina, utilizza gli introiti delle visite guidate per restaurare i gioielli disseminati all’interno degli Incurabili. Il viaggio tra arte e scienza comincia qui, sulla collina di Caponapoli. 1494, le truppe francesi di Carlo VIII nel rivendicare i suoi diritti sul Regno di Napoli, all’epoca in mano agli Aragonesi, sbarcò con ottocento donne, cinquecento delle quali “puctane”. La sifilide scoppiò in città, ed erroneamente si credette che fosse trasmessa per via aerea. L’ospedale fu così costruito nella zona più elevata e soleggiata di Napoli, che avrebbe protetto dalla “mala aria”. Detto anche “ospedale delle donne” poiché fu una ricca nobildonna catalana, Maria Lorenza Longo, ad istituirlo a sue spese, nel 1520, per aiutare i malati con amore e scienza e per assistere le ex prostitute affette da sifilide. Colpita da una malattia paralizzante, fu devota alla Madonna di Loreto e morto il marito prese i voti e si ritirò in convento insieme alle sue consorelle.
Entriamo nel lato sud del complesso accompagnati dalla dottoressa Sara Oliviero, che con grande emozione ci svela che la chiesa è chiusa da oltre un secolo e che davvero raramente vengono concessi i permessi per aprirla. Ci sentiamo dei privilegiati. Il fantasma di Maria d’Jerbo (socia della fondatrice) ci appare nell’eco della sopravvissuta Chiesa di Santa Maria del Popolo. È Katia Tannoia ad interpretarla in costume d’ epoca: "Qualsiasi donna ricca o povera patrizia o plebea indigena o straniera purché incinta bussi e le sarà aperto”. La donna è realmente sepolta dietro l’altare maggiore, fra le tombe del suo sposo Andrea di Capua e suo figlio Ferdinando. Decise di restare per sempre fra gli uomini della sua vita, commissionando al noto scultore del Regno, Giovanni da Nola, le tombe parietali che hanno catalizzato l’attenzione dell’intero gruppo di visitatori. La pianta a navata unica centrale, che non è uno standard delle chiese napoletane, chiarisce, dunque, l’intenzione di poter ospitare tutti, anche gli ammalati. Nonostante sia ormai quasi spoglia, nella cosiddetta “chiesa ricamata” si respira amore e storia, arte rinascimentale e fermento di vita immortale. Pare proprio che fosse un gran prestigio esservi seppelliti, e la scultura di Luigi Montalto presente nella cappella, ben ci parla dello spirito senza tempo di un uomo che simbolicamente decide di essere ritratto vivo, in posa blasonata, con un libro fra le mani.
Sembra di sentire il suono dell’organo e il fragore dei suoi concerti che ai tempi dei viceré servivano per raccogliere fondi per mantenere l’ospedale.
…Tic tac tic tac… Kairòs dal cortile emette richiami, è tempo di un nuovo passaggio di dimensione.
Il Professor Gennaro Rispoli, fondatore del Museo delle Arti Sanitarie bussa ad un grande portone un po’ malandato. Nessuno può immaginare che si tratta di un autentico accesso al passato: la Farmacia del 1750. Luci e profumi ci abbagliano e inebriano. La sindrome di Stendhal non risparmia nessuno di fronte a reperti della storica alchimia napoletana così ben conservati. I quarantamila ducati d’oro per la sua costruzione hanno generato una macchina del tempo… Il gran bancone da speziale nell’ingresso e gli alti scaffali di noce pieni di contenitori in porcellana decorati finemente in turchese, suggeriscono l’ incontro tra magia e scienza. Le ampolle in vetro di Murano e i vasi maiolicati furono dipinti da Lorenzo Salandra e Donato Massa (all’epoca famosi in tutta Europa).
Impossibile non notare, imperdonabile non chiedere.
In sostituzione dell’antica spezieria cinquecentesca, la farmacia fu disegnata dall’architetto Bartolomeo Vecchioni; uno spettacolo di simboli e allegorie di matrice chiaramente massonica, che promettono la ricerca della pietra filosofale fra boccette pregne di liquidi misteriosi rimasti intatti nel tempo. Due sculture in particolare sottolineano la natura alchemica del valore della vita: l’utero virginale e l’utero operato. Ovunque c’è storia tra i segreti dei fluidi impalpabili del mercurio, che sigillano il momento in cui gli elementi chimici diventano materia scientifica, attraverso la scoperta del suo potere disinfettante.
