“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 04 August 2020 00:00

La scomparsa del genere umano

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L’argomento ha a che fare non col romanzo di Guido Morselli – che peraltro consiglio per le oculate citazioni – ma con la non ancora sufficientemente dibattuta questione del perché il genere umano non intenda lasciare che il genere umano scompaia. Ci si chiede, insomma, perché venga opposta tanta resistenza all’autodistruzione.

Che il genere umano intenda scomparire è fatto che appare incontrovertibile, a danno di qualsivoglia affanno di prova contraria. Si citi, a mero titolo di esempio, il fatto che esso annoveri – sempre più numerosi fra i suoi membri – individui che irridono le malattie contagiose, negandone in alcuni casi la stessa esistenza. Essi formano schiere che si riuniscono in appositi convegni, i quali vorrebbero avere il medesimo status di manifestazioni per la difesa delle minoranze, per la tutela della democrazia, per la libertà dei costumi sessuali, o per la libertà punto.
La questione è il perché. Una prima ipotesi è che tale irrisione possa essere inconscio metodo per esorcizzare la malattia stessa, la sofferenza, in ultima istanza la morte. Eppure, a detta di quelli che studiano il morbo (quello virale, non quello mentale), il contegno sopradescritto coltiva la malattia, attrae la sofferenza, moltiplica la morte. Ne seguono critiche appassionate di virologi, sociologi, psicologi, a mio parere inspiegabili, dato che i testé citati professionisti non dovrebbero ignorare la sana e immane tendenza all’autoestinzione del genere umano. Ben prima dell’elaborazione del Manifesto del Futurismo – che al punto 9 riporta una non meglio identificata glorificazione del “gesto distruttore dei libertari”, assieme alla guerra igiene del mondo – era apparso chiaramente che il genere umano intendeva raggiungere senza troppi giri di parole il suicidio.
In questo, poi – è da dire – si delinea una splendida tendenza egualitaria nell’autoeliminazione, infatti a nessuna frazione umida della vita terrestre si nega la partecipazione attiva e passiva al processo: ricchi, poveri, bianchi, neri, uomini, donne, credenti, atei, adulti, minori godono dello stesso privilegio finale – essendo variabile solo il mezzo col quale raggiungerlo. I benestanti si uccidono con i farmaci, i poveri con la di essi indisponibilità. I bianchi con la guerra, i neri con la fame. Gli uomini con le auto, le donne con la chirurgia estetica. I credenti con il sorriso, gli atei con il dubbio. Gli adulti con il voto, i minori con le radiazioni ionizzanti. Ognuno ha trovato il proiettile che cercava e va ad accucciarsi nel suo angolo preferito, a trastullarsi con l’idea di fargli raggiungere la propria tempia.
Si osserva anche una curiosa convergenza dei libertari e degli intolleranti, sul punto dell'autodeterminazione alla morte. Anarchici a fiorellini e leghisti in verdone si dimostrano entrambi insensibili agli effetti che le proprie abitudini provocano verso quella strana gente che, invece, intende sopravvivere.
Sopravvivere, ma poi come. Nel dopo-Futurismo, cioè nel futuro, con mezzi tecnologicamente sempre più avanzati, l’uomo si annienta sorridendo: installa antenne che diffondono il segnale Internet, propagano utilissime vignette denominate “meme” e consentono a quote sempre più ampie della popolazione l’accesso al cancro. Costruisce ordigni nucleari che lentamente uccidono nemici e amici. In tempo di pace, più amici che nemici. Sono solo esempi, che chiunque può arricchire con casi di sua conoscenza.
Ci si chiede, qui, perfino se valga la pena di indagare le ragioni di tale istinto. Prende consistenza il sospetto che l’uomo, nei momenti di pericolo imminente, cerchi di sopravvivere ma poi, quando ne è al riparo – annoiato dalla propria presenza – non faccia altro che invocarlo.
Uno degli autori più lucidi del secondo Novecento scrisse: “Si desidera la morte solo nei malesseri vaghi. La si rifugge al minimo malessere preciso” (Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973). Dunque, a ben indagare, le spiegazioni forse ci sono. Che sia giunto allora il momento di smetterla di resistere?
Si badi, qui non si invoca il sovrannumero della popolazione a giustificazione alla desistenza. Si tratta piuttosto di assecondare l’istinto dell’animale volontario che il bipede ex-sapiens configura. L’uomo è tale perché è tale. Perché educarlo? Perché contravvenire alla sua natura? Cosa vogliamo, diventare improvvisamente saggi? Tornare sapiens? Proprio ora che il cinema offre solo noia, la letteratura banalità, la musica strazio? Ora che c’eravamo arrivati, vogliamo tornare indietro? Il bello è alle nostre spalle. Davanti abbiamo solo il bullo.
Il Faust di Sokurov dice: “Ognuno sa esattamente cosa lo porterà all’inferno”. All’inferno è finito ogni illuminato imperatore e ogni schiavo. Sono morti tutti i sacerdoti immorali e i profeti immortali. È morto Socrate. Sono morti perfino Dante, Shakespeare, Bach. Capite? Può succedere di tutto. Tutto è già successo. Per tutti noi minuscoli operatori dell’esistenza, è solo questione di tempo e, per larghe fette di umanità, verrà minor danno che da quelli. Non affannatevi quindi a smascherare gli smascherati, curare gli incurabili, sanare gli insanabili. Smettetela di resistere. Lasciate fare. Lasciamo andare.

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