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Wednesday, 29 May 2013 02:00

Ciclo Bergman (contenuti extra) - Tormento

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“Ho il talento d’immaginarmi la maggior parte delle situazioni della vita: lascio agire la mia intuizione, la mia fantasia, i sentimenti giusti fluiscono, danno colori e profondità. Eppure mi manca il mezzo per immaginarmi l’istante della separazione. Siccome non posso né voglio immaginarmi un’altra vita, una sorta di vita dall’altra parte del confine, la prospettiva è agghiacciante. Vengo trasformato da qualcuno in nessuno. Questo nessuno non conserva nemmeno la memoria di un’intimità. Mi sembra di intuire quel che m’aspetta”.

(Ingmar Bergman)

 

Con questa ennesima puntata intitolata, un po’ scherzosamente, 'contenuti extra' salutiamo il lungo appuntamento dedicato al grande Ingmar Bergman. Il film in questione non è diretto da Bergman, ma segna l’inizio della carriera cinematografica del regista scandinavo. Oltre a scriverne la sceneggiatura, Bergman collabora per la prima volta come assistente alla regia. Inoltre l’opera presenta già i primi accenni alle tematiche che segneranno il percorso artistico dell’autore: incomunicabilità (in questo caso generazionale), diffidenza se non addirittura ribellione verso le canoniche forme di autorità. Manca sicuramente il tema principe per eccellenza della filmografia bergmaniana: la maschera dell’apparire, ma la qualità dello script rileva già il notevole talento del futuro genio svedese. La pellicola ci mostra uno studente, prossimo agli esami di maturità, innamorarsi di una tabaccaia considerata inizialmente di facili costumi (per l’epoca). Intanto, gli studi procedono a rilento, soprattutto a causa del pessimo rapporto con il professore di latino. Si scoprirà poco dopo che la tabaccaia ha una burrascosa tresca proprio con il suddetto professore e la faccenda finirà in tragedia. La ragazza si suicida bevendo fino alla morte (forse indotta dal professore ormai in preda alla gelosia e all’insicurezza), il giovane studente viene espulso dalla scuola per aver picchiato il professore, quest’ultimo invece, dopo essere stato in un primo momento accusato di omicidio, viene scagionato e rimane solo a piagnucolare vittima delle sue paranoie e delle sue manie autoritarie. Un quadro “tormentato” di disperazione e sofferenza, ma nell’ultima scena il sorriso del giovane studente illuminato dal sole (dell’avvenire) riconcilia il protagonista del film con quella speranza di salvezza che accompagnerà le prime opere bergmaniane. Particolarmente apprezzato all’epoca perché per molti critici il film risultò essere una critica del nazismo, con la severità scolastica come metafora del regime dittatoriale tedesco (l’attore Stig Jarrel che interpreta il severo professore venne truccato in modo tale da somigliare ad Himmler). Il film ricevette nel 1946 il premio speciale della giuria al festival di Cannes, entrambi i protagonisti poi, ci riferiamo alla Zetterling (la ragazza) e Kjerlin (lo studente), diventeranno apprezzati registi, la prima in Svezia, il secondo ad Hollywood.

 

Riportiamo adesso una breve, ma appassionante carrellata di frasi di grandi cineasti dedicate a Bergman, un modo per salutare ed arricchire il lavoro svolto in questi mesi ringraziando i lettori che ci hanno seguito in questo percorso di commemorazione dedicato ad uno dei più grandi artisti della settima arte.

 

“Il volto umano. Non c’è nessuno che gli si avvicini tanto quanto Bergman”.

(Francois Truffaut)

 

“Ne Il posto delle fragole c’è un’interpretazione davvero grande del vecchio Victor Sjostrom, uno dei giganti. Se mi è capitato di non provare interesse per qualche film di Bergman, è solo per una questione di temperamento, di scarsa affinità con i problemi di quel suo mondo nordico”.

(Orson Welles)

 

“Dovevamo fare un film insieme, a episodi, con Kurosawa, dove ci sarebbe stato anche Bergman. Poi il film non l’abbiamo più fatto. Bergman mi sembrava un fratello maggiore, più serio, più infelice, o forse meno, perché l’infelicità in lui mi sembra come raccolta in un implacabile dibattito con i suoi fantasmi. Chissà chi vincerà alla fine. Ma intanto c’è il suo cinema che regola tutto il gioco, nitidamente”.

