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Monday, 10 June 2019 00:00

Il male ha un nuovo eroe, forse

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Da che esiste l’uomo esistono il bene e il male e quando quel male è troppo grande per essere affrontato dalle persone comuni, ecco che dal nulla spuntano i nostri salvatori: i supereroi. Alieni, mutanti, divinità, da un decennio sono i personaggi dominanti sugli schermi dei cinema di tutto il mondo, portando speranza e guarendo le ferite che le legioni del male cercano di distruggere.
Diamo per scontato, da sempre, che i supereroi − e in particolare quelli dotati dei poteri più grandi − siano i buoni.

Ma se non fosse sempre così, se, per una volta, la nostra più grande paura diventasse realtà? Se anche i supereroi fossero malvagi?
Brandon, Tori e Kyle sono una piccola famiglia felice, di quelle da finta foto che si mette nelle cornici in esposizione nei negozi: lui a scuola è un piccolo genio, mamma Tori un’artista e lavoratrice, papà Kyle un lavoratore duro e puro dell’America bucolica. Un sogno, che all’improvviso prende le fosche tinte di un incubo. Brandon infatti non è un ragazzino come gli altri, non l’ha portato la cicogna, ma una nave spaziale. E proprio come Clark Kal-El Kent, è stato raccolto da Tori e Kyle e allevato come un figlio. Mentre però il buon Smallville è diventato un simbolo di speranza, qualcosa scatta in Brandon, e da salvatore del mondo il ragazzo diventa un distruttore senza morale e limiti.
D’altronde, forse questa versione della vita di un supereroe è la via più realistica: sebbene Brightburn non sia un film dalle grosse pretese, ha delle potenzialità quasi inesplorate che vengono messe in luce molto rapidamente (e nella mancata limatura dei dettagli sta forse il peggior difetto della pellicola, prodotta da James Gunn). Quando il ragazzino scopre di avere dei poteri sovraumani, ne viene corrotto, qualcosa in lui si rompe, e neanche l’amore della madre − che in tanti film è il balsamo salvifico dell’anima dei peggiori criminali, o la causa delle scazzottate in CGI peggiori (si, parlo con te Batman VS Superman) − riesce a salvarlo. Forza infinita, super velocità, la capacità di volare e lo sguardo “laser” darebbero alla testa a chiunque: o vieni preso dalla sindrome del messia, o ti tuffi nell’abisso e ne riemergi nella versione più oscura di te stesso. E Brandon sceglie senza troppe remore la seconda strada.
In Brightburn però la storia non si apre completamente, lasciando non poche domande senza risposta, e la velocità con cui Brandon cede alle tenebre è a dir poco spaventosa. Prima era tutto casa, scuola e aiutiamo il papà nella fattoria, subito dopo diventa un superuomo che guarda gli esseri umani come formiche a cui bisogna dare una lezione, con un condimento in salsa splatter che mi ha lasciato stupito, soprattutto perché la cruenza di certe scene è senza dubbio inaspettata. È un film in cui più che dialoghi e spiegazioni viene dato spazio alle atmosfere, che si incupiscono sempre di più fino al finale inevitabile (e forse un po’ prevedibile). Dalla prima vittima di Brandon all’ultima infatti la violenza cresce, affondando le radici sempre più nell’atmosfera horror/slasher, grazie anche a una fotografia cupa e desaturata che non lascia spazio a dubbi sulla natura del film e le sue intenzioni, con il piccolo super maniaco omicida che rincorre le proprie vittime una a una, senza fallire un colpo, e senza che quasi nessuno sospetti realmente di lui, anche davanti alle prove più schiaccianti. Un po’ tutti i personaggi del film hanno sempre sotto il naso la vera natura del ragazzo, ma nessuno sembra volerci credere davvero: in fondo è solo un bambino, un po’ nerd e con pochi amici, a chi vuoi faccia male?
