“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 24 November 2018 00:00

“Locked”, l'identità segregata. Un cortometraggio

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Locked è espressamente votato all’idea di un’impavida introspezione. E così, nel silenzio degli affetti da cui si è stati allontanati, nel silenzio della privazione totale e nella solitudine della segregazione, lì dove si è in contatto, per coercizione, con quella realtà consistente nell’essere soli, sempre, con se stessi, il più grande mistero della vita lo si ricerca nella pura semplicità del desiderio indiscusso, primordiale e fondante l’esistenza. In quella libertà che sola permette di scardinare la desolazione in cui ognuno è immerso per formare legami con il mondo e con gli altri, nel modo che più ci appartiene.

La quasi completa assenza della parola è la scelta che sgrava dal superfluo queste poche battute di scene e di tempi, consegnando allo spettatore la concatenazione limpida e immediata di un vissuto molto realistico nella sua drammatica e inaccettabile assurdità. Pensieri, rabbia, paura e disperazione sono taciuti sulle labbra, mentre i pochi e essenziali gesti della sopravvivenza si fanno specchio di quel patimento estremo, provocato dall’aver perduto non il proprio io, ma la possibilità di esprimerlo al di fuori di una dimensione personale ridotta all’osso, e risolta in pratiche necessità che si è costretti a soddisfare attraverso mezzi a dir poco inadeguati, e estremamente raccapriccianti.
Se la tenace ricerca di naturalezza espressiva, coadiuvata dal ritmo sostenuto della pellicola, subisce per brevi momenti un lieve abbassamento di tono nell’agire che si mostra in parte smorzato, in relazione ad alcuni feroci istanti, la consistenza dell’atmosfera di cui il corto è pervaso riequilibra i vari passaggi dell’intreccio, garantendo il costante coinvolgimento dello spettatore.
La forza di volontà repressa e svilita dall’apparente impossibilità della fuga e del riscatto trova letteralmente respiro nell’ariosa fantasia della protagonista, che sfoga nell’ampiezza del proprio immaginare l’oppressione fisica e mentale della sua grigia e sudicia prigione, riassaporando, anche solo per un momento, la fluida e sconfinata vastità dell’esistenza, e sperimentando l’annientamento del dolore e delle umiliazioni psicologiche e corporali così selvaggiamente impartite dall’aguzzino, il cui ruolo è affidato a Edoardo Siravo, e rese con grande efficacia nell’interpretazione dell’attrice Marica Cotognini.
Uno fra i maggiori pregi del lavoro svolto qui nella regia e nella sceneggiatura consiste nell’aver restituito personalità ad un tema abusato e, seppur con nobili intenti, quasi ossessivamente ripetuto, il cui punto centrale tende soventemente ad essere smarrito nella confusione e nella folla di effimere e mercificate opinioni. Il sopruso e la violenza indirizzati verso l’annichilimento della vittima, nello specifico di una donna, diventano dunque rappresentazione di un avvenimento singolare, allontanando l’opera dal rischio di dispersione in quella che è la vera e propria marea di vicende, troppo spesso strumentalizzate, alle quali pure la storia può essere assimilata.
Intessere l’imponderabile epilogo di questo tipo di accadimenti, e un plausibile svolgimento il quale sarà sempre diverso di caso in caso, per quanto vicino a tanti altri nelle fasi che si susseguono durante il sequestro, nelle azioni e reazioni degenerate dei carnefici e in quelle profondamente umane delle vittime, è la migliore dichiarazione di intenti all’interno di una dimensione in cui è pressoché impossibile scindere ciò che deve costituire il preponderante scopo artistico dall’atto di denuncia.
In un’estetica fatta di accenni a cromie simboliche e rimandi onirici intrisi di inquietudine e legati all’incubo, il terrore immaginato e temuto rafforza e al contempo proietta nella “normale” quotidianità l’orribile condizione della ragazza intrappolata, mantenendo su di un piano di essenzialità e verosimiglianza la rappresentazione di un oscuro brivido interiore che arriva a manifestarsi ben oltre la tangibilità della situazione, incorporando a sé presagi ed occasioni mancate. La brama del dritto alla vita, negato pur senza la motivazione di una sola colpa, che comunque mai potrebbe giustificare quest’inusitata esplosione del male, è necessariamente destinata a creare tentativi di reazione alla propria sciagura, attraverso strumenti e attimi fortuiti che costituiscono l’ultima alcova di flebili ma coraggiose speranze. Nulla è però scontato o prevedibile per le due parti della contesa, seppure con un netto sbilanciamento in favore di quella criminale, e il gioco perverso diviene ciò su cui è sempre portata a ruotare una vicenda dura quanto quella inscenata. Una simile operazione creativa tende quindi, giustamente, alla restituzione della dignità che soltanto l’espressione identitaria della protagonista di un tale e crudele destino può dare, seppure così tragicamente soffocata e offesa, e quella forza, quel continuo sperare, sono racchiusi in un’identità ancor più evidente proprio all’interno di una condizione insostenibile come quella che Locked è in grado di offrire ai nostri occhi ed alle nostre riflessioni.

 


 

Locked
regia Marco Caldarelli
soggetto Marco Caldarelli, Stefano Di Lorenzo
sceneggiatura Stefano Di Lorenzo
con Marica Cotognini, Edoardo Siravo
produttore esecutivo Maria Aulicino
direttore della fotografia Leone Orfeo
suono e musiche Fabio Cucculelli
tema musicale originale Davide Cavuti
foto di scena Marina Chichi
produzione MAST
con il contributo di Fondazione PescaraAbruzzo
in associazione con Stefano Francioni Produzioni e MuTe Art
paese Italia
lingua originale italiano
colore a colori
anno 2017
durata 17 min.

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