“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 02 August 2021 00:00

Ulisse in carcere: "Odissea" di Teatro dei Venti

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Lo scorso 27 luglio ha debuttato Odissea del Teatro dei Venti, un evento teatrale diretto da Stefano Tè che ha attraversato le carceri di Castelfranco Emilia e Modena, all'interno di Trasparenze Festival, giunto alla sua IX edizione, che ha per titolo Abitare Utopie. Prima di parlare della difficile genesi di questo dramma itinerante è giusto fare una piccola premessa.

John Cage diceva che un'opera d'arte è paragonabile a una lettera a uno sconosciuto. Si compone, si scrive, si recita per un pubblico che non si conosce e, di conseguenza, in questo vi è un grande margine di rischio. Sarà piaciuto? Sarà capito? Sono i crucci di ogni artista. Oggi infatti l'industria dello spettacolo, volendo fidelizzare il pubblico/cliente, tende a minimizzare questo rischio puntando sul sicuro, sul ripetibile, sul semplificato per incontrare nuovamente e senza scossoni i gusti già soddisfatti in precedenza. L'arte invece vive di questo rischio, anticipa i gusti, li previene, li sconvolge, li turba e nel fare ciò smuove il pensiero di chi guarda. Lo spettatore, in questo caso, è chiunque volge i suoi occhi a ciò che accade sulla scena, sia esso un appassionato, un improvvisato e impreparato visitatore oppure un critico o un operatore. Ciò che importa è dunque la visione e le sue conseguenze, da cui non necessariamente nasce un dialogo una volta che è calato il sipario. Il rapporto, se non in casi eccezionali, è con l'opera, non con l'artista che scompare dietro la propria creazione.
Per il critico le cose si fanno un tantino più facili, e nello stesso tempo più complicate, in quanto si può o scegliere il destinatario o assumersi il rischio, come l'artista, di scrivere per uno sconosciuto. Preferendo questa seconda via si spera di far sorgere un dibattito intorno all'opera e all'arte attraverso uno scritto che sia nello stesso tempo autonomo rispetto all'opera e ad essa vincolato e relativo. Nel far questo ci si distanzia dalla cronaca dell'evento ponendosi in dialogo aperto, facendo scorrere i pensieri che sono sorti nella visione e mettendoli in relazione con l'agire artistico. Detto questo, per chi dunque si scrive una recensione?
Lo scritto che per comodità chiamiamo con questo termine, nonostante sia una parola per nulla atta a racchiudere la complessità del ragionare sul teatro vivo e presente, si rivolge a un pubblico plurimo e variegato. Da una parte a un destinatario sconosciuto e costituito, per esempio, da amanti del teatro, da pubblico potenziale o da spettatori che vogliono confrontare le proprie riflessioni con quelle di un “esperto”; dall'altra si scrive per qualcuno che si conosce bene e con cui si vuole condividere un percorso di riflessione al fine d'intessere un circuito virtuoso di pensiero sul teatro agito, e tra questi vi sono ovviamente gli autori dell'opera, gli artisti e gli operatori del settore. Da ultimo infine ci può essere un terzo destinatario: uno sconosciuto con cui si vuol avviare una conoscenza e aprire un canale di comunicazione. In ogni caso l'obiettivo non è solo rendere testimonianza di quanto avvenuto ma soprattutto far nascere un dialogo costruttivo tra le parti un causa: pubblico, artisti, critici e operatori.
In questo caso, rispetto a Odissea di Stefano Tè e del Teatro dei Venti, il mio  principale interlocutore, coloro verso i quali desidererei sorgesse uno scambio di idee e opinioni, sono gli attori, ovvero i detenuti delle carceri di Modena e Castelfranco Emilia. Alcune parti di questo scritto sono dunque rivolte specificamente a loro, i protagonisti, visibili seppur nascosti (vedremo poi perché), di questo evento teatrale che non voglio in nessun modo chiamare “spettacolo”, proprio per rispetto verso questi particolari attori. Da dove nasce questo desiderio? Dal fatto che per la natura intrinseca dell'opera − un viaggio attraverso vari luoghi, tra loro non comunicanti − lo scambio con gli attori, anche in forma semplice di applauso, non è potuto avvenire. L'ultimo atto dello spettacolo all'interno del Teatro dei Segni prevedeva la lettura da parte degli attori-detenuti di uno scritto che Penelope consegna a Odisseo. Per la normativa-covid coloro che escono dal carcere al rientro