Nella Sala Grande, dove si tenevano i convegni medici, prende la parola Domenico Cirillo “… decisi di curare le ferite del popolo, peccato che fossero già in cancrena”. Tra noi e lui un tappeto di cotto maiolicato di straordinaria bellezza. Raffaele Ausiello interpreta il famoso scienziato e martire della Repubblica Napoletana con grande verità “Io, Domenico Cirillo, preferirei perdere la vita piuttosto che morire servo”. Anche se morto sulla forca in Piazza Mercato, durante la repressione del 1799, le sue idee illuminate riecheggiano ancora tra queste mura.
La Farmacia degli Incurabili è unica al mondo.
Gli astanti restano adrenalinici alla vista di un’enorme anfora contenente la “teriaca”, un preparato in grado di stimolare la virilità, per poi sentirsi letteralmente commossi dal “tesoro del povero”: lettere, soldi e beni di deceduti in ospedale e mai reclamati da nessun parente.
Una tela di Carlo Sellitto, pittore partenopeo di ambito caravaggesco, tiene viva la curiosità di molti presenti… difficile selezionare, ognuno si perde nei rivoli meravigliosi di tele e reperti che accostano sacro e profano, passato e presente. Un ultimo sguardo prima di uscire, lì da dove siamo entrati, ed una Madonna che allatta spunta dall’alto, quale monito per ratificare come la dietetica sia elemento essenziale della terapeutica.
… Tic tac tic tac… siamo traghettati negli spazi dell'antico Convento delle Pentite, ora Museo delle Arti Sanitarie, dove la storia della medicina ci è illustrata dal Dottor Arturo Armone Caruso. Vien voglia di restarci un giorno intero per ascoltarlo, osservare e sapere come ogni più piccolo oggetto sia stato strumento e veicolo per le nostre attuali tecniche mediche. Ferri chirurgici usati da “artigiani del corpo”, farmacie portatili, tavoli operatori e tanto altro, convergono nel punto in cui prende forma il motto dell’associazione Il Faro di Ippocrate: “l’arte di guarire… guarire con l’arte”. Ogni sabato, infatti, su prenotazione, i medici raccontano la storia dell’arte di curare, mantenendo alti la memoria e il prestigio della Scuola Medica Napoletana. Una piccola scritta si impone in un angolo: Sic vos non vobis, letteralmente "Così voi, non per voi". Etica e deontologia medica impregnano di umanità le tre sale dedicate a Domenico Cotugno, Domenico Cirillo e Giuseppe Moscati. Viene alla luce il vero concetto di medico troppo spesso dimenticato da chi si fregia di tale titolo: da “medicus”, “mederi” il suo senso profondo è la cura dell’altro. “Non esiste la malattia, ma il malato di…”; Valerio Napoli nelle vesti del dottor Tramontano, allievo prediletto di Moscati, si aggira recitoso con un ramo di canfora, la pianta della gioia utile per la cura del corpo e dell'anima ancora viva nel cortile dell'ospedale Incurabili. Qualcuno, intanto, legge icredulo, lettere e reperti cartacei con la grafia del futuro Santo.
La drammaturgia di Febo Quercia ha saputo innestare un piccolo percorso nel percorso, chiudendo il ciclo infinito di scienza, storia, filosofia ed arte, con l’ultimo monologo della clessidra della vita. È l’amore che cura “chi smette di amare per paura di soffrire ancora, è come se volesse fermare le lancette del tempo… ed io non mi fermo mai!”.
Per emozionarsi ancora in questo pezzo di mondo sommerso rivolgersi all’associazione Il Faro d’Ippocrate, le cui visite guidate sono l’unica garanzia per sostenere e restaurare i tesori del complesso ospedaliero degli Incurabili. Info e prenotazioni: 081/440647-339/5446243.
Tutte così, straordinarie, le iniziative dell’Associazione Culturale NarteA, per conoscere date e dettagli visitare il sito www.nartea.com.

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