“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 28 February 2018 00:00

“Sutor”. Legami e destinazione

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Quando questa realtà parallela si manifesta, il rumore di sfregamento di una lima ha già sortito il suo effetto straniante, restituendoci un luogo che si confermerà operoso e contemplativo. Appena il buio si dissolve è proprio così che la scena principia: nel mondo della certosina ma schietta lavorazione creativa.

Il luogo deputato allo svolgimento del dialogo è infatti la bottega di un calzolaio, mentre due sono gli artigiani assorbiti dal proprio mestiere. E tra i due è tutto un intendersi, in forma di uno sconcerto, una paura che permea una delle due esistenze in toto, e della risposta consolativa a quella paura, derivante dalla serena accettazione del più inesorabile degli eventi da parte dell’altro, legato indiscutibilmente al secondo personaggio da una grande vicinanza di spirito, pure presentandosi immediatamente come personalità tanto distante da questo, per approccio ed interiorizzazione del problema.
Anzi, l’azione di conforto da parte di questi può già definirsi propriamente di cunzuolo. I due punti di vista, estranei l’uno all’altro, vanno in realtà a risolversi l’uno nell’altro e ad acquietare le più intime angosce, le quali pure non potranno che restare insolute, a causa del destino imperscrutabile che tutti accomuna. D’altronde, pure sorto da un’effimera incapacità di comprensione, il discorso che le due parti intessono appare da subito guidato dalla più profonda percezione del sentimento e delle motivazioni altrui, proiettata verso quell’amico di una vita che appare maggiormente turbato e più debole di fronte all’inconoscibile senso dell’esistenza, la stessa misteriosa questione che il primo riversa senza drammi nella quotidiana economia del lavoro inteso come sostentamento, non materiale però, poiché derivato da un compito manuale a certamente nobilitante come a questa saggia manualità si addice.
Il sostentamento è qui veicolato piuttosto come le fondamenta di un edificio, l’ossatura portante di un succedersi di momenti che pur nella loro monotona ripetitività determinano quella persona. La comprensione del fratello più rassicurato e rassicurante, è tale da riuscire, senza nemmeno pensarci troppo, a trovare una via che permetta anche all’altro di metabolizzare la destinazione ultima, preparandolo a realizzare ciò che si è sempre pensato di dover attuare ma non si è mai avuto il coraggio di portare a compimento, ed accompagnandolo in questo percorso, senza spezzare un filo mantenuto integro sin dalla loro nascita. La dignità dell’affetto scarno e sincero, primordiale ma tenero, che supera anche le zone più oscure e le accoglie con umana ma non affettata pietà, è ciò che può maggiormente coinvolgere un già avvezzo o potenziale spettatore della pièce, incitandolo a soffermarsi sul punto nodale della riflessione, su quell’imperturbabile coscienza dello struggimento dell’animo di colui che si è arrivato a conoscere nel profondo, tanto simile al nostro. L’accettazione, non in malafede e non ambigua, di gesti assai discutibili moralmente, si inserisce in una dimensione che sta al di là dell’umano giudizio, al di là del senso del bene e del male, dell’innocenza e della colpevolezza, sullo sfondo di una prospettiva simile a quella davanti alla quale il pescatore di de André si è ritrovato.
Lo stile di recitazione così diverso fra gli attori protagonisti, ed unici in scena, crea una duplice reazione nel pubblico, la quale si ricompone in un’integrazione organica di due aspetti complessi ed autonomi all’interno di un legame unico, inscindibile e sempre valido, come il più autentico legame di sangue. La sorniona naturalezza di Oliva agisce da collante fra le due differenti maniere interpretative, che fuse donano l’occasione di un immergersi consistente e credibile in un pensiero frammentato in variegate sfumature di senso e di sentire, ma alfine unificato nella domanda che più di tutte incide sul fondamentale significato che diamo all’esistenza, raccogliendo nella più nebulosa ma efficace sintesi l’ansia di un intero vivere. A chiusura della trilogia su “Destino e destinazioni” (iniziata con Capro’ e proseguita con Gyneceo), in questa performance l’ironia stempera, come sempre avviene nei componimenti ben architettati, la gravitas racchiusa nella speculazione e nell’interazione tra umane essenze, amplificandola nello stesso istante in cui la rende più leggiadramente appetibile all’attenzione che desidera anche il tradizionale intrattenimento. Il Sutor diventa qui gentile complice, guardiano ed inconsapevole detentore della più assoluta delle verità.  

 

 

 


La cultura dei legami
Sutor
di
Vincenzo Mambella
regia
Edoardo Oliva
con Edoardo Oliva, Vincenzo Mambella
scenografia Francesco Vitelli
produzione Teatro Immediato
Pescara, Auditorium L. Petruzzi, 25 febbraio 2018
in scena 24 e 25 febbraio 2018

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