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Saturday, 19 December 2020 00:00

“Self-made” e il riscatto della donna

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Lo dico subito: Self-made: la vita di Madam C. J. Walker non è un prodotto qualitativamente alto, non ne ha la pretesa, ma ha il pregio di raccontare una storia, vera, di un personaggio che ha costruito da sé la sua fortuna e che ha speso il suo tempo a combattere anche per gli altri. E lo ha fatto da donna.

La miniserie di quattro puntate si basa sulla biografia On Her Own Ground di A’Lelia Bundles, pro-pro nipote della protagonista, ed è grazie a lei se il suo esempio di donna rivoluzionaria è giunto sino a noi. Quanto segue è frutto di lettura e visione, in un intreccio di realtà e (poca) finzione.
“I capelli sono potere”.
Sarah Breedlove nasce il 23 dicembre 1867 a Delta, in Louisiana. Quinta di sei figli, i genitori e i fratelli lavoravano come schiavi in una piantagione, nasce libera, cinque anni dopo il Proclama di emancipazione di Abramo Lincoln (il primo ordine esecutivo è del 1862) che decreta di fatto la liberazione degli schiavi dai territori degli Stati Confederati d’America. Lo schiavismo diventa fuorilegge il 18 dicembre 1865.
Sarah vive in una baracca di legno con la famiglia facendo lavori umili fino ai sette anni. La madre muore nel 1872 forse per colera e il padre non molto dopo. Rimasta orfana, viene accolta dalla sorella maggiore e dal marito, il quale la maltratta. Si sposa all’età di quattordici anni per fuggire da una situazione da incubo e partorisce la sua unica figlia. A venti anni rimane vedova e si trasferisce a St. Louis (1882). Qui inizia a lavorare come lavandaia e incontra John Davis e rimane con lui fino al 1903. Il resto, in parte, si ritrova nella serie Netflix anche se con uno sfasamento di date.
Siamo nel 1908 a St. Louis. Sarah Breedlove (Octavia Spencer) è una lavandaia “venuta al mondo per lottare”. Lava e strofina tutti i giorni fino a sanguinare, per pochi spiccioli. Il marito, un uomo violento amante dell’alcool, uscito dal carcere la abbandona. Sarah non è una bellezza, ma il suo aspetto è peggiorato a causa della perdita di capelli: è ormai quasi calva a causa della situazione igienica precara, sembra “un cane rognoso” così si nasconde sotto foulard colorati.
Alla sua porta bussa Addie Monroe (Carmen Ejogo) con la sua crema magica che rinfoltisce i capelli ed è un toccasana per altri problemi legati al cuoio capelluto. La crema fa davvero miracoli e i capelli di Sarah ricrescono. Riacquistata la fiducia in sé stessa, libera di sfoggiare la sua chioma, Sarah si propone a Addie come venditrice del suo prodotto perché perfetto esempio delle proprietà della crema. Essendo poi nera, ha certamente più appeal sulle altre donne nere cui il prodotto è destinato, non essendo adatto a ogni tipo di capello. Addie non accetta e Sarah prende di nascosto alcuni vasetti riuscendo a venderli tutti grazie alla sua storia, diremmo oggi un ottimo esempio di storytelling che fa leva su un disagio profondo della comunità a cui si rivolge e offre un aiuto valido. Conosce i bisogni e offre appagamento.
Tornata da Addie con i soldi delle vendite, la reazione della donna è dura e offensiva: “Perfino con il vestito buono della domenica sembri appena uscita da una piantagione”. Nella realtà Sarah viene assunta come agente di vendita da Annie Malone mentre la serie se ne distacca per creare dramma, mostrare con più forza il disprezzo nei confronti dei neri. Nel frattempo Sarah incontra un altro uomo, J. C. Walker (Blair Underwood), un pubblicitario che diventa suo terzo marito stando alla biografia, e decide di creare una sua crema infoltente e vendere per conto proprio. Si trasferisce a Indianapolis, nella realtà si trasferisce qui dopo aver vissuto in altre città, con il compagno, la figlia Lelia (Tiffany Haddish), il nuovissimo marito John e il padre di C. J. (Garrett Morris) per iniziare la produzione della crema in casa. L’inaugurazione del salone casalingo che non vede la partecipazione di alcuno non la scalfisce. Torna in strada come la prima volta per raccontare la sua storia e questa volta veniamo a conoscenza di qualche elemento in più sulla sua infanzia. Sarah comprende bene che l’aspetto fisico ha grande importanza per la rispettabilità di una persona in società, per riuscire ad accedere a lavori e servizi altrimenti preclusi, e che bisogna fare comunità, aiutarsi, elevare una razza perché “se lei è bella lo siamo tutte noi”.
