Roma dai mille attributi: a testa alta, spaccona, paracula, livida, gialla, nera e nera, macera, frollata, femminona o meretrice o transessuale, elettrica e metallica, feroce e cadaverica. Metropoli e suburbio, in cui il protagonista ripercorre gli anni tronfi e trionfanti della sua infanzia e giovinezza, attraversati da personaggi pubblici e privati mai banali, mai comparse, sempre prepotentemente incardinati nella loro provocatoria sfida al decoro borghese, al conformismo, all’acquiescenza.
Una Roma violenta e viva, che nei luoghi deputati dello sport “sapeva di tabacco, di cessi, di segatura umida, di piscio pieno di emazie”, di botte tra tifoserie contrarie, di nomi urlati negli stadi e nelle palestre, nei campetti di calcio e nei bar col biliardo (Giorgio Chinaglia, Re Cecconi, Nino Benvenuti). Che negli ospedali vedeva sfilare una dolorosa umanità proletaria, rachitica e rassegnata. Che si nutriva di musica popolare (Franco Califano, Antonello Venditti, Riccardo Fogli) o prendeva d’assalto i primi concerti rock, e si divertiva con i film di Franchi e Ingrassia.
Nel passato di “quando Roma era Roma”, e non ancora quella odierna che cresce e muore assediata da burocrazia e arrivismo, Aurelio Picca indaga le facce dei “macellari”, delle portinaie e dei pescivendoli del mercato, dei “pederasti che fumavano col bocchino”, dei papponi e dei pizzicagnoli, delle “signoracce con le unghie rosse mangiucchiate, la tinta fatta in cucina, il rossetto sbavato”.
Ne celebra criminali e artisti, che “sono una cosa sola. Feroci, spietati, nudi, estremi, senza paura, pronti a morire per cercare l’assoluto... Uccidevano perché contro il mondo. Scrivevano e dipingevano per lo stesso motivo”. Gli artisti di allora si chiamavano Pasolini, Schifano, Angeli, Festa. I malavitosi erano armati di bombe a mano, fucili a canne mozze e mitra; erano rapinatori, terroristi, sequestratori, assassini, stupratori: la banda della Magliana, il clan dei Marsigliesi, i Cimino, Laudavino De Sanctis.
“Adesso Roma è piena di criminali in pantofole, inciviliti: tipi che, se devono fare il lavoro sporco, lo fanno fare addirittura ai politici. Sono identici ai preti pedofili”.
Città plebea e pagana, coloratissima e vociante di giorno; minacciosa, tossica e blasfema di notte. L’autore ne rimpiange i night, le discoteche dall’”atmosfera di carne cotta e solitudine”, le gare rocambolesche con le auto, gli eccessi fisici e comportamentali.
“Roma ha bisogno dell’orgoglio, delle sfide, di fasti cesarei e papali. Qui bisogna riprendere a sfottere il Mondo”.
Picca, che tra diario e leggenda ha sempre spavaldamente esibito una vita spericolata, amicizie sbandate, la sensualità più trasgressiva e azzardate dipendenze, in una continua sfida al perbenismo, in questo romanzo alterna sapientemente il freddo resoconto cronachistico a termini coloriti, dialettali e addirittura triviali, il gusto per il macabro ai riferimenti mitologici, il lirismo descrittivo all’imprecazione, l’autobiografia nostalgica allo scherno più arrogante, offrendoci una singolare rassegna di personaggi insoliti. L’adolescente Lilly timorosa e vogliosa di perdere la verginità, la novizia pentita e transfuga, due signorine straniere di facili costumi e languide carezze, il sor Paolo grossolano d’animo e di corpo. Figure ai margini, non marginali, di una Roma carnale, arcana e gaglioffa.
Aurelio Picca
Arsenale di Roma distrutta
Einaudi, Torino, 2018
pp. 107