Questo aspetto da lupo in mezzo al gregge, l’abito da agnello che il ragazzo indossa per la maggior parte del film e la sua trasformazione ineluttabile nel mostro che è Brightburn, riesce a mantenere in piedi le atmosfere dark e che il regista David Yarovesky ha messo su e fa quasi dimenticare i buchi di trama che qua e là sfuggono al rattoppo della regia, soprattutto alcuni indizi lanciati allo spettatore come ossi per poi sparire e riapparire a piacimento. La pecca principale del film è forse proprio nella psicologia di Brandon: mentre gli altri personaggi vengono dipinti e ben si adattano alla figura di sempliciotti di provincia che non hanno idea con cosa stiano avendo a che fare, l’evoluzione da Brandon a Brightburn risulta fumosa e un po’ troppo spedita: il simbolo che lui disegna e che usa come firma per le sue azioni viene usato solo come segnale del passaggio del super-killer, un “Brightburn è stato qui”, senza troppi approfondimenti e lasciando solo intendere che la doppia b da cui è formato non siano le iniziali del giovane. Anche il momento in cui il ragazzo riceve (o attiva) i suoi poteri rimane strano e fuori dal coro: i poteri sono sempre stati dentro di lui? È stata la navicella a darglieli? Questa è solo un mezzo o è la mente aliena dietro il ragazzo, che sembra quasi posseduto? Domande che restano senza risposta, e che rovinano un po’ le emozioni provate durante il film, rimbombando nel fondo della testa anche dopo i titoli di coda. Perché ha scelto il male? La reazione di un bambino alle difficoltà della vita combinata ai super poteri? Era destino?
Bisogna però riconoscere al film il merito di essere un po’ tornato alla radice del cinema horror: la paura. Perché in fondo, se vivessimo nel mondo dei supereroi, probabilmente saremmo tutti spaventati a morte dall’idea che chiunque incontriamo per strada potrebbe essere dotato di poteri e che potrebbe usarli per farci del male. E Brandon è proprio questo, un essere potente e virtualmente invincibile, ma preda delle sue pulsioni e del suo nuovo smisurato ego, pronto a tutto pur di abbattere gli ostacoli che lo separano dai suoi obbiettivi. In un attimo, cancella anni di amore e affetto ricevuti, e neanche un immaturo amore pre-adolescenziale è capace di ammorbidirlo, anzi, prima lo porta a diventare una specie di super stalker, e l’onta del rifiuto poi consacra definitivamente la sua anima sull’altare dei super cattivi. Nessuno sembra capirlo, nessuno ne vuole parlare, né con lui né all’interno della famiglia: il padre e la madre, consapevoli della natura altra del ragazzo, sembrano completamente ignorare gli atteggiamenti sempre più oscuri del loro figlio alieno, per poi pagarne le conseguenze insieme a tutti gli altri.
Proprio la piscologia del ragazzo è l’argomento più interessante e peggio sviluppato del film: Brandon presenta l’atteggiamento sociopatico di un serial killer (narcisismo, nessun rimorso, piacere nell’uccidere), condito di un po’ di esoterismo e glorificazione della propria persona (il simbolo con il suo nome, una beffa per chi lo vede che non sa che il killer sta dicendo a tutti “guardatemi sono stato io”, ma che racconta anche le sue radici extra-terrestri, o almeno le suggerisce, senza dimenticare il piccolo e macabro rituale che viene mostrato verso la fine del film), che associati alla sua intelligenza quasi fuori dal comune, o così viene fatta intendere, nasconde forse un abisso ancora più oscuro, piani più grandi e un’esecuzione quasi perfetta, sbugiardata solo dall’evidente insicurezza della sua giovane età. È pur sempre poco più di un bambino e lo si vede chiaramente quando inventa scuse assurde con i genitori dopo le proprie malefatte, ma il demone che lo abita esce fuori nelle situazioni più impensabili e allora eccolo che minaccia gli adulti con frasi piuttosto dirette, con la consapevolezza che lui non ne risentirà affatto.
Tralasciando la traduzione italiana del titolo (il pomposo L’angelo del male) Brightburn è un film perfetto se avete voglia di un po’ di sangue, una storia a tratti originale e se soprattutto non vi aspettate il solito cinecomic. E se avete accanto dei ragazzini in sala, non li fate arrabbiare: non potete sapere se hanno da qualche parte una navicella nascosta e una maschera rossa.





L’angelo del male − Brightburn (Brightburn)
regia
David Yarovesky
sceneggiatura Brian Gunn, Mark Gunn
con Elizabeth Banks, David Denman, Jackson A. Dunn, Matt Jones, Meredith Hagner, Gregory Alan Williams
produzione James Gunn, Kenneth Huang
casa di produzione The H Collective
distribuzione Sony Pictures Entertainment Italia
paese Stati Uniti
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2019
durata 91 min.

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