L’impresa si rialza ma il rapporto tra Sarah e C. J. comincia a incrinarsi: lei sogna in grande, è risoluta, autoritaria. C. J. si sente ferito nella sua virilità, viene meno il ruolo dell’uomo che mantiene la famiglia; come gli dirà il padre “un uomo che si rispetti deve essere autonomo, specie se è nero. Non devi prendere mai i soldi da dove prendi lo zucchero”.
In città si trasferisce anche Addie Monroe e apre il suo salone dando inizio a una nuova contesa tra le due donne che viene resa, nella serie, attraverso brevi scene che interrompono la narrazione in cui le due si affrontano su un ring. Un elemento superfluo che sembra più voler movimentare un racconto per forza di cose lineare e senza colpi di scena e stravolgimenti che però banalizza un discorso che avrebbe meritato più spazio.
Con l’incendio della parte della casa utilizzata come fabbrica lo sconforto cresce ma Sarah non si demoralizza. Cerca investitori per acquistare un locale più ampio ma incontra non poche difficoltà. Cerca dunque di prendere contatti con Booker T. Washington e parlare alla convention degli imprenditori neri.
La mancanza di contesto storico e di approfondimento mi spinge a un breve excursus su Booker Taliaferro Washington. Nasce schiavo da madre nera e padre bianco, che non si è preso mai cura di lui. Grazie agli studi diventa presidente del Tuskegee Institute e importante leader per la comunità afroamericana, di lui si diceva fosse un americano alla Casa Bianca. Si è battuto per la sua comunità, per l’ingresso nella società dei neri attraverso il lavoro. Famoso il suo Compromesso di Atlanta di cui la serie riporta un piccolo stralcio ma forse quello maggiormente significativo. Suo soprannome è “l’Accomodatore” perché ha sempre cercato di non arrivare allo scontro con i bianchi. Salta all’occhio l’utilizzo del termine separazione quando bisognerebbe parlare di unione: l’accordo prevede per i neri la segregazione e quindi la separazione sociale e urbana tra bianchi e neri, la rinuncia al diritto di voto e l’istruzione di base gratuita di tipo professionale e industriale.
Tornando alla serie, John, il marito di Lelia, incontra in città Addie che lo invita nel suo salone e lo spinge rivelarle i progetti di Sarah in cambio di soldi: lui, rancoroso nei confronti della famiglia che lo ha accolto e che lo reputa un buono a nulla, cede alla richiesta di Addie. C. J. riesce a ottenere tre biglietti per la convention di Booker e Sarah, unica donna, partecipa ma non riesce a fare il suo intervento in favore del suo progetto e spinge il marito a invitare Booker a cena ma nel pieno della festa in suo onore Sarah capisce che qualcosa non è andato nel verso giusto. Durante la seconda convention Sarah sale sul palco e tiene il suo discorso grazie al sostegno delle altre donne, mogli degli imprenditori presenti: anche in questo caso la forza di Madam sta nella capacità di colpire al cuore del problema, quello dell’identità, dovuto anche a una situazione che vive in prima persona. Le donne vengono relegate in cucina perché giudicate inferiori e adatte solo alla cura della casa e dei figli e come accompagnatrici al braccio in occasioni pubbliche. Sia Booker che gli uomini neri vogliono alzare il proprio rango e farsi riconoscere in quanto uomini con gli stessi diritti e le stesse capacità, ma la condizione delle donne non fa parte della loro rivoluzione. Ogni tentativo di far valere la propria dignità veniva messo a tacere e considerato uno sfogo, quasi un’isteria. Nere o bianche, le donne erano quasi orpelli da mostrare; le nere qualche gradino sotto.
Questa visione delle cose acuisce la distanza tra Sarah e C. J. in quanto “è l’uomo che decide” ma Sarah non si piega. La distanza e le discussioni portano C. J. al tradimento.