devono scontare dieci giorni di isolamento e per questo motivo la presenza è stata prevista solo l'ultimo giorno di repliche. Qualcuno potrebbe sorprendersi nel sapere che, nonostante questo, tutti gli attori che hanno avuto facoltà di compiere l'uscita dal carcere abbiano accettato pur di incontrare gli spettatori. Ma questa non è stata l'unica difficoltà incontrata durante la lavorazione di Odissea. Facciamo infatti un piccolo passo indietro e raccontiamo, per sommi capi, l'odissea di questa Odissea, ossia la genesi e la costruzione di un'opera che ha attraversato un periodo di ricerca di circa due anni a cavallo di tutto il periodo pandemico, nonché l'attraversamento del difficile momento di rivolta nel carcere di Modena nei giorni tra l'8 e il 10 marzo 2020 e i successivi strascichi (trasferimenti, indagini) di questo drammatico evento, che ha visto la morte di nove detenuti.
Odissea ha dunque attraversato diverse fasi, alcune drammatiche di interruzione totale del rapporto coi detenuti e del successivo lento riannodare i fili di un dialogo, oltre a un ricercare una modalità di lavoro a distanza in cui fosse possibile veramente costruire insieme (Teatro dei Venti e detenuti) un ambiente in cui il teatro potesse sorgere non come surrogato ma come strumento di pensiero in azione. Un primo frutto di questo lavoro di ricerca ha debuttato nella primavera 2021 sviluppandosi prima in versione filmica come Odissea Web, progetto realizzato con i materiali video delle prove da remoto prodotti nel corso del lockdown, da marzo a giugno 2020, e in seconda battuta come progetto radiofonico in dodici puntate su Cosmic Fringe Radio. Infine tra il 27 e il 30 luglio 2021 ha preso corpo come performance itinerante tra i due istituti di pena a bordo di un bus su cui, come su una nave, lo spettatore compie la propria odissea attraversando soglie e barriere prima di tornare al proprio presente. Vista la difficoltà di questo percorso sembrava giusto rivolgere alcune considerazioni proprio ai detenuti che hanno vissuto più di tutti tali avversità e complicazioni: uomini come Odisseo, segregati nell'isola di Ogigia, luogo separato e sospeso tra il mondo dei vivi e dei morti, lontani dalla propria patria e dalla propria famiglia.
Iniziamo da ciò che distingue un attore ossia l'arte di recitare. Non siamo di fronte a dilettanti benché non si possa nemmeno parlare di professionisti (nel senso di coloro che vivono di questo mestiere). Non si finge né si simula, si è. Si fa qualcosa con tutto il proprio essere senza l'intenzione di imitare qualcosa o qualcuno. L'intenzione tende a scomparire e a tramutarsi in tensione, non quella nervosa di chi non sa stare in scena ma quella positiva che elettrizza e cattura l'attenzione. Non vi è esposizione di un ego ma un lasciarsi attraversare dalle figure evocate, capaci quindi di raggiungere con forza l'occhio dell'osservatore. Facciamo alcuni esempi: il ragazzo che compie evoluzioni da ginnasta o da break dancer alterna virtuosismo e fatica, non fa altro che essere in questi due stati e in questa semplicità si esalta il dramma che incarna; l'uomo coperto di fango, compagno di Odisseo trasformato da Circe, nel suo far niente, nell'essere cioè nient'altro che una statua di fango immobile, esalta la trasformazione, fa sembrare il suo corpo qualcosa di alieno così come il suo tornare alla vita nel momento in cui Odisseo, con l'acqua, cancella il fango. Se a qualcuno venisse in mente che fare niente in scena sia semplice non conosce la difficoltà dell'agire e dell'essere attore. Fare niente, semplicemente stare, è forse la cosa più difficile da chiedere. Saperlo fare sotto gli occhi di qualcuno è qualcosa che si avvicina al virtuosismo. Un dilettante non lo saprebbe fare. Infine lo strazio nel grido di Polifemo − “Mi hanno accecato, padre punisci” − è qualcosa che sa toccare il cuore perché chi lo dice è in quelle parole, non le pronuncia perché scritte in un copione come parte dell'interpretazione di un personaggio ma si fa invece attraversare dalla voce che incarna e così facendo raggiunge l'orecchio del pubblico.
