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Friday, 30 August 2019 00:00

Anyone Can Do It! – Do It Yourself!

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Il saggio di Giovanni Catellani La filosofia dei Sex Pistols. Chiunque può farlo, fallo tu stesso! (Mimesis 2019) prende il via dallo storico concerto tenuto dalla band londinese alla Lasser Free Trade Hall di Manchester il  4 giugno del 1976, quando “quattro ragazzi arrivano sul palco per un concerto che è un conglomerato di incapacità tecniche e approssimazione, ma succede qualcosa. Un evento”.

È a partire da quel “concerto-evento” che si sviluppano le riflessioni dell’autore a proposito “di rivoluzione e futuro, di rivolta e tempo sospeso, di corpo e sfrontatezza, cercando di cogliere e sottolineare concetti e possibilità concrete, a partire proprio dall’esperienza dei Sex Pistols”.
Quello di Catellani si propone come un libro di filosofia sui Sex Pistols perché, afferma l’autore, è possibile ritenere “che siano stati un evento, che abbiano liberato concetti, che con loro, con quel concerto e i loro pochi dischi, con il loro unico Never Mind the Bollocks, si sia propagata la possibilità di una differente soggettivazione”.
Scrive Massimiliano Guareschi nel suo Gilles Deleuze popfilosofo (Shake, 2001) che occorre “sottrarre la filosofia ai territori dell’ufficialità, del legittimamente stabilito [per] farla transitare nella nebulosa turbolenza della creazione singolare, dell’uso sregolato delle facoltà, dell’affermazione vitalista contro i poteri, e i pensieri stabiliti. La filosofia come lingua minore: ecco la pop filosofia. La filosofia come macchina da guerra di una banda, di una tribù, di una minoranza (rocker, b-boy, punk della filosofia): ecco la pop filosofia”. Riprendendo queste parole Catellani sostiene che esattamente come il pensiero del filosofo francese “ha lavorato e continua a lavorare sottotraccia, appena sotto lo strato superficiale della terra, senza mettere radici, in una serie di concatenamenti inesauribili”, altrettanto si può dire di quel fatidico concerto del 4 giugno 1976. “Un big bang dal quale è nato un universo in espansione, senza radici ma con molteplici effetti”.
Quel giorno d’estate di metà anni Settanta, sul palco a Manchester salirono in quattro e se soltanto uno sapeva suonare, nessuno sapeva cantare. Eppure i suoni e le parole di Glen Matlock, Paul Cook, Steve Jones e Johnny Rotten risultarono capaci di trasmettere elettricità, energia e caos in quantità.
Catellani si chiede anche quanto sia corretta l’etichetta nichilista spesso appiccicata al gruppo. “Se ai Sex Pistols si vuole associare il nichilismo quale volontà di mettere le mani in pasta per contestare un sistema di valori, l’accostamento può avere un fondamento, ma se si vuole sostenere che i Pistols erano nichilisti perché non credevano nel futuro o ne negavano ogni prospettiva, allora la questione è più problematica e l’esito è differente. Perché l’evento Sex Pistols ha in realtà aperto a un tempo nuovo: presente che si riverbera nel suo diventare futuro. Dopo i Sex Pistols, grazie ai Sex Pistols, un futuro c’è stato”.
Non a caso, afferma l’autore, in God Save the Queen al ritornello che scandisce martellante “No future no future / No future for you / No future no future / No future for me” fa da contraltare un altro passaggio in cui la gracchiante voce di Johnny Rotten scandisce perentoria: “When there’s no future / How can there be sin / We’re the flowers in the dustbin‘ / We’re the poison in your human machine / We’re the future your future”. Dunque l’autore si sofferma sul tempo dei Pistols, sul loro presente-futuro, intravedendo in essi una “linea di fuga” capace di indicare “nuove possibilità per una nuova soggettività”.
Ed alle domande Cosa posso? Cosa so? Cosa sono? il punk, sostiene l’autore, ha risposto in modo nuovo: Posso farlo anch’io... So che posso farlo... Sono uno che può farlo... “Il punk crea in tal senso un nuovo concetto e una nuova soggettività. ANYONE CAN DO IT! – DO IT YOURSELF! Sono due ingiunzioni che costituiscono il concetto manifesto del punk”.
