“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 25 October 2017 00:00

Metti una sera al Globe

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Teatro Bellini in veste elisabettiana per accogliere rifacimenti shakespeariani: si va di due in due, alternando commedia e tragedia. M’accomodo sulle panche che hanno preso il posto delle poltrone in una platea che s’affaccia su un grande palco in declivio, che arriva fin quasi a metà dello spazio normalmente destinato agli spettatori. Giulio Cesare e La commedia degli errori, in contigua successione le due messinscene a cui assisto che, nelle riscritture di Fabrizio Sinisi diretta da Andrea De Rosa e di Punta Corsara diventano rispettivamente Giulio Cesare. Uccidere il tiranno e Una commedia di errori.

Questo perché, nell’intento di fondo del progetto Globe c’è una traccia trasversale che è quella di smontare e rimontare – fisicamente e metaforicamente – uno spazio teatrale e ciò che vi viene rappresentato; smontare e rimontare, nella fattispecie una parte del corpus shakespeariano per dargli una riviviscenza evidente, ancor più marcata di quella che si dà ogniqualvolta un’opera del Bardo riappare in assito, nelle sue innumerevoli rivisitazioni, più o meno fedeli, più o meno felici nell’esito.
Così, il Teatro Bellini si trasforma in un surrogato del Globe e accorpa in un unico progetto sei opere shakespeariane, sei riscritture messe in scena in tre coppie.
Il Giulio Cesare diretto da De Rosa s’avvia a congiura avvenuta: da tre buche del palco parleranno i congiurati, mentre in una quarta – più grande – possiamo immaginare il corpo di Cesare giacente che, a vangate continue, un Antonio di nero vestito ricoprirà di terra per tutta la prima parte dello spettacolo. Riflessione sulla Storia e sul Potere, questo Giulio Cesare immerso in un’atmosfera fosca, cui concorrono cromie plumbee e musiche cupe e incalzanti, è la messinscena delle sfumature polimorfe che la lettura della Storia può – e deve – avere. I congiurati che si alternano nel monologare dai rispettivi avelli, che rivendicano la legittimità del tirannicidio, ne mostrano al contempo le criticità, le incongruenze, i dubbi di coscienza, Bruto si chiede “siamo eroi o macellai?”, Casca si ripete di essere migliore di Cesare, come a volersene forzosamente convincere, agitato e sovraeccitato, eppure meno cosciente degli altri circa il portato dell’uccisione di Cesare, Cassio cerca di fomentare la legittimità del loro operato, come ne fosse l’ideologo, mentre ancora Bruto dice di dubitare di ogni cosa; le angolazioni della Storia prendono vita e forma in concitate sfumature incarnate dai congiurati: abbigliati in abiti marziali che ne denotano gradazioni differenti di adesione morale al tirannicidio e di sensibilità diversa verso il senso della Storia, virano repentinamente verso il contemporaneo nella seconda parte dell'opera, che trasla da Roma antica ad un indistinto mondo moderno. I tre congiurati imbracciano le aste dei microfoni come fossero fucili mitragliatori su cui i microfoni stessi s'inastano come baionette; un urlo, prolungato e ripetuto, segna uno scarto,  evoca la città di Filippi, quella del redde rationem tra i nuovi triumviri e i cesaricidi: la storia arriva al suo compimento e, arrivandovi, diventa archetipo delle storie. I rumori di fondo diventano quelli delle moderne battaglie, fatte di bombe e rombi di elicotteri, di mitragliatrici e macerie fumiganti; la storia si compie e si tira dietro il suo strascico di interrogativi morali e dubbi irrisolti: “È per questo che abbiamo ucciso Cesare? È questo che doveva essere?”, si domandano in interrogative destinate a rimaner senza risposta. Il monologo di Antonio, a luci piene, giù in platea, nei suoi abiti neri e borghesi, dopo che ciascuno dei congiurati è stramazzato nel proprio avello, sembra concludere, senza appello, preconizzando un “nuovo inizio” che possiede la ciclicità di un eterno ritorno, di una restaurazione, della sostituzione di un Potere con un altro Potere e suggerisce le considerazioni definitive sul senso complessivo della Storia.
Una rilettura molto convincente, assemblata in una composizione registica chiara e ottimamente interpretata, un ‘fedele tradimento’ del Giulio Cesare shakespeariano, fatto di uomini e non di eroi, come ogni tempo, come ogni guerra, come ogni lotta per il potere.

