“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 30 January 2018 00:00

“La scortecata” o l'illusione della giovinezza

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È pieno il teatro “Laura Betti” di Casalecchio di Reno (BO) per l’unica replica de La scortecata, spettacolo tratto dalla fiaba La vecchia scortecata, presente ne Lo cunto de li cunti di Basile, il cui pentamerone − scritto alla metà degli anni ’30 del Seicento − è stato spesso argomento, fonte, materia d'ispirazione negli ultimi anni: si pensi alla recente La Gatta Cenerentola di Rak & co. e, sempre sul grande schermo, a Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, che nel 2015 rivisita anche La vecchia scortecata.
Napoletani che raccontano un napoletano, dunque, attraverso il cinema.

D'altronde cinematograficamente già Francesco Rosi nel 1967 aveva compiuto quest'operazione. È interessante quindi rilevare come la fiaba, per la prima volta portata da Basile a espressione del sentimento popolare, stia tornando prepotentemente protagonista nelle narrazioni visivo-performative. La costruzione del senso comune e una visione popolare del mondo sono evidentemente in una fase di stasi e difficoltà per cui, in questo vuoto antropologico e politico, si inseriscono le arti a ricostituire significati e motivi simbolici possibili. E troviamo quindi la palermitanissima Emma Dante, pur vicina emotivamente e artisticamente a Napoli, che porta la tetra, cupa e scenica scrittura di Basile in assito, scegliendo di rappresentare una vecchiaia spietata e ingrata che agogna la bellezza, la gioventù e l'amore.


La storia narra di due sorelle centenarie e affette da malanni, deformazioni fisiche e da una bruttezza singolare, che vorrebbero essere prese in sposa dal re di Roccaforte il quale si è innamorato della grinzosa voce di una di loro, scambiandola per delicata e affascinante. Le due vivono in un antro oscuro, non vengono toccate dal sole, si nascondono dal mondo. Il re, dunque, non ha modo di vederle ma proietta su di loro una potente (e inesistente) beltà che dipende dalla sua immaginazione e dai desideri ch'egli prova: promette che sceglierà come sua sposa colei che avrà il mignolo più incantevole.
Ne deriva un grottesco (quel grottesco vero, che è proprio della poetica di Emma Dante) incontro al buio, preteso dalla vecchiaccia prescelta dopo lunghe e caricaturali succhiate dei rispettivi mignoli delle due sorelle, ottimamente interpretate da Carmine Maringola e da Salvatore D’Onofrio. E nonostante l’orrenda vecchia dalla pelle cadente provi a tirarsi su e mettersi dietro le spalle gli strati dermici raggrinziti e a ottenere dal re che la candela non venga accesa, il sovrano si accorge delle caratteristiche respingenti e dell’età avanzata della donna e per punizione la getta da una finestra. Alcune fate di passaggio però le danno le sembianze di una “bella figliola” (come un tempo si diceva) e così il re decide di sposarla.
L’altra sorella − che pure vuole diventare bella, togliendosi di dosso quella pellaccia atrofizzata e puzzolente − decide quindi di farsi scorticare, nella fatua convinzione che sotto quel primo e superficiale strato di cute se ne nasconda un altro: quello della gioventù, della tonicità, dell’elasticità.


Il pathos sul palco è raggiunto più volte, grazie ai sapienti stratagemmi registici della Dante che, pur alle prese con un’opera non scritta di suo pugno e redatta in un idioma letterario che non le appartiene per origine − il napoletano −, re-interpreta in maniera convincente il buio esistenziale dato dall'isolamento e dall’approssimarsi della fine, come pure il desiderio talora cieco e troppo semplicistico dell’agguantare la bellezza a tutti i costi. Attraverso l'egregio “uso dei corpi” e un’ironia tinta di rosso e agita col grottesco e col barocco nero seicentesco, lo spettacolo convince e il pubblico che ha gremito il teatro (la cui programmazione è varia e interessante) partecipa appassionandosi, tenendo il fiato e applaudendo spesso.
Il tema dell’eterna giovinezza si unisce alla mancata accettazione del progredire inesorabile del tempo e si mischia all’anelito di amore e di vicinanza: il primo, sentimento sempre possibile, a qualunque età; la seconda, necessità che pare intrinseca agli esseri umani, a dispetto dei tempi storici, dell’anagrafe, dello stato sociale, del livello culturale. E così − oltre all’immaginazione che sempre fuoriesce quando si provano slancio ed entusiasmo, e che caratterizza l’idea della vecchia di farsi scorticare pur di tornare ai beati tempi della fanciullezza − nella morale di questa fiaba-spettacolo trovo ancora più rilevante sottolineare quanto sia influente e potenzialmente mistificante l’illusione del desiderio ovvero, come l’etimologia suggerisce, della mancanza di quella stella (de-, prefisso privativo e sidus, “stella”) che illumina e indirizza, raddrizzandola, la sempiterna solitudine dell'uomo.

 

 


le foto a corredo dell'articolo sono di ©MLAntonelli-AGF



La scortecata

liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante
produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Atto Unico /Compagnia Sud Costa Occidentale
Casalecchio di Reno (BO), Teatro Laura Betti, 23 Gennaio 2018
in scena 23 gennaio 2018 (data unica)

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