È in questo senso che i Sex Pistols hanno una portata filosofica. Se si riprende la definizione di filosofia proposta da Deleuze-Guattari – “la filosofia è l’arte di formare, di inventare, di creare concetti” – allora i Sex Pistols “rappresentano un qualcosa che si ripropone nel tempo per permetterci di dare nuove risposte a vecchie domande”.
Circa il portato rivoluzionario del gruppo, scrive l’autore che in effetti essi, nei fatti, sono stati una “rivoluzione rispetto a regole da sovvertire, perché in qualche modo, quelle regole, imbrigliavano una possibile creatività. Una rivoluzione che rivela qualcosa di nuovo rispetto al tempo in cui si verifica”.
“I Pistols sono un segno concreto di ciò che può rideterminare la soggettività nel farle scoprire nuove possibilità esistenziali. Nel caso del punk, attraverso il fare musica, il fare fanzine, il fondare case discografiche indipendenti, più in generale il liberarsi da convenzioni che imbrigliano la vita, il rideterminare la soggettività come qualcosa che non sempre è governabile. I Pistols hanno rappresentato un evento frutto di un concatenamento particolare che caratterizza la storia ripetendosi attraverso il divenire. Non ha importanza che siano stati effettivamente dei rivoluzionari o [...] dei ribelli: possono essere comunque collocati in un divenire rivoluzionario che attraversa movimenti e differenti eventi storici”.
E se da un lato il gruppo non ambiva ad una rivoluzione – inevitabilmente legata a “un’idea del futuro che loro non avevano, nel senso che non volevano cambiare la società” – ma ad una semplice rivolta, resta il fatto che “rivoluzione è effettivamente stata per i suoi effetti”.
L’autore indaga, a proposito dei Pistols, il rapporto tra la rivolta e il tempo in cui questa accade. Il “No future” a cui fa riferimento la band “è in realtà un tempo che continua ad accadere, e che ogni giorno continua a dar vita a nuovi stimoli attorno a noi. È in questo tempo sospeso, che continua ad accadere, che troviamo l’incrocio tra due punti di vista: quello della band, i Sex Pistols, e quello degli spettatori dei loro concerti, così come quello di tutti coloro i quali hanno recuperato la forza di quell’evento attraverso i suoni e le parole che lo hanno descritto”.
Insomma, sostiene lo studioso, è proprio urlando “nessun futuro” che la band londinese ne ha creato uno. Essi hanno trasformato “il negativo del nichilismo” in “affermazione di possibilità”. E per spiegare ciò Catellani riprende l’affermazione del grafico del gruppo Jamie Reid: “Il punk era verità dissimulata dall’inganno. Celando deliberatamente i propri sentimenti – per paura di essere incastrati e perché erano il prodotto di un movimento che ripudiava il sentimentalismo – i Sex Pistols dispensavano ottimismo travestito da cinismo e liberavano potenti emozioni dietro un’apparenza vacua e sarcastica”.
Ad essere presi in esame nel libro sono anche i rapporti del gruppo con il corpo, percepito dal punk come “luogo di resistenza contro determinate regole d’intangibilità”, e con la politica. In questo ultimo caso l’anarchia urlata dalla band mostra il suo lato politico nella “possibilità di rideterminare la soggettività attraverso una risata sfrontata”.
Quel 4 giugno 1976, all’uscita dal concerto alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, quando la frase “ho pensato che anch’io potevo riuscirci. È stato assolutamente fantastico, uno di quei momenti che ti cambiano la vita” ha attraversato la mente di tanti ragazzini lungo le vie della città, è stato chiaro che quello a cui avevano appena preso parte era stato un evento i cui effetti non sarebbero svaniti velocemente.





Giovanni Catellani
La filosofia dei Sex Pistols. Chiunque può farlo, fallo tu stesso!
Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2019
pp. 122

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