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Thursday, 12 July 2018 00:00

La Roma distrutta di Aurelio Picca

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“Quando la vidi non sapevo fosse Roma... La luce del mattino timbrava ogni oggetto. Anche l’asfalto era una pista. Ma nessuna macchina o moto la percorreva. Il cielo, molto alto, sono sicuro che aveva abbandonato con gentilezza l’alba e andava a rincorrere il sole di giugno”.
È l’avvio, poeticissimo, dell’ultimo romanzo di Aurelio Picca (Roma, 1957), Arsenale di Roma distrutta, in cui l’autore narra di un bambino treenne che, scendendo da un autobus sulla via Appia insieme alla tata, ha la sua prima fatale e prodigiosa visione della Capitale. Da qui nasce il suo rapporto di passione e dipendenza viscerale con la città, durato l’intera esistenza.

Roma dai mille attributi: a testa alta, spaccona, paracula, livida, gialla, nera e nera, macera, frollata, femminona o meretrice o transessuale, elettrica e metallica, feroce e cadaverica. Metropoli e suburbio, in cui il protagonista ripercorre gli anni tronfi e trionfanti della sua infanzia e giovinezza, attraversati da personaggi pubblici e privati mai banali, mai comparse, sempre prepotentemente incardinati nella loro provocatoria sfida al decoro borghese, al conformismo, all’acquiescenza.
Una Roma violenta e viva, che nei luoghi deputati dello sport “sapeva di tabacco, di cessi, di segatura umida, di piscio pieno di emazie”, di botte tra tifoserie contrarie, di nomi urlati negli stadi e nelle palestre, nei campetti di calcio e nei bar col biliardo (Giorgio Chinaglia, Re Cecconi, Nino Benvenuti). Che negli ospedali vedeva sfilare una dolorosa umanità proletaria, rachitica e rassegnata. Che si nutriva di musica popolare (Franco Califano, Antonello Venditti, Riccardo Fogli) o prendeva d’assalto i primi concerti rock, e si divertiva con i film di Franchi e Ingrassia.
Nel passato di “quando Roma era Roma”, e non ancora quella odierna che cresce e muore assediata da burocrazia e arrivismo, Aurelio Picca indaga le facce dei “macellari”, delle portinaie e dei pescivendoli del mercato, dei “pederasti che fumavano col bocchino”, dei papponi e dei pizzicagnoli, delle “signoracce con le unghie rosse mangiucchiate, la tinta fatta in cucina, il rossetto sbavato”.
Ne celebra criminali e artisti, che “sono una cosa sola. Feroci, spietati, nudi, estremi, senza paura, pronti a morire per cercare l’assoluto... Uccidevano perché contro il mondo. Scrivevano e dipingevano per lo stesso motivo”. Gli artisti di allora si chiamavano Pasolini, Schifano, Angeli, Festa. I malavitosi erano armati di bombe a mano, fucili a canne mozze e mitra; erano rapinatori, terroristi, sequestratori, assassini, stupratori: la banda della Magliana, il clan dei Marsigliesi, i Cimino, Laudavino De Sanctis.
“Adesso Roma è piena di criminali in pantofole, inciviliti: tipi che, se devono fare il lavoro sporco, lo fanno fare addirittura ai politici. Sono identici ai preti pedofili”.
Città plebea e pagana, coloratissima e vociante di giorno; minacciosa, tossica e blasfema di notte. L’autore ne rimpiange i night, le discoteche dall’”atmosfera di carne cotta e solitudine”, le gare rocambolesche con le auto, gli eccessi fisici e comportamentali.
“Roma ha bisogno dell’orgoglio, delle sfide, di fasti cesarei e papali. Qui bisogna riprendere a sfottere il Mondo”.
Picca, che tra diario e leggenda ha sempre spavaldamente esibito una vita spericolata, amicizie sbandate, la sensualità più trasgressiva e azzardate dipendenze, in una continua sfida al perbenismo, in questo romanzo alterna sapientemente il freddo resoconto cronachistico a termini coloriti, dialettali e addirittura triviali, il gusto per il macabro ai riferimenti mitologici, il lirismo descrittivo all’imprecazione, l’autobiografia nostalgica allo scherno più arrogante, offrendoci una singolare rassegna di personaggi insoliti. L’adolescente Lilly timorosa e vogliosa di perdere la verginità, la novizia pentita e transfuga, due signorine straniere di facili costumi e languide carezze, il sor Paolo grossolano d’animo e di corpo. Figure ai margini, non marginali, di una Roma carnale, arcana e gaglioffa.

 

 

 

 

Aurelio Picca
Arsenale di Roma distrutta
Einaudi, Torino, 2018
pp. 107

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