Questi sono solo alcuni esempi tra i molti che si potrebbero fare di questi momenti d'arte presenti in Odissea e agiti da attori che ci fanno dimenticare il loro essere dei detenuti, capaci quindi di stare sotto l'occhio del pubblico portando se stessi e le proprie storie nelle pieghe del personaggio e dando così forza alla maschera di cui si fanno portatori. Certo manca la tecnica, quella che un professionista acquisisce in anni di lavoro di bottega e di studio, ma l'atteggiamento e lo stare e l'essere in scena sono quelli di un interprete che sa che il suo lavoro non sta nel fingere o nel simulare ma nel far apparire.
Odissea è anche un attraversamento di luoghi, di soglie, di barriere. Quella principale è mentale tra chi sta dentro e chi sta fuori dal carcere. Ci si ricorda della pena, del reato, mai dell'uomo. Dietro le sbarre si confina ciò che non si vuole ricordare essere presente in tutti noi. Questi attori ci fanno dimenticare le barriere e sarebbe bello pensare che anche per loro, sulla scena, accada lo stesso. Paradossalmente a ricordarci dove siamo e cosa distingue chi guarda da chi agisce sono le guardie: seppur discrete sono una presenza, la cui divisa è l'unico costume a non essere di scena. Da ultimo questa Odissea del Teatro dei Venti è l'intrecciarsi delle storie di Odisseo e di Penelope, nella collisione e confronto tra l'odissea del viaggio e quella dell'attesa. Non è insolita questa versione. È nota fin dall'antichità. Nel 2019 Pino Carbone e Teatri Uniti proposero su questo tema un PenelopeUlisse alla Biennale Teatro diretta da Antonio Latella, ad esempio. Non è questo il punto. Non è l'efficacia delle idee che importa ma la necessità e l'utilità all'interno di un disegno narrativo e drammaturgico. In questo caso sorprende il finale in cui Penelope prende la scena e affronta Odisseo e le sue narrazioni. Ogni storia ha molte versioni. I greci e i loro miti conoscevano bene la natura della narrazioni. Nessuna più di Arianna ha avuto nelle storie destini, amori e morti diverse, in tutte però resta la Signora del labirinto. Penelope e Odisseo saranno sempre gli ingannatori, coloro che, protetti da Atena, vincono le difficoltà con la metis, la capacità di cogliere l'attimo adattandovisi. Teatro dei Venti ci ha fatto riscoprire proprio questo aspetto del mito: l'essere una pluralità di racconti dai finali mai scontati.
Innumerevoli altre cose si potrebbero dire di questo evento teatrale che impegna il pubblico per molte ore e in molti luoghi. Stefano Tè ci ha abituato alle imprese difficili, se non impossibili. Il merito che ha avuto in questa operazione sta soprattutto nell'aver reso realizzabile il viaggio tra la città e gli spazi di reclusione, attraversando soglie, isole e territori, incontrando visioni e pensieri. Certo ci sono difetti, ma non è la perfezione che importa. Nel teatro che si confronta con la realtà carceraria penso siano tre gli obiettivi primari: ricordarci l'umanità di chi viene recluso e generare il superamento in chi guarda di quell'atteggiamento buonista, borghese e benpensante, per cui anche i meno fortunati e coloro che sbagliano sanno fare delle cose buone. Ed in questo credo che Teatro dei Venti e Stefano Tè siano riusciti pienamente. Il terzo è il più complicato pregiudizio ed è proprio di chi osserva volendo giudicare con malizia e cinismo: il teatro-carcere serve a chi lo organizza più che ai carcerati. Su questo mi piacerebbe che rispondessero proprio gli attori che abbiamo potuto vedere sulla scena, a Modena e Castelfranco Emilia. Penso che nessuno oltre loro possa arrogarsi il diritto di poter sentenziare sulla questione, per cui concludo queste riflessioni con un invito a loro affinché ci facciano pervenire i loro pensieri su ciò che ha significato il contatto con il teatro nella dimensione carceraria.
Spero con tutto il cuore che questo invito possa essere accolto.

 

 

Odissea
regia
Stefano Tè
con
Alice Bachi, Vittorio Continelli, Giuseppe Pacifico, gli attori e le attrici delle Carceri di Modena e di Castelfranco Emilia, attori e allievi attori del Teatro dei Venti
costumi Beatrice Pizzardo, Teatro dei Venti
allestimento Teatro dei Venti
drammaturgia Vittorio Continelli, Massimo Don, Stefano Tè
assistenza alla regia Massimo Don
produzione Teatro dei Venti
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Progetto Freeway
foto di scena Chiara Ferrin
durata 3h 30'
in scena dal 27 al 30 luglio 2021
Castelfranco Emilia (MO) e Modena, Carcere del Comune di Modena, Carcere del Comune di Castelfranco Emilia e Teatro dei Segni, 27 luglio 2021

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