Grazie all’aiuto economico delle altre donne della comunità apre la sua fabbrica e dà lavoro a tantissime agenti. Ma ancora non le basta: vuole aprire saloni in tutto il Paese e dare la possibilità a tantissime donne di essere autonome e di guadagnare uno stipendio dignitoso. Per lanciare la nuova linea, C. J. inventa la “ragazza Walker” ovvero la ragazza Gibson nera: si tratta del primo standard di bellezza degli Stati Uniti ma non incarna l’ideale di Madam. Tutte sono belle per la loro unicità e non devono somigliare a nessuno standard, specialmente se questo richiama gli ideali dei bianchi.
Se nel primo episodio troviamo le scene sul ring, negli altri ritroviamo il tema del sogno: per esempio quando Madam porta gli investitori a visitare il posto che vorrebbe acquistare e trasformare in fabbrica,  mentre spiega come desidera il progetto si immagina ragazze in divisa che ballano tra i clienti o ancora la ragazza Walker che appare quasi come un fantasma. Questa idea ho pensato potesse provenire da un aneddoto che ho ritrovato nella sua biografia: nel raccontare la sua storia per vendere la crema, Sarah era solita dire di aver sognato un uomo nero che le indicava gli ingredienti da utilizzare per creare il prodotto giusto. Che sia un omaggio a questa particolarità della storia − ma ne dubito − o meno sicuramente è un goffo tentativo di rallegrare ancora una volta la narrazione che non eccelle neanche nella recitazione e nulla può la stessa Octavia Spencer, poco espressiva.
Nuove difficoltà, intrighi e il divorzio non fermano l’ambizione di Madam che si prepara ad aprire nuove sedi. La figlia avrà il suo salone ad Harlem dopo aver lasciato il marito e adotterà una giovane donna a cui è morto da poco il padre, per aiutare la madre e i suoi numerosi figli. Sarah, malata, vuole organizzare una convention con tutte le agenti di vendita e lo fa nella sua nuova villa, di fianco a quella di Rockefeller.
Ne consiglio la visione se interessanti a scoprire la storia di Madam C. J. Walker, non avendo a disposizione la biografia tradotta, e passare qualche ora con leggerezza. Spunti di riflessione potrebbero essercene ma è tutto trattato con superficialità e spesso calcando la mano per suscitare empatia, per esempio nel raccontare la relazione della figlia con una ragazza. All’inizio Sarah non approva organizzando a Lilia incontri con uomini facoltosi, ma dopo la notizia della sua malattia comprende l’importanza della libertà di scelta. Nella realtà la figlia avrà altri matrimoni con uomini e nello stesso tempo relazioni con delle donne, senza che questo si rilevi d’intralcio al rapporto o alla carriera della madre.
Ciò che non vien fuori dalla narrazione rendendola quindi manchevole e molto centrata sui soldi e sul rimarcare come la Breedlove sia stata la prima donna milionaria ad aver costruito la sua fortuna senza aiuti, è la sua filantropia. Oltre a essere membro e patrocinatrice di molte associazioni, aiutò economicamente tanti giovani neri del sud sostenendone la formazione. Fu a fianco di Booker e del Tuskegee Institute. Non smise mai di aiutare e lottare, fino alla morte avvenuta a cinquantuno anni. Una donna che si è fatta da sola e che ha aiutato tante a credere in se stesse, a spingere per un riconoscimento identitario dei neri e in particolare delle donne. Una femminista, anche.





Self-made: la vita di Madam C. J. Walker
regia
Kasi Lemmons, DeMane Davis
soggetto
A’Lelia Bundles
sceneggiatura
Nicole Jefferson Asher, A’Lelia Bundles
con
Octavia Spencer, Kevin Carrol, Carmen Ejogo, Tiffany Haddish, Garrett Morris, Blair Underwood, Sidney Morton, Mark Taylor, J. Alphonse Nicholson, Bill Bellamy, Zahra Bentham, Mouna Traoré
fotografia Kira Kelly
montaggio Kathryn Himoff
musiche Larry Goldings
produttori DeMane Davis, Eric Oberland, lena Cordina
casa di produzione SpringHill Entertainment, Orit Entertainment, Wonder Street, Warner Bros. Television
distribuzione Netflix
paese Stati Uniti d'America
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2020
durata 4 puntate da 45 min.

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