“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 December 2017 00:00

Se una mattina d'inverno una bambina

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Ines si sveglia, il soffitto che sta guardando con occhi impastati di sonno è cosparso di stelle fosforescenti. Una volta, quando era molto più piccola, credeva davvero che quella potesse eguagliare la volta celeste, un piccolo sistema solare tutto suo, con tutte le leggi dell’universo e le sue bellezze, le ristrettezze dell’infinito, le promesse che le stelle potrebbero nascondere. Era tutto vero, le pareti della sua stanza nella sua fantasia somigliavano a cascate attraverso le quali il mondo veniva filtrato e nessun tempo o spazio potevano svilire e sminuire il suo mondo pulito, incorporeo, coraggioso in modo sconveniente per un adulto che conosce le insidie della realtà.

Ines apre gli occhi oggi su questo piccolo universo e ora le sembra solo una stanza, anche se ha soli dodici anni, le illusioni non hanno più lo stesso sapore e odore, niente resiste troppo a lungo, finalmente o per sfortuna quello che esiste pretende la sua dose materiale di banalità, impone la sua presenza e la sua verità, nel mondo di Ines ora c’è un giudice ed è lei stessa, è scesa sulla terra e se diventerà una persona migliore di una semplice figura arresa tra la gente, dovrà per forza scoprire il potere crudele della poesia, anche se persino la poesia è una favola alla quale nessuno crede, il mito degli adulti che hanno perso l’innocenza dell’ignoranza e inventano saghe con lo scetticismo tormentoso o la fede disperata dell’esploratore. Ines è ancora una bambina ed oggi è la viglia di Natale, fuori nevica, ma dentro la stanza tutto è immobile, le stelle sul soffitto non le danno più alcuna felicità, le cascate si sono prosciugate, dentro il perimetro di questo mondo è entrato senza bussare il tempo, insieme al suo principio più asettico: la linearità, l’imperativo della positività, l’inganno del miglioramento, insomma il futuro fatto di niente ma aspettato per tutta la vita. Come tutte le epifanie non si manifestano mai con un pensiero, ma con una sensazione, uno squilibrio dell’umore, l’indebolimento della forza, per questo Ines fatica a lasciare il letto e uscire dalla stanza per recarsi in cucina. Non vede tutto ciò, ma lo sente e questo basta per renderla triste, le sue gioie – perché ci saranno – d’ora in poi subiranno il controllo del sospetto, ogni cosa bella non sarà solo bella, ma insidiosa, l’occhio non si accontenterà dell’armonia del tutto, indagherà i dettagli, questo la renderà adulta, non per forza infelice, ma a volte è così che si muore di fame. I capelli annodati sotto la nuca le fanno male, ma non usa il pettine, prova con le dita a dipanare la matassa, le fa ancora più male, ci rinuncia e risolve con una coda bassa. Si stringe al petto il golfino di lana e svolta a destra verso la finestra, alla fine del corridoio, che affaccia sul parcheggio, i vetri sono appannati, fuori la temperatura è inclemente, opacizza i vetri e le sagome delle cose, anche quelle più lontane, diventano informi e quasi mostruose.
A momenti la mamma chiamerà con voce stridula dalla cucina, in preda all’euforia e all’ansia di dover ancora comprare gli ultimi regali, Ines dovrà vestirsi e accompagnarla, strisciare nel labirinto della città, col suo filo rosso spezzato, pronta a perdersi senza che il panico le scolori il viso. Ancora però tutto tace, c’è questa finestra e il contenuto che proietta, la luce non è grigia, ma neppure calda, ha il tono smorto delle cose fredde che ancora si muovono, potrebbe puntare lo sguardo e concentrarsi, fare questo gioco e riuscire a intendere il colore delle macchine parcheggiate, ma resta ferma, senza pretese, senza giochi, priva di sfide, con i pugni chiusi sul petto e il freddo che le penetra nel pantalone del pigiama, così, perfetta come l’aspetto algido della neve appena caduta. È un dipinto la sua immobilità, una quiete prima della tempesta, solo che nessuna avvisaglia la mette in guardia rispetto a quello che accadrà a breve, cose comuni, fatte e rifatte, eppure è tutto così fermo che Ines ha smesso di sentire, il baratro si è chiuso sotto i suoi piedi, anche se le stelle e le cascate non riusciranno più ad addolcire i suoi giorni, fuori dalla finestra c’è ancora un piccolo incantesimo, una magia che non potrà salvare e nella quale non potrà riposare questa volta, allora sembra già più una donna, senza scudi, ferita ieri, un’ora fa, con la fame calma dell’adulto che cerca nuove declinazioni per le sue favole.

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