Con Una commedia di errori si passa ad un registro completamente differente: Punta Corsara sceglie una delle commedie giovanili di Shakespeare, probabilmente una di quelle meno risolte, incentrata sul tema del doppio e direttamente desunta dai Menecmi di Plauto, che il Bardo raddoppia facendo agire due coppie di gemelli, così raddoppiando anche la possibilità di equivoci atti a imbastire gag e situazioni paradossali.
Anche la rilettura di Punta Corsara si potrebbe definire un ‘fedele tradimento’, nel senso che, pur mantenendo l’impianto del classico di riferimento – che è a sua volta rifatto a Plauto – lo rielabora ambientandolo nell’America degli anni ’30 del Novecento. Il palco è ovviamente il medesimo dello spettacolo precedente e le buche che fungevano da avelli nel Giulio Cesare diventano fumosi tombini newyorkesi, oltre che anditi scenici necessari allo sviluppo drammaturgico della commedia degli equivoci. Il gioco verbale imbastito da Punta Corsara è estremamente godibile, in molti tratti raffinato nel trasformare il testo di partenza, un gioco divertente e divertito, che non si perita di punteggiare la riscrittura di citazioni di altre opere shakespeariane (Amleto, Macbeth) e che s’avvale anche con misurata ironia di una certa metateatralità, che ad esempio cita la stessa commedia che stanno recitando, o anche che si riferisce all’intero progetto (“globalmente parlando” detto in ammicco al progetto Globe), e che ostenta il gioco teatrale, come quando ad esempio alla frase “ci vorrebbe almeno una maniglia”, questa spunta fuori da una delle botole, o ancora come quando, in ottemperanza al canone evocativo del teatro, un uomo può diventare una porta chiusa semplicemente reggendo quella stessa maniglia di cui sopra e un cartello con la scritta “CLOSED”. Un gioco godibile che non rinuncia a metterci del proprio, a caratterizzare in maniera personale la rielaborazione e la recitazione del classico seicentesco, nel testo, sì, ma anche nella gestualità (basti pensare al rantolo grufolante e rabbioso di Giuseppina Cervizzi nei panni della moglie che crede d'essere stata tradita).
Le musiche di Morricone che rimandano a C’era una volta in America, in aggiunta a quelle composte da Giovanni Block, aiutano a calare la commedia nella dimensione temporale e nell’atmosfera volute. Ne scaturisce un meccanismo comico che funziona discretamente, anche se possiede qualche incertezza compositiva a livello di intreccio, incertezze che sono poi connaturate all’originale shakespeariano, in cui non tutto funziona e non tutto è drammaturgicamente coerente, ma che tutto sommato non inficiano la validità, prima di tutto testuale e poi anche recitativa della messinscena di Punta Corsara, che sfrutta shakespearianamente il meccanismo del doubling, in tal modo amplificando il gioco del doppio su cui s’incentra tutto il turbinio di equivoci su cui s’innerva la commedia. Commedia che possiede una sua strutturata piacevolezza e che conferma la bontà compositiva e la cifra espressiva del lavoro di Punta Corsara.
In definitiva, Giulio Cesare. Uccidere il tiranno e Una commedia di errori: due forme di tradimento all'insegna della fedeltà, due forme di fedeltà all'insegna del tradimento.





leggi anche:
Alessandro Toppi, Dal Globe al Bellini: note sul progetto (Il Pickwick, 28 giugno 2017)
Grazia Laderchi, La magia di una favola d'inverno (Il Pickwick, 9 ottobre 2017)
Alessandro Toppi, Sull'Otello del Nest (Il Pickwick, 12 ottobre 2017)




Glob(e)al Shakespeare
un progetto di
Gabriele Russo
scene Francesco Esposito
costumi Chiara Aversano
light designer Salvatore Palladino, Gianni Caccia
sound designer G.U.P. Alcaro
coproduzione Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini, Fondazione Campania dei Festival-Napoli Teatro Festival Italia 


Giulio Cesare. Uccidere il tiranno
da Giulio Cesare
di
William Shakespeare
riscrittura originale
Fabrizio Sinisi
regia Andrea De Rosa
assistente alla regia Dario Farooghi, Emanuele Scherillo
con Nicola Ciaffoni, Daniele Russo, Rosario Tedesco, Isacco Venturini
lingua italiano
durata 1h 10’
Napoli, Teatro Bellini, 10 ottobre 2017
in scena dal 10 al 15 e il 26 ottobre 2017

Una commedia di errori
da La commedia degli errori
di
William Shakespeare
riscrittura
Marina Dammacco, Emanuele Valenti, Gianni Vastarella
regia Emanuele Valenti
con Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Emanuele Valenti, Gianni Vastarella
voce registrata Adriano Pantaleo
musiche originali Giovanni Block
uno spettacolo di Punta Corsara
lingua italiano, napoletano
durata 1h 10’
Napoli, Teatro Bellini, 10 ottobre 2017
in scena dal 10 al 15 e il 26 ottobre 2017

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