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Saturday, 20 November 2021 00:00

La linea sottile dell’innocenza: “The Red Lion”

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L’adattamento di Andrej Longo del The Red Lion di Patrick Marber, per la regia di Marcello Cotugno, in scena al Teatro Bellini fino al 21 Novembre, prende avvio da una storia ambientata nel mondo del calcio dilettantistico per effettuare un’analisi più profonda sulle mille sfumature della passione e dei suoi compromessi, sull’inevitabilità di sacrificarne la purezza originaria alla mercé di un mondo violento e calcolatore.

L’innocenza può essere la più grande condanna o il più grande antidoto in un universo fatto di ipocrisia e di prevaricazione, dove l’unica legge sembra essere quella della simulazione, dell’inganno, della menzogna.
Il confine è molto sottile e non si sa fino in fondo chi sia questo “Red Lion”: se quello che fa dell’aggressività e della scaltrezza il suo biglietto da visita, o chi urla a gran voce: “Io non voglio fingere, io non voglio ingannare”.
Il primo è Rosario, il mister di una piccola squadra della provincia napoletana militante nel campionato di Eccellenza, budget ridotto all’osso, pochi risultati e scarsissimo margine di miglioramento. I sogni sono stati appesi al gancio dello spogliatoio, l’unica condizione possibile è quella dell’immobilità assoluta dove si cerca solo di rincorrere affannosamente le leggi di mercato che schiacciano l’individualità. Si arranca, si sopravvive. Del resto Rosario è uno che la sua individualità l’ha già persa: divorziato dalla moglie, vive a casa della madre, è sommerso dai debiti, non ha ambizioni. I tempi dell’innocenza sono per lui lontani e soverchiati dal senso della sconfitta.
Non è così per Gaetano, che di quella squadra lava e stira i calzini e le divise dei giocatori. Svolge orgogliosamente il proprio ruolo perché in quella squadra è nato e cresciuto, ha passato tutta la vita a respirare la polvere e l’aria chiusa di quello spogliatoio malridotto. Aveva solo pochi mesi quando la madre lo ha portato per la prima volta allo stadio, pochi anni quando ha iniziato a giocare anche lui su quel campo, diventando un campione, un simbolo di orgoglio, qualche anno in più quando di quella squadra è stato nominato Mister assaporandone le sconfitte e i fallimenti. Eppure resta lì, è amato da tutti, è soprannominato “mitico”, lo hanno raccolto dalla strada dove era finito per riportarlo nell’unico posto dove doveva essere: in quello stanzino logoro. “Più cuore che testa”, nemmeno facendo a pugni con la miseria, ha smesso di indossare quella divisa. La sua è una devozione religiosa, è passione che muove dallo stemma sul cuore dove è disegnato il “leone rosso”.
Per questo a Gaetano il freddo cinismo di Rosario non può andare a genio. “Tu non conosci le buone maniere, tu strappi via l’innocenza ai nostri ragazzi”, queste le parole che gli tuona contro disperato, lui che a quel passato di innocenza non ha mai voluto rinunciare e che di fronte a quel machiavellico presente, finge di chiudere gli occhi e continua a cantare in silenzio il suo inno stonato.
L’ago della bilancia troverà ad incrinarsi verso l’una o l’altra parte quando nello spogliatoio entrerà Palmiro, giovane promessa di quella squadra che di promesse non sente poi così tanto l’esigenza. Palmiro è la fanciullezza, l’innocenza giovanile che niente vuole sapere di quelle leggi di mercato e di becere strategie, non ha una lira e ha le scarpe bucate, ma vuole giocare a calcio sopra ogni altra cosa.
In quel ragazzo pieno di sogni, Gaetano rivede la sua stessa purezza, ne diventa mentore, vuole proteggerlo dalle brutture del mondo. Rosario invece vuole farne solo strumento per i suoi giochi di potere, per le sue machiavelliche mosse per accumulare denaro, mezzo di profitto, tesoro prezioso da spremere finché può e poi gettare via.
