“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 14 December 2019 00:00

Ken Loach e i ladri di pistolette

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Se una nuova coppia Zavattini/De Sica volesse rifare Ladri di biciclette probabilmente ambienterebbe il film nel mondo dei rider, quelli che su due ruote si scapicollano sulle strade delle nostre città per consegnare pasti caldi, elettronica d'avanguardia o pacchi di libri sui danni dell'elettronica d'avanguardia e della gig economy.

A pensarci bene, una cosa del genere l'aveva già fatta Wang Xiaoshuai con Le biciclette di Pechino, un film che nel 2001 vinse, a Berlino, l'Orso d'argento, e a ripeterla oggi in Europa si rischierebbe di scadere nel solito citazionismo autocompiaciuto. La tentazione rimane forte, perché papà Antonio Ricci e il figlio Bruno non sono solo i protagonisti di un capolavoro del cinema, ma archetipi umani che trascendono la contingenza economica del dopoguerra italiano. Però sono anche l'incarnazione ciclica di onde e riflussi dell'economia globale ed era prevedibile che l'artista europeo capace di riscrivere Ladri di biciclette senza i calligrafismi della riscrittura intellettualistica – anzi con la sua consueta luce grigia, le inquadrature traballanti, i campi medi dei reportage televisivi, gli interni squallidi e gli esterni ancor più squallidi dei sobborghi di Londra – sarebbe stato Ken Loach. Lo ha fatto con Sorry We Missed You, frase tratta da una cartolina di nessun parente: è il biglietto che la ditta di consegne a domicilio lascia sotto la porta quando la trova chiusa.
In uno di questi bigliettini, la figlia del protagonista, che un giorno va a lavorare con papà, scrive un messaggino spiritoso. Provocherà un reclamo del cliente e successivo richiamo al dipendente da parte dei superiori. Ma questo è nulla rispetto al crescendo di inciampi e capitomboli che la sceneggiatura dello Zavattini fidato di Loach, Paul Laverty, ordisce per un centinaio di minuti. Fino al finale che non riveliamo, ma che scatta (spoiler alert!) dopo il danneggiamento del sacro aggeggio, oggetto di venerazione dei superiori, ossia il pad elettronico dove si registrano le consegne, che in gergo, a quanto pare, da quelle parti chiamano "pistola". La reazione di Ricky al furto violento della pistoletta chiude l'arco narrativo come una specie di cappio al collo. È un po' come nel famoso finale di Ladri di biciclette, di cui Suso Cecchi D'Amico (nome fra i tanti del mucchio selvaggio che firmò quella sceneggiatura) andava giustamente fiera, dicendo di esserselo inventato durante le riprese.
Questo nuovo Antonio Ricci inglese, dal nome vagamente somigliante, Ricky, insieme alla moglie Abbie, che lavora come badante, diventa più grande di quel che è proprio nel suo rapporto con l'ambiente familiare più che in quello lavorativo. Disoccupato in epoca di crisi, deve reinvestire su stesso come i giovani choosy non sarebbero più disposti a fare (tanto per rivangare una vecchia polemica italica di cui non si sentiva il bisogno). Quindi compra un furgone (perché lui non è un operaio, è imprenditore di se stesso) e va a lavorare per pagarlo, il furgone. Con quel che avanza si paga il lesso.
Choosy viene da choose, ma lui ha poca scelta, proprio perché di figli ne ha due, un ragazzo e una bambina, e soprattutto l'adolescente dà qualche problema che accelera l'azione come i film d'azione spesso non sanno fare. Ed è proprio nel tentativo di restare sempre umani nel confronto con la moglie e i figli, in contesti in cui spesso non solo nel cinema, ma ormai in tutta l'informazione, dilaga la figura del padre padrone ebbro e violento, che l'opera di Loach manda a segno il suo match point decisivo. Ricky e Abbie si scoprono genitori fragili non perché persi nell'alcol e sviliti dalla povertà, ma proprio perché non accettano, come genitori, lo svilimento della povertà. E questo dà a film una marcia forse inattesa.
Nelle sabbie mobili del quotidiano, in cui si affonda neanche tanto lentamente, c'è ancora tempo per una cenetta indiana take-away, parentesi di pace gastronomica, interclassista come l'i-Phone visibile in più di un'inquadratura, che a qualcuno forse ricorderà la celebre mozzarella in carrozza del piccolo Bruno e del suo papà Antonio Ricky, ops... Ricci.






Sorry We Missed You

regia Ken Loach
con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor
sceneggiatura Paul Laverty
fotografia Robbie Ryan
montaggio Jonathan Morris
musiche George Fenton
scenografia Fergus Clegg
costumi Jo Slater
trucco Anita Brolly
produttore Rebecca O'Brien
produttore esecutivo Eimhear McMahon
produzione Sixteen Films, Why Not Production, Wild Bunch, BFI, BBC Films, Les Films du Fleuve, France 2 Cinéma
distribuzione italiana Lucky Red
paese Regno Unito, Belgio, Francia
colore a colori
lingua originale inglese
anno 2019
durata 101'

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