“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 16 April 2020 00:00

“Blow-up”: una riflessione sulla società dell’immagine

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Se le immagini rappresentano l’essenza di tutto il cinema, vi sono però film che palesano più di altri una riflessione sul loro statuto teorico e Blow-up (1966) di Michelangelo Antonioni è sicuramente tra questi.

È la centralità dei rapporti tra soggetto e immagini, tra soggetto e pratica fotografica e sua manipolazione a rendere tale pellicola di estrema attualità ed è a partire da tale convincimento che Davide Persico, nel suo Blow-up e le forme potenziali del mondo (Mimesis 2020), decide di analizzare il film attraverso una prospettiva ermeneutico-decostruzionista con il fine di evidenziare come questo operi una riflessione su concetti filosofici e teorici come quelli di illusione, falso, allucinazione e percezione.
A partire dall’analisi di tale opera, e in particolare della celebre quanto misteriosa sequenza del Maryon Park, lo studioso intende, inoltre, proporre una riflessione più generale sullo sguardo – e sul suo modificarsi all’interno della filmografia di Antonioni –, dunque fornire un’interpretazione generale della società dell’immagine.
Persico non vede nell’immagine filmica un prodotto diretto o il disvelamento del reale ma un’immagine simulacro che, in quanto tale, “perde e rimuove la propria origine, producendo al contempo senso, e si attesta come una forma interpretativa del mondo, che rielabora e riconfigura il tempo, evoca i fantasmi e crea illusioni ed enigmi. [...]. È un’immagine che si autointerpreta e auto-decostruisce all’interno delle proprie strutture apparentemente durature, ma in realtà potenzialmente fragili; così come viene oggettivato da Blow-up”.
Nell’analizzare il testo filmico, lo studioso si sofferma sui meccanismi significanti attivati, sulle dinamiche di senso emergenti, sullo spazio come configurazione allucinatoria e proiezione fantasmatica, per giungere ad una più generale riflessione sul problema dell’immaginario inteso come “luogo di sguardo sul visibile che supera e travalica i confini molteplici (fisici e simbolici) dell’immagine, riallacciandosi al problema del simulacro e a tutti i nodi problematici che esso solleva”.
L’analisi si sofferma anche sulla “de-umanizzazione della città” messa in scena dal film, di quella Swinging London tratteggiata attraverso la disseminazione di mimi, modelle, musica rock e moda. È a questi elementi pop che, nel film, spetta il compito di identificare geograficamente, storicamente e simbolicamente la città britannica. La Londra messa in scena da Antonioni appare fortemente de-umanizzata: i personaggi risultano spesso privi di parola e di interazione sociale, tanto che in molti casi sembrano limitarsi a far parte del fondale. Ad eccezione dei pochi personaggi che interagiscono con il protagonista, sottolinea Persico, l’intero film sembra essere costruito sulla solitudine e sulla necessità di riconfigurare un orizzonte interattivo attraverso una comunicazione non verbale ma simbolica, semiotizzata, immaginaria.
“Il modo così alterato e ambiguo con il quale Antonioni presenta Londra, è tutto legato alla configurazione di un conflitto tra modi di guardare e percepire il visibile e quindi il paesaggio nella suo farsi immagine. Ma non solo. La molteplicità percettiva produce di conseguenza più immagini, più visioni e più interpretazioni di mondi possibili, che implica il ripensamento del mondo stesso, inteso sia come luogo di percezione fluida che produce relazioni tra diversi punti dello sguardo, che come costruzione urbana diegeticamente reale, o perlomeno accettata. Il film così come è costruito riesce a proporre un sottotesto carico di idiosincrasie, di aspetti poco sviluppati, di caratteri certamente ambigui che sfociano in un’alterazione forte di quello che possiamo considerare un mondo immediato, e diventa allo stesso tempo allucinazione percettiva del reale e dell’immaginario”.
Il carattere de-umanizzato della città in Blow-up è presente in maniera inedita rispetto alle altre prove del regista in cui insisteva piuttosto sull’oppressione architettonica. In questo film il soggetto diventa una sorta di flaneur che si muove “in un mondo da un lato dominato parzialmente dai segni linguistici e che contemporaneamente nega questi segni, cercando di rimuovere questa semiotizzazione forte, in funzione di un occultamente della cosa iscritta nello spazio. [...]. È una perenne trasformazione della forma e una formalizzazione assoluta dell’oggetto, che assume di volta in volta una nuova immagine, sempre diversa”. Si palesa così “un conflitto di immagini del mondo frammentato”. Secondo Persico il film configura “una sorta di doppia articolazione significante che mostra la dualità dello spazio urbano e del mondo stesso” che accresce il carattere molteplice del protagonista. “È un processo di forte costruzione del soggetto ermeneutico, soggetto che pone esplicitamente come proprio obiettivo esistenziale quello di conoscere, interpretare e decostruire l’universo ipertrofico in cui è collocato e gettato storicamente”. Così, il protagonista interpreta e decostruisce il mondo tentando invano di instaurare con esso rinunciando alla propria soggettività. “Il soggetto sparisce e resta solo il mondo, o comunque un mondo potenziale senza niente al proprio interno. Esso può essere riempito solo con materiale di natura psichica e allucinatoria. Ed il soggetto, Thomas per l’appunto, ricambia continuamente il suo ruolo diegetico e simbolico, anche alla fine del film, riaffermando il proprio discorso sullo sguardo, sulla sua istanza produttrice e sulla propria funzione di sguardo. [...]. Ciò che rimane è l’assenza, che è la condizione fondamentale del mondo e dell’immagine, oltre che del cinema. [...]. Se non ci fosse assenza non ci sarebbe l’immagine, perché vedremmo solo l’orizzonte del reale, e non ci sarebbe bisogno di un sostituto, di un simulacro della realtà. Ma da questo punto di vista cosa rimane in Blow-up, se non l’immagine del mondo, visto che il soggetto ha perso la propria immagine a vantaggio dell’accettazione di un’altra realtà possibile, di un altro visibile tutto da ricostruire?”.





 

 

Davide Persico
Blow-up e le forme potenziali del mondo
Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2020
pp. 158

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