Nell’eterno scontro tra ingenui e impostori, creduloni e ingannatori, puri e impuri, i primi sono forse destinati a soccombere, perché non giocano ad armi pari. Perché l’arte della verità sarà sempre meno potente della menzogna che sa ammaliare e confondere. Così Palmiro viene lentamente allontanato dalle sue speranze e macchiato nel suo candore, coinvolto progressivamente e inconsapevolmente in questo gioco di brutture. Architetto di tutto è Rosario che si muove come una marionetta, senza ideali né guerre da combattere, spinto solo da sé stesso e dalla sua cieca ambizione.
Ma quando l’inganno sarà svelato, tutti saremo uguali. E allora a salvarci sarà solo quello in cui abbiamo creduto. I sogni che abbiamo lasciato andare o quelli che abbiamo coltivato, oltre tutte le aspettative e le promesse mancate. Saranno quelle il nostro “leone rosso”.
Lo sa bene Gaetano, protagonista assoluto della vicenda, che alla fine, dopo aver perso tutto, si stringe la mano sul cuore e torna a cantare la sua canzone preferita, quella che intonavano a lui, in un tempo che sembra lontanissimo, quando esisteva ancora l’innocenza e gli ideali non erano stati sepolti sotto il terriccio sporco del campo. Ancora in quel momento, cristallizzato nell’eternità Gaetano sa far volare lo sguardo oltre quello stanzino logoro e buio e guardare il campo illuminato dalla luce.
Tutta la rappresentazione si svolge in un luogo claustrofobico, lo spogliatoio consunto e malridotto, fatto di oggetti sporchi e messi alla rinfusa, che rispecchia lo stato d’animo dei suoi protagonisti: personaggi che a modo loro, hanno perso tutto e tentano di aggrapparsi a qualcosa. Quel luogo buio con bagliori di luce che giungono all’improvviso, quasi a confondere, diventa specchio delle loro coscienze, dei loro pensieri, delle loro incertezze. Da quello stanzino si guarda “il fuori” come qualcosa di irraggiungibile, i tre personaggi che rappresentano una triade di opposti ideali e antitetiche mentalità, specchio di diverse età della vita, non hanno segni di appartenenza con il fuori, sonno tutti e tre bloccati in una condizione di immobilità e di non identificazione con il mondo. Il campo lo si guarda da una prospettiva angolare, i fatti sono già accaduti o accadono in altre stanze, in altri luoghi.
Lì c’è solo lo stanzino esiguo, come un confessionale, dove Gaetano stira le sue camicie e pensa al tempo trascorso e Rosario sfoga le sue frustrazioni. Lì i protagonisti sono diversi anche nel modo di porsi e di stare sul palcoscenico.
Gaetano ha un aspetto trasandato ma si muove veloce sulla scena sistemando con cura le divise e tutti gli oggetti della sua squadra del cuore, dedicando molta più cura a loro che a sé stesso.
Rosario si veste, si sveste, si cambia più volte d’abito, è ingannevole anche nel modo di mostrarsi, riflesso del suo atteggiamento egoistico e narcisista.
La scenografia così scarna ed essenzialmente immutata e l’argomento monotematico della trama, in cui i fatti non succedono in modo immediato o imprevisto ma sono rappresentanti retrospettivamente e sulla scena solo commentati o analizzati, rischia di rendere talvolta lenta e poco suggestiva la rappresentazione, scarna nel movimento e nella dinamicità, anche qualvolta si vada a raccontare qualcosa di psicologico. Ma la scena acquista nuova vitalità negli sguardi, nelle movenze e nelle espressioni dei personaggi, emblemi di individualità che indagano sul confine labile tra successo e sconfitta, innocenza e colpevolezza, tra mutamento e perseveranza nel palcoscenico della vita che è spesso fatto analogamente di contrasti che non si risolvono mai.
Forse è uno spettacolo non pienamente risolto che ricorda per certi versi il teatro inglese delle origini, dove più che alla scenografia e alla spettacolarizzazione si dava largo spazio alla potenza evocativa della parola e agli effetti che poteva suscitare. La forza espressiva del “leone rosso”, a cui ognuno sceglie di dare il valore che vuole.





The Red Lion
di
Patrick Marber
riadattamento
Andrej Longo
traduzione Marco Casazza
regia Marcello Cotugno
con Nello Mascia, Andrea Renzi, Simone Mazzella
luci Pasquale Mari
scene Luigi Ferrigno
costumi Anna Verde
colonna sonora Marcello Cotugno
foto di scena Salvatore Pastore
coproduzione La Pirandelliana/Teatri Uniti
lingua italiano, napoletano
durata 2h
Napoli, Teatro Bellini, 16 novembre 2021
in scena dal 16 al 21 Novembre 2021

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