(Federico Fellini)

 

“Immagino che Ingmar Bergman sia e voglia essere un buffone e vivere con i buffoni, così come faceva quando lavoravamo insieme. Al centro della sua critica ai meccanismi mostruosi sui quali è costruita la società, al centro della sua disperazione, del suo scetticismo, persino del suo cinismo, mi sembra sempre che ci sia dell’amore. Amore per il suo lavoro, per i suoi colleghi, per il suo pubblico. Amore per la verità della vita che è stata violata. E questa mia impressione persiste. Il suo amore riesce a vedere sia la commedia che la tragedia della condizione umana, la sua disperazione e la sua fiducia”

(Eva Dahlbeck)

 

“Quando lo incontrai per la prima volta, Ingmar Bergman portava un basco poi diventato famoso, aveva una risata particolare poi diventata famosa, aveva ventun’anni e già era molto chiacchierato. Poi diventò famoso. Avevo sedici anni. Ne fui impressionato, sedotto, scosso. Era di un’intelligenza quasi assurda. È stupefacente che Ingmar fosse tanto avanti già agli inizi della sua carriera. Una stupefacente percezione per il movimento. Una stupefacente capacità di leggere nel copione. Una stupefacente conoscenza dell’essere umano. Forse agli inizi strepitava un po’ di più. Il suo metodo per piegare le resistenze degli attori si è forse affinato con gli anni. Grazie a Dio, non è maturato. È sempre stato immaturo in modo fastidioso e affascinante. Ha organizzato meglio la sua immaturità, ha messo ordine nel suo caos, lo ha disciplinato. Come molti grandi registi, è un attore frustrato. A volte parla di se stesso come Bergman, come un oggetto che lui possa osservare e giudicare a distanza, ma la cui volontà siano altri a dover seguire. È il suo io a infuriare sul mondo circostante. Quando Bergman ha ricevuto gli allori, l’io rispunta dall’oscurità, poi via di nuovo nell’oscurità dove se ne sta acquattato e abbandonato. I registi, quando lavorano, hanno opulente esplosioni d’ira. A Bergman piace definirle ‘esplosioni pedagogiche’, perfino in questo vuole sentire di essere lui a decidere. E intanto se ne sta a vivere sull’isola di Fårö e si rifiuta di viaggiare”.

(Erland Josephson)

 

“Ha la fama di essere un demonio, cosa che è totalmente falsa. Lui conta moltissimo sui suoi attori. Sa perfettamente a chi si è affidato. Li ascolta e li osserva. Cerca di tirare fuori da loro ciò che loro hanno da dare, e non quello che lui vorrebbe fare in una situazione simile. È un formidabile ascoltatore e ha una straordinaria capacità di osservazione. Vede quello che uno cerca di esprimere e costruisce a partire da quello. Ti aiuta ad uscire da te stesso. Inoltre realizza coreografie molto belle. Come chiamarle, se non coreografie? Intendo dire che i movimenti della scena sono sempre espressi in sé stessi, dicono moltissimo della scena. Lui non si spiega più di tanto. Siede molto vicino alla macchina da presa. La sua presenza si avverte molto, e quando non è vicino alla macchina da presa si tende a recitare rivolti dalla sua parte. Lui è sempre, sempre vicino alla macchina da presa, e l’attore si sente terribilmente ispirato. Non so quale sia il suo segreto, ma è qualcosa che ti fa desiderare di dargli tutto quello che hai a disposizione. In privato, Bergman è sempre molto divertente. Ma sul set c’è in lui una specie di magia. Specialmente quando è dietro la macchina da presa. Ti fa sentire di essere parte di qualcosa di molto particolare. Non riesco a spiegarlo chiaramente. Ma c’è effettivamente un’aura intorno a lui. È il modo in cui vede e in cui sente”.

(Liv Ullman)

 

“C’è molta poesia nel cinema di Bergman, ma ce ne accorgiamo a cose fatte. L’essenziale sta piuttosto nella ricerca di una verità, che si fa sempre più fruttuosa. Il punto di forza di Bergman è anzitutto la direzione degli attori. Egli conferisce i ruoli principali dei suoi film ai cinque o sei attori prediletti, che riesce a rendere irriconoscibili da un film all’altro impiegandoli in ruoli diametralmente opposti. Chiede raramente ai suoi attori di rifare una scena e non cambia mai una riga dei suoi dialoghi, scritti di getto e senza alcun piano prestabilito. Bergman è un uomo testardo e schivo. Dedica la sua vita al teatro e al cinema, si sente che non è felice se non quando è circondato da attrici e non sarà facile vedere un film di Bergman senza donne. Lo immagino più femminile che femminista, poiché nei suoi film le donne non sono viste da un punto di vista maschile, ma studiate con profonda complicità e tratteggiate con estrema sottigliezza, laddove i personaggi maschili sono stereotipati”.

(Francois Truffaut)

 

Il Ciclo Bergman ha presentato i seguenti film:

 

Il settimo sigillo

Il posto delle fragole

Il volto

La fontana della vergine

Come in uno specchio

Luci d’inverno

Il silenzio

Persona

Il rito

Sussurri e grida

Sinfonia d’autunno

Un mondo di marionette

Tormento

 

Retrovisioni

Hets (Tormento)

regia Alf Sjoberg

con Alf Kjellin, Stig Jarrel, Mai Zetterling, Olof Winnerstrand

produzione Harald Molander, Victor Sjostrom per Svensk Filmindustri

sceneggiatura Ingmar Bergman

paese Svezia

lingua svedese

colore b/n

anno 1944

